L'investù-nento nel futuro così dire, una scienza « animata » -, mentre la fisica, malgrado le sue applicazioni, così terribilmente concrete, resta pur sempre una scienza esterna all'uomo, « inanimata ». O forse lo squilibrio, nel campo del linguaggio, deriva da quello squilibrio di « tempi », al quale or ora accennavamo, tra il progresso della fisica e quello delle altre attività umane. Che lo squilibrio ci sia, appare comunque innegabile: e quello semantico ne maschera uno più sostanziale. D'altra parte, proprio perché il precipitoso progresso della fisica ha rivoluzionato, in un breve volgere di tempo, la condizione umana, gli uomini, pur senza comprenderla, non possono ignorarla. V'è di più: agli occhi della maggioranza, la fisica riassume in sé il concetto stesso di scienza. E ciò non fa che qualificare ancor maggiormente l'immagine dello scienziato come quella di un moderno Cagliostro, capace di ma11eggiare (nel bene e nel male) forze sconosciute, e di piegarle al proprio volere. Anche lo scienziato, dunque, ha un suo mito; che non è certo quello dell'eroe di massa: divo del cinema, o cantante di canzonette, o giocatore di calcio. Nessuno vorrebbe identificarsi con gli uomini di scienza; essi appartengono pur sempre ad una « razza di uomini di laboratorio, con occhiali cerchiati di acciaio, con dita ingiallite dagli acidi e senza una casa ». Nessuno si fa calpestare per ottenere un loro autografo, così come può avvenire per Elizabeth Taylor, per Sean Connery o per i Beatles. Nei loro confronti si prova soltanto un rispetto molto distaccato, fors'anche gelido. Ma nella loro opera si ha fede. A questa fede « di massa» nella scienza (e alla ferma volontà di strumentalizzarla, da parte dei Governi) fa riscontro la diffidenza, spesso l'ostilità degli uomini di cultura. Su questo argomento si vanno trascinando, anche in Italia, intern1inabili discussioni, spesso votate alla sterilità. D'altra parte, non va trascurato il fatto che la rivoluzione scientifica, proprio per la sua immensa portata, non può mancare di riflettersi sulla visione che oggi abbiamo del mondo. È un po' quanto accadde nel secolo diciottesimo, dopo le conquiste scientifiche del Seicento: i filosofi di quel tempo, infatti, « ci appaiono impegnati. .. a fronteggiare le conseguenze apparentemente catastrofiche delle nuove idee scientifiche che stavano filtrando nel modo di .pensare dell'uomo della strada, reinterpretando e rielaborando la tradizione umanistica dominante ». La riflessione su questi temi non è dunque inutile. Senza dire che il progresso tecnico, rappresentando un formidabile strumento di liberazione dalla fame, dalla miseria, dal freddo e dalle malattie, pone anche dei problemi di « pianificazione culturale »: basti pensare al problema del rinnovamento delle istituzioni scolastiche, la cui urgen13 BibliotecaGino Bianco •
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