L'investi1nento nel futuro lo stesso tema, sembrò che, con quella sua conferenza, Snow avesse fatto saltare la diga di un torrente. Non abbiamo alcuna intenzione di soffermarci sul significato che lo scrittore inglese dà al termine « cultura », e neppure addentrarci nelle polemiche sulla legittimità, o comunque sui limiti, del suo discorso. Ma c'è una frase di Snow che ci sembra, pur nel suo semplicismo, abbastanza illuminante. Egli dice, infatti, che mentre gli scienziati « hanno il futuro nel sangue », la risposta degli umanisti sarebbe quella di auspicare « che non ci sia il futuro ». Può essere interessante ricordare che un punto di vista non troppo dissimile è stato espresso da un un-ianista, e precisamente da Howard Mumford Jones, professore di inglese a Harvard. Jones si rifà ad una sua lontana esperienza (siamo negli anni trenta) in un « gruppo di ricerca» - composto da scienziati e da letterati - dell'Università del Michigan. « Se in un certo a11no », racconta lo studioso, « cadeva l'anniversario di un grande scienziato o di un grande letterato morto e sepolto, il gruppo di ricerca dedicava una delle sue sessioni mensili alla vita e alla carriera dell'illustre scomparso. E fu precisamente a questo punto», continua Jones, « che ebbe inizio la mia educazione al problema della comunicazione, o dell'assenza di comunicazione, fra lo scienziato e il letterato. Mi sembrò, infatti, che quando il programma costringeva uno scienziato a parlare del lavoro di un genio morto e sepolto, quello si sentisse quasi invariabilmente a disagio; mentre, quando il programma esigeva lo stesso tipo di discorso da parte di un umanista, questi esultasse per tale compito». Jones cerca di individuare le cause del disagio manifestato dai suoi colleghi scienziati, nel volgersi a contemplare il passato; e con molta acutezza ne ravvisa una nella difficoltà cl1e un uomo di scienza solitamente incontra, quando deve collegare « l'opera del genio al pensiero vivo dell'epoca che lo aveva prodotto »: che è a dire, nella mancata consapevolezza di una dimensione storica della verità scientifica. Vi è comunque dell'altro; e consiste, per Jones, nello scarso interesse che gli scienziati nutrirebbero per coloro che li hanno preceduti: « •. .lo scopo principale della scienza, sembravano dire, era di stare nel presente e di scrutare nel futuro, non di vivere nel presente e di volgersi risolutamente _alpassato ... Questo nasceva dall'impegno che gli studiosi della scie11za mettono nel distruggere l'errore che costituisce una parte della nostra eredità ... Quanto più rapidamente si correggeva o si dimenticava l'errore, vale a dire quanto più efficacemente si cancellava qualche parte del passato, tanto più in fretta si sarebbe arrivati non solo alla verità, ma anche alla sua applicazione». E Jones così conclude: « Mi pare che in questa differenza 15 Bibroteca Gino Bianco
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