Nord e Sud - anno XIII - n. 80 - agosto 1966

, Recensioni Fu questo uno dei primi grossi scandali che turbarono la vita amrrun1strativa dello .stato unitario depositando le radici del malcostume nei sedimenti storici del nuovo organismo ancor prima che giungesse a completezza con la conquista di Roma. E come molti altri scandali del genere, che si succederanno nella storia del Paese fino a quelli recentissimi ancora in via di discussione, anch'esso finì in un'inchiesta parlamentare che poté fugare solo in modo relativo, « il dubbio e l'oscurità», usufruendo di quel ristretto margine di chiarezza che è lasciato a disposizione della moralità dall'instabile equilibrio delle forze politiche in gioco. Il diciottesimo volume della Storia del Parlamento italiano (Flaccovio Editore, Palermo) pubblicato recentemente a cura di Domenico Novacco, è dedicato alle principali inchieste politiche che si succedettero dal 1864 al 1913 e fornisce una serie di documenti interessantissimi non solo perché illuminano le pieghe dei grossi avvenimenti « finanziari» che contraddistinsero la nascita dello stato unitario, ma anche perché testimoniano le circostanze di politica interna che permisero « l'affermazione della superiorità dell'istituto parlamentare sugli organi e poteri dello Stato» e costituirono le prime forme di quella « gelosa custodia del proprio prestigio » che, dopo la _ça1entesi fascista, in questo dopoguerra ha trovato nuovo vigore fino ad esprimersi in episodi che a volte sconfinano in partigianeria. Il volume esamina quattro inchieste: sulle ferrovie meridionali (1864 ), sulla regìa cointeressata dei tabacchi (1869) sulle banche (1893) e sul palazzo di giustizia di Roma ( 1913) e, come si vede, apre e chiude il proprio discorso con due casi di speculazione connessa ad imprese edilizie. Data l'importanza assunta recentemente da questa forma di illec·to profitto, è proprio sulle due inchieste in proposito che ci preme soffermare il discorso. Con la raggiunta unità politica della penisola, si rese urgente provvedere alla costruzione di una rete ferroviaria che rispondesse alle esigenze del tempo. Il programma minimo prevedeva la messa in opera di almeno 6.000 kn1. di ferrovie, per una spesa di un miliardo e mezzo di lire d'allora, distribuita in meno di 10 anni. Poiché lo Stato raggiungeva un'entrata effettiva annuale di 500 milioni, appena sufficienti a coprire le spese ordinarie, divenne necessario ricorrere a capitali privati anche in conformità dei principi del liberalismo economico e della fiducia nel progresso, dominanti a quell'epoca. In un primo momento la concessione per l'appalto delle ferrovie meridionali fu confermata al francese· Paolino Talbot, sostenuto dalla banca di Rothschild; ma, quando, nel 1861, il concessionario si ritirò improvvisamente dall'affare, il governo si trovò nella necessità di sollecitar~ un nuovo accordo che sfociò in una ulteriore convenzione Depretis-Rothschild, stipulata nel giugno 1862. Quando la convenzione fu presentata in Parlamento, l'esame e la relazione furono affidati ad una commissione (composta dai deputati Nisco, Bonghi, De Luca, Leardi, Tonelli, Guerrieri, ·Grattoni, Trezzi e Susani) che, due mesi dopo, si pronunziò in forma nettamente contraria, basandosi soprattutto sul motivo dei pericoli derivanti da un monopolio del capitale francese 115 BibliotecaGino Bianco

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