Alfonso Scirocco anche a più riprese il contrasto tra napoletani e_siciliani e l'antipatia che li divide, ma, pur affermando che la diversità dipende dall'abitudine dei siciliani alle istituzioni rappresentative e dei napoletani alla servitù politica, non approfondisce le conseguenze che questo fatto ha avuto per le sorti del regno, non accenna alla resistenza dei ceti privilegiati siciliani alla politica riformatrice della monarchia, né indaga sulle cause del progresso in atto nella Sicilia dell'Ottocento, che egli stesso sottolinea. Come suole accadere quando uno scrittore si abbandona alla rievocazione, l'interesse del Palmieri è per gli uomini, protagonisti dei fatti narrati, ed è parlando di loro che egli esprime i suoi giudizi. Spesso, infatti, ha occasione di ricordare re Ferdinando IV, che frequentò per molti anni in Sicilia ed a Napoli e sul quale dà un giudizio in buona parte accettabile. Il sovrano appare al Palmieri intelligente, giusto per natura, geloso della sua dignità, rna educato male (lo scrittore poco esattamente ne attribuisce la colpa anche al Tanucci) e perciò non abituato ad interessarsi ai problemi dello Stato e pronto a lasciare agli altri le faticose cure del governo. Scettico ed apatico, il re fa consistere la sapienza politica nelle famose tre F; soprattutto debole, non dà mai direttive e si lascia guidare volta per volta da Tanucci, da Maria Carolina, dal Medici o dal Canosa. In definitiva, un cattivo re, una corte prona all'adulazione più servile, un governo che non seppe dare né libertà, né prosperità e governò solo con la forza e gli abusi: giu~izio in verità duramente negativo, spiegabile magari con la limitatezza della visione politica del Palmieri, troppo siciliano per comprendere gli aspetti positivi del riformismo borbonico ed influenzato nell'esilio dall'esperienza francese e dalle recriminazioni degli esuli. Lo scrittore non ha fiducia nemmeno nei successori di Ferdinando I: per lui Francesco I è tin uomo di grande cultura, ma un principe debole, falso e dissimulatore, mentre Ferdinando II gli appare agli inizi del regno « una piccola tigre di diciannove anni alla quale si dovrebbero in tutta fretta svellere le unghie». I giudizi del Palmieri sono, come si vede, piuttosto sommari, anche perché generalmente pronunziati com-e commento non ad avvenimenti politici, ma a fatti appartenenti alla sfera della vita privata; i ricordi, poi, vertono principalmente sulle persone che ebbero maggiore dimestichezza con l'autore, e che non sempre furono gli uomini più rappresentativi o coloro che effettivamente diressero la politica borbonica. Tuttavia le osservazioni intercalate alle slegate e spesso frivole memorie dell'esule siciliano sono ugualmente interessanti, perché rispecchiano in fondo le opinioni degli . ambienti- di corte, di quegli ambienti che, pur criticando la debolezza dei sovrani e l'insufficienza della loro azione, non erano poi in grado di appoggiare ùna politica veramente riformatrice, di allearsi alla borghesia moderata, di jnterpretare le vere esigenze del paese. E il Palmieri è, nonostante la sua condizione di cadetto, il rappresentante della nobiltà siciliana, rivolta più alla difesa dei propri interessi e delle « libertà » isolane che alla conquista di una libertà moderna, la quale presupponeva una trasformazione sociale cui essa fu sempre ostile. 124 Biblioteca Gino Bianco
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