Recensioni cibile numerosi ed influenti gruppi liberali meridionali, che indubbiamente non erano tutti diretti dai democratici fin dall'origine» (p. 31). Se si aggiunge a questa impostazione politica il favore che le prime luogotenenze usarono con i vecchi funzionari borbonici, la tolleranza per l'ingresso dei legittimisti nelle municipalità e il ritardo nell'armamento delle guardie nazionali, si completa il quadro delle responsabilità che il Molfese fa gravare sulla politica moderata nei confronti del brigantaggio. Bisogna, tuttavia, tener presenti le gravi difficoltà che il governo di Cavour e quelli che lo seguirono incontravano nei rapporti coi francesi e lo Stato pontificio, e notare che l'unificazione del Sud era avvenuta essenzialmente contro il programma democratico della Costituente italiana. Quello che nocque alla comprensione della natura delle « reazioni » contadine, fu l'assenza di ogni sensibilità per i problemi dei rapporti economici e sociali del Meridione, che era comune ai moderati piemontesi e toscani, come a tutta la classe dirigente meridionale. Il Molfese non manca di fare un ampio quadro della crisi agricola generale, dell'endemica disoccupazione bracciantile, della profonda ingiustizia dei rapporti agrari, che perpetuava l'avversione dei contadini per i « galantuomini » antichi e recenti, ma avremmo forse desiderato che fosse più estesa l'indagine strettamente economica: l'Autore afferma di voler limitare il suo studio al piano politico-militare, e deve rinunciare per questo a chiarire qualche atteggiamento di ceti e gruppi meridionali. Non è ben chiaro, ad esempio, l'influsso della mancata quotizzazione delle terre demaniali sulla piccola borghesia agraria, che vi era interessata, per quanto il Molfese vi annetta molta importanza. Non esistendo, in fondo, nessun programma realistico per risolvere rapidamente i problemi agrari e politici del Mezzogiorno, quando il brigantaggio si profilò in tutta la sua violenza, si presentò altresì la necessità della repressione militare. Ed era inevitabile che i « cafoni » d'Abruzzo, delle Puglie e della Basilicata, cui « appariva solidale la causa del trono e dell'altare contro il regime unitario» (p. 76), avessero in più l'impressione di una dura ostilità del governo «piemontese», che veniva del tutto impreparato a capire e risolvere la questione contadina delle provincie meridionali. Nella primavera del 1861 il brigantaggio si presentò nel suo aspetto più preoccupante di rivolta armata: grosse bande a cavallo assalivano i paesi dell'interno, dichiarando la restaurazio,ne borbonica, e nelle loro rapidissime scorrerie ricattavano, uccidevano e tagliaggiavano i possidenti, passando ben presto sopra ogni distinzione politica. Dalla zona di Melfi, dove la rivolta dei « cafoni» trovò un capo coraggioso ed energico in .Croceo, essa dilagò nel Tavoliere, nel Casertano, nel Venosino, finché, in breve, tutte le provincie meridionali furono in fiamme. Avrebbe corso pericolo la stessa solidità dell'ordine unitario, se l'attività del luogotenente Cialdini non fosse stata particolarmente efficace: egli arruolò le guardie nazionali tra gli stessi proprietari e attirò anche i braccianti nelle file della repressione, pagando un soldo superiore al salario medio giornaliero. Adottando una tattica di difesa dei grossi centri e colpendo i briganti con reparti mobili, riuscì a fronteg119 Bib iotecaGino Bianco
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