Nord e Sud - anno XIII - n. 80 - agosto 1966

Le keynésien malgré lui oggetto di ogni sorta di critiche. Taluni hanno trovato irrazionale che, nonostante la scarsità di capitali che caratterizzava l'economia italiana, come quella di ogni altro paese in fase di veloce sviluppo, si investissero cifre cospicue per installare in taluni settori impianti ultramoderni e automatizzati; altri, viceversa, hanno trovato incauto da parte dell'industria italiana l'essere rimasta fedele, salvo alcune eccezioni, a dimensioni aziendali modeste, se comparate con le dimensioni europee e a tecniche antiquate e inefficienti, proprio allorché l'Italia si avviava decisamente ad integrare sempre più profondamente la propria economia con quella di paesi industrializzati assai più avanzati, e non si sono astenuti dal formulare nere previsioni sulla capacità dell'industria italiana di competere sul mercato europeo. In tal modo, le critiche di modernismo si sono intrecciate a quelle di arretratezza, mentre, in buona sostanza, le caratteristiche dello sviluppo industriale italiano erano quelle tipiche di ogni sviluppo impetuoso, condotto dal settore privato e stimolato dal motivo del profitto; e lo stesso miscuglio di antico e di nuovo, che tante perplessità generava negli osservatori, finiva con l'essere uno dei fattori maggiori di competitività del settore industriale. Le carenze dello sviluppo economico italiano andavano se mai ricercate al di fuori del settore privato (dal quale poco si poteva pretendere più di un vigoroso aumento nel saggio di accurnulazione e nel flusso di esportazioni); esse andavano individuate nel settore pubblico che, nel timore di turbare il ritmo di sviluppo, aveva lasciato l'accumulazione del capitale interamente ai centri di decisione privati e aveva in tal modo perpetuato, e forse accentuato, gli squilibri tipici dell'economia italiana, nella distribuzione del reddito, nel livello di alcuni consumi pubblici, nella distribuzione territoriale delle attività economiche. La crisi economica è stata originata, come abbiamo avuto occasione di illustrare su queste pagine, da un punto critico raggiunto sul mercato del lavoro, dove per la priina volta si toccavano punte di piena occupazione che conferivano ai sindacati un potere contrattuale dapprima sconosciuto. È vero che la piena occupazione dell'economia italiana si presentava come una piena occupazione sui generis, dal mo, mento che, accanto a regioni e settori caratterizzati da grande scarsità di manodopera, si allineavano regioni e settori afflitti come per il passato da disoccupazione strutturale, il cui meccanismo eéonomico, per distanza geografica o per deficienze nella preparazione tecnica della popolazione non riusciva a integrarsi pienamente nel processo di sviluppo industriale. Ma, nonostante questi squilibri strutturali, che rendevano la piena occupazione più apparente che reale, non si può negare che tra il 1961 e il 1963, il mercato italiano del lavoro avesse mutato aspetto. Dicevamo, 41 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==