Nord e Sud - anno XIII - n. 80 - agosto 1966

,I Recensioni ma in forme pacifiche e civili garantite da uno Stato neutrale, o meglio custode delle sole libertà statutarie. Nella concezione di Bonomi, invece, lo Stato poteva svolgere un ruolo attivo nel progresso del socialismo. « Il divenire sociale era fatto da una serie di atti legislativi, di riforme che si susseguono, di trasformazioni che maturano altre trasformazioni ». Il movimento riformista, abbandonando la sterile intransigenza dei socialisti massimalisti e unitari, avrebbe procurato di accelerare tale processo. Un secondo punto, strettamente legato al precedente, riguardava i rapporti tra socialisti ed altre formazioni politiche. « Mentre per Turati la collaborazione fra proletariato e borghesia nell'ambito dello stato borghese doveva restare un fatto temporaneo e subordinato ai fini di classe, Bonomi e Bissolati venivano a impostare il problema del potere per il proletariato in accordo coi partiti borghesi più avanzati». Dal fatto di considerare il quadro istituzionale « borghese », cioè parlamentare, come un dato acquisito e non rinunciabile della realtà politica italiana, deriva l'importanza che i riformisti attribuivano al suffragio universale, come allo strumento capace di rovesciare a vantaggio del proletariato la situazione sociale ed economica, senza il sovvertimento delle istituzioni liberali. In realtà, il suffragio universale, come ben sapeva Giolitti, serviva con altrettanta efficacia la causa conservatrice, almeno .in assenza di « un profondo potere d'iniziativa nel movimento socialista». Il terzo elemento che distingueva il riformismo di Bissolati da quello di Turati riguardava, secondo Manzotti, il rapporto tra classe e patria e rifletteva « la nota risorgimentale molto presente in Bissolati ». È su questo terreno che i nuovi riformisti operano la revisione più originale. Ed •era stato appunto un motivo di politica estera - l'atteggiamento di Bissolati e De Felice nei confronti della guerra libica - a provocarne l'espulsione dal partito socialista. Il paradosso di un « partito del lavoro» che non riesce ad attirare le forze sociali di cui si sforza di interpretare e rappresentare a livello politico le esigenze, vale a dire le forze del movi1nento operaio e contadino organizzato, e, al contr-ario, è costretto a cercare in larga misura i suoi elettori proprio fra quei ceti sociali ritenuti di scarso rilievo ai fini del progresso socialista, vale a dire i contadini del Sud, si deve a varie circostanze. La tattica delle alleanze, cui si è accennato, che - va anche detto - sovente scadeva nel trasformismo, e la maggiore duttilità dei riformisti nei confronti dei problemi di politica estera, non potevano non suscitare diffidenze nel movimento sindacale, sensibile ancora ai temi dell'intransigenza e del pacifismo assoluti. Tanto più che neppure i nuovi -riformisti sembravano disposti a fare a meno del tutto del « ramo secco» del partito, ed a stabilire quel filo unico e diretto. tra gruppo parlamentare e organizzazioni sindacali ch'era stato la terapia proposta da Bissolati al Congresso di Reggio, ed il principale punto di convergenza col movimento sindacale. Per questo motivo, gli stessi gruppi operai che non vorranno accettare l'espulsione della destra riformista dal partito, ponendosi per ciò stesso anch'essi fuori da 109 BibliotecaGino Bianco

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