RECENSIONI Il crollo del socialriformismo È nota la definizione gramsciana secondo la quaìe « la storia di un partito non può non essere la stonia di una determinata classe sociale; scrivere la storia di un partito significa in realtà null'altro che scrivere la storia di un paese da un punto di vista particolare, monografico, mettendone in rilievo uno degli aspetti». A parte ogni consideraziione sulla validità teorica di tale criterio, è certo che la sua applicazione renderebbe impos·sibile lo studio di un movimento politico daHa base sociale ed economica incerta, quale fu il socialriforn1ismo. Se ne ha la controprova, se così si può dire, nella bontà dei risultati ottenuti da Fernando Manzotti, in un suo recente volume (Il socialismo rifonnista in Italia, Le Monnier, 1965), seguendo una via completamente diversa. {(L'indagine sul fallimento del riformi mo si configura storiograficamente più proficua - osserva Manzotti - se rivolta ad esaminare le insufficienze del riformismo stesso che non a ricercarne la chiave in un fattore esterno, anche se ad esso legato, quale il progresso o il regresso del capitalismo». Malgrado le speranze injziali dei suoi dirigenti, la storia del socialriformismo non riesce infatti ad intrecciarsi ·strettamente con la storia del movimento operaio, e quindi del capitalismo italiano. Il nuovo movimento ebbe molto presto la possibilità di sperimentare nel vivo quanto labile fosse quella base di classe che avrebbe dovuto costituirne il sostegno: vale a dire, il movimento operaio organizzato, che, pure, nella persona del suo segretario Rigola, alla vigilia della ·scis ione, aveva espresso un cauto consenso alla nuova formazione. Il timore di Salvemini che un partito del lavoro avrebbe finito con l'essere espressione delle sole forze organizzate del movimento proletario, con esclusione e a danno di quelle disorganizzate, centro-settentrionali le prime, meridionali per lo più le seconde, era quasi diametralmente contraddetto dalla realtà, che vedeva affermarsi il socialismo riformista molto più nel Sud, dove peraltro H partito •socialista ufficiale era molto debole, che nel Nord. Ma in verità quello che era nato poteva difficilmente definirsi come un partito del lavoro. « Partito di candidati», lo chiamerà Turati, e l'espres• sione sintetizza bene alcune caratteristiche che la nuova formazione mostrò in tutto il corso della sua breve vita: dalla sempre più scarsa base elettorale alla tendenza al compromesso deteriore, dal clientelismo al «ministerialismo». Quali erano le differenze ideologiche del nuovo gruppo riformista, rispetto al riformismo «unitario» di Turati? Manzotti, nell'agile « Introduzione» del suo libro, ne indica tre principali. Per Turati, la graduale affermazione del socialismo doveva avvenire attraverso la libera dialettica delle classi, 108 BibliotecaGino Bianco
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