Nord e Sud - anno XII - n. 64 - aprile 1965

Giovanni Aliberti care se ciò fosse un bene o un male, limitandosi ad .analizzare e a descrivere un processo avvenuto nel tempo e nello s·pazio. È questa la tesi centrale di Romeo, tesi che l1a profondamente innovato gli studi storiografici su questo periodo e che ha aperto un dibattito interessante, ancora lontano, a tutt'oggi, dall'essersi esaurito. Ora, dopo questa necessaria digressione, to,miamo al Villari che, nel saggio citato, riprende la tesi gramsciana sulla necessità di una riforma agraria per il compimento della rivoluzione borghese italiana; e, dopo aver sostenuto che la « questione meridionale » consiste, « anziché nello sfruttamento economico e finanziario ..., nella rinunzia determinata dalla stessa struttura risorgimentale dello Stato, e imposta a tutto il paese dall'orientamento dell'industrializzazione, ad utilizzare le potenziali risorse umane, intellettuali ed economiche del Mezzogiorno nella costruzione della nuova società italiana » (pag. 29), continua affermando che questa « rinunzia » non « ha portato di per se stesso un rilevante contributo di capitali all'industrializzazione», a causa « dell'immobilismo semifeudale e della estrema povertà del mercato delle regioni meridionali » (pag. 30). E più oltre il Villari riprende questo concetto sostenendo che « il contenimento dei consumi contadini, esercitandosi nel contesto di una economia semifeudale, non poteva conseguire altro risultato che quello di accentuare il disagio ed il ristagno delle campagne e la generale arretratezza sociale e civile del Mezzogiorno» (pag. 32). Da ciò, continua Villari, deriva « l'esistenza di una vasta e compatta zona semifeudale » che impedisce di considerare la struttura economica del1' epoca come « un momento di transizione verso un omogeneo e maturo sistema capitalistico nazionale» (Villari id). La tesi di Romeo, pertanto, parrebbe uscire' distrutta, o quanto meno lesionata, dalla confutazione del Villari; senonché quest'ultimo non dimostra il suo assunto, limitandosi a ribadire (pag. 33) che « la mancata trasformazione agraria del Mezzogiorno, non può essere considerata né semplicemente come un sottoprodotto negativo, né come una sorta di elemento provvidenzialmente positivo della rivoluzione industriale» (il corsivo è nostro). In effetti, Villari,. in modo molto arbitrario, verifica il suo assunto in un periodo posteriore a quello a cui si riferisce Romeo, che è il ventennio immediatamente post-unitario. Questo periodo, che fa registrare un notevole incremento della produzione agricola, ma non un corrispondente aumento dei co,nsumi alimentari pro-oapite (come lo stesso Villari riconosce più avanti), smentisce appieno la costruzione di Villari, mostrando, viceversa, come fu proprio quella sfasatura, quella mancata redistribuzione della ricche~za nel settore da cui l'incremento di tale ricchezza era derivato·, a creare la fonte di quell'accumulazione capitalistica da cui l'Italia prese l'avvio per la sua industrializzazione (per quanto riguarda lo sviluppo dell'agricoltura italiana nel primo ventennio post-unitario e l'importanza che essa ebbe per l'industrializzazione del paese, cfr., fra l'altro, Romeo, Breve storia della grande industria in Italia, ed. Cappelli 61, n. ed. 63, pag. 27 e seg.). Certo il Villari ha ragione nel sostenere che l'arretratezza del Mezzo114 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==