Giovanni Aliberti colta, e la loro validità è dovuta al fatto che i~ essi l'autore sembra abbandonare le tesi precostituite sul « sistema», sulla· « struttura dello Stato sorto dal Risorgimento», per addentrarsi, sulla scorta di un esauriente e pertinente materiale storiografico, nella disamina dei temi suddetti. Molto interessante è l'analisi delle posizioni della « Rassegna» e del carattere di « opposizione agraria» che essa esercitò, soprattutto ad opera del Sonnino, nei confronti della politica del governo. Meglio sarebbe stato, però, mettere maggiormente in evidenza il carattere « ruralistico » dell'opposizione del periodico fiorentino, che potrebbe spiegare in modo più circostanziato il ruolo che, per esempio, la « Rassegna» riservava all'emigrazione, considerata quale necessar-io e « naturale » rimedio ai mali della struttura agraria meridionale. Nell'ambito generale della questione agraria, infatti, la « Rassegna» era portata a vedere nell'emigrazione piuttosto che nell'industrializzazione il rimedio alla depressione agraria, ciò che dimostrava l'intento della « Rassegna>> di « una precisa ricerca di stabilità sociale entro un equilibrio arcaico fra le varie attività produttive del paese» (Cafagna, cit., pag. 254 e segg.). Ed in questo contesto « ruralistico » ci si può anche spiegare più agevo1 lmente, senza ricorrere alla « rivoluzione agraria mancata », il motivo per cui la « Rassegna», « pur rico•nducendo alla struttura stessa della proprietà fondiar,ia l'origine di questi squilibri ~ di questi contrasti (dei rapporti sociali nelle campagne), era tuttavia ben lontana dal sollecitare un intervento diretto, per la trasformazione di questa struttura» (Villari, cit., pag. 69). Nell'ultimo saggio, invece, sul meridionalismo di G. Salvemini, il Villari, che nella premessa al volume sembrava voler superare la semplicistica e superficiale concezione dei meridionalisti, conservatori e democratici, come « profeti disarmati», non si discosta affatto da questo schema, così che l'enunciato tentativo di « superamento» rimane solo una pia intenzione. Nel saggio in questione (già apparso in: di AA. VV., Gaetano Salvemini, Bari, 1959), infatti, che cos'è Gaetano Salvemini per il Villari? Niente altro che un « profeta disarmato», la cui azione « era fondata su una visione frammentaria e in parte moralistica degli ostacoli che si frapponevano alla evoluzione del regime liberale italiano» (pag. 193). È la tipica immagine, cara alla storiografia 'comunista italiana, di Salvemini « anima e1ninentemente religiosa», il cui im,pulso morale « quando poté identificarsi in una forza politica (leggi socialismo), si trovò in una linea oggettivamente feconda e suscitatrice di energie e di grandi insegnamenti; qua11do invece quest'impulso si trovò dialetticamente op·posto alle condizioni storicamente costituitesi della società italiana » fu « predicazione spesso moralistica, astratta, di netta impronta utopistica» (Salvadori, Il mito del buongoverno, Torino 1960, pag. 285). Questa duplicità di Salvemini, sostenuta a voce spiegata dalla storiografia comunista, secondo la quale, finché Salvemini rimase nel PSI, fu «buono», e quando smise di rimanervi non fu altro che « un fuoruscito dal Partito», incapace « di rendersi conto dello stato reale delle forze politiche in Italia» (Gramsci, L'Ordine nuovo, Torino 1955, pagg. 257-259) risale, come molte altre « tesi » che ancora oggi la storiografia di cui sopra si ostina 116 Bit;)lioteca Gino Bianco
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