Girolamo Cotroneo quale si può comprendere e dedurre tutta la v1s1one filosofica di Carlo Antoni. La capacità di penetrare profondamente nel pensiero hegeliano e di individuarne i limiti e gli scompensi, veniva all'Antoni dalla sua dimestichezza con il pensiero crociano, soprattutto con la dottrina della Logica, alla quale egli aderiva in quanto vedeva in essa sistemata tutta la tradizione filosofica dell'Occidente, come il punto di confluenza « delle due grandi correnti della logica dell'Occidente, di quella aristotelica e di quella mistica » (p. 86). Nel secondo e quarto saggio di questo volume, dal titolo rispettivamente, La dottrina dialettica della storia, e La formazione della concezione dialettica della storia, l'Antoni affronta, partendo dalle soluzioni proposte da Hegel, il problema del rapporto intelletto-ragione: Hegel, scrive Antoni, ha commesso l'errore di considerare « l'astratto come un momento della logicità » e quindi di non essersi « mai posto il problema dell'origine e natura dell'intelletto astratto» (pp. 60-61). È stato merito di Croce, cui aveva dato lo spunto la critica della scienza alla fine dell'Ottocento, aver eliminato dalla logica speculativa l'intelletto astratto, assegnandogli una funzione pratica: ora, prosegue l'Antoni, « se si accetta questa definizione dell'intelletto, cade la logica dialettica hegeliana, in quanto essa introduce nel metodo della conoscenza, con funzione essenziale e vitale, un elemento estraneo che non appartiene alla logicità » (p. 61). Ma è chiaro che sotto questa spinta cade altresì la ·stessa concezione hegeliana della storia, in quanto {< la dialettica del reale è più profonda e più semplice del gioco hegeliano dell'astratto. Il grande motore della storia non è l'intelletto, bensì è l'universale, il concetto che si attua e si fa consapevole di sé nell'individuale e tuttavia lo trascende. Non è un determinato contrario che prescriva allo svolgimento una via obbligata, ma è infinita potenza, libertà e novità. Non vi è una necessità automatica del superamento, perché vi è sempre la possibilità dell'illusione e dell'errore e quindi dell'insuccesso e del fallimento. Dove c'è scarsa vitalità, rassegnato o soddisfatto languore, lo svolgimento è fiacco o addirittura deve attendere da fuori, da altri interessi ed impulsi, ]a spinta. In tal caso non solo langue la storia, ma langue anche la storiografia» (pp. 67-68). Questa nuova concezione della storia non resta naturalmente nel pensiero· di Carlo Antoni fine a se stessa: questa acquisizione, che giunge dalla messa in crisi della concezione hegeliana, si slarga nella visione della storia come politica. E questa è la più importante conseguenza della funzione vitale che l'Antoni attribuisce alla storiografia, la quale ci fa intendere che la storia è « perpetuo giudizio, esame di coscienza, processo di sé» (p. 68): viene così a cadere la possibilità di un asservimento de_ll'uomo alla storia, in quanto l'uomo stesso partecipa a quella polemica che è la storia e, tramite il giudizio, se ne libera. Il giudizio storico è quindi l'atto « che affranca e affida a se stessa la scienza etica» (p. 70). Ma esso non va formulato sull'isolata individualità, deve essere formulato sulla stessa storicità: intendere rettamente il significato del giudizio storico significa appunto evitare l'asservimento dell'uomo alla storia. Con rigorosa coerenza 102 BibliotecaGino Bianco
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