Giovanni Aliberti Qualificato esponente di questa storiografia è Rosario Villari, che nel suo recente volume: Conservatori e democraiici 11,ell'Italia liberale (Laterza, 1964) pone ancora una volta sotto accusa la classe dirigente liberale prefascista (cfr., al riguardo, a cura dello stesso R. Villari, Il Sud nella storia d'Italia, Laterza 1961). Banco di prova dell'accusa di Villari è anche in questo libro la « questione meridionale », che egli esamina non solo nel suo significato « nazionale », cioè per l'incidenza che essa ha avuto sull'intera struttura sociale ed econ<;>micadel paese, 1na anche, per così dire, calandosi <e all'interno» di essa, con la disamina degli atteggiamenti e dei comportamenti di quei gruppi di politici-intellettuali che fecero della « questione meridionale » il punto nodale per un discorso riformatore, sia in senso liberalconservatore che in senso democratico-radicale, sullo Stato italiano postunitario. Fin qui la posizione di Villari è non solo legittima, ma anche valida nel piano storiografico: la sua legittimità e validità, però, rimangono allo stato intenzionale, poiché Villari non esita, sin dalla premessa, a manifestare quello che è il limite più avvertibile del suo volume e cioè il partire da « tesi» precostituite, entro le quali egli s'ingegna, peraltro con molta abilità e fair-play, ad adattare l'interessante materiale storiografico raccolto ed i giudizi di valore su di esso. Inoltre, le· « tesi» a cui Villari s'ispira, e che dovrebbero costituire il . succo dell'intero volume, sembrano orientate da convegni di partito. Non sempre Villari sa tenere separata la politica dalla storiografia (e, riconosciamolo, da uno storico marxista, non lo si può pretendere!); ma ciò che dispiace è vedere sovente il Villari politico egemonizzare e strumentalizzare il Villari storico. Tipico esempio di quanto siamo venuti affermando lo si evince chiaramente da tutta la « premessa » al volume, dove Villari considera le posizioni di Fortunato, Sonnino e Salvemini come aventi « una caratteristica comune» quella di « svolgersi sostanzialmente all'interno del sistema politico creato dal liberalismo risorgimentale», e di mirare « al consolidamento e all'espansione delle sue basi ». Tesi, questa, che ripete i luoghi più ovvi della tematica comunista, tendente a cancellare tutte le posizioni etico-politiche non comuniste, da quelle liberali-conservatrici a quelle liberali-moderate, da quelle democratiche-liberali a quelle radical-socialiste, sotto la semplicistica etichetta della « borghesia», che è la salsa con cui i comunisti si compiacciono di condire tutte le vivande che non provengono dalla loro cucina. Un altro esempio ancora più evidente il Villari lo fornisce in chiusura della sua «premessa», quando non si accorge di cadere in una contraddizi(?ne logica oltreché storica: infatti, dopo aver affermato che « le forze dell'opposizione tradizionale furono coinvolte nella crisi della direzione liberale dello Stato, all'indomani della prima guerra mondiale », aggiunge subito che esse, pur avendo esaurito « in quel momento la loro autonoma funzione politica», continuarono ad esercitare « una lunga e durevole influenza (il corsivo è nostro) sulle correnti e sui partiti antifascisti » (Villari cit. pag. 3). Villari, che oltretutto non può ignorare la tesi gramsciana sugli ' intellettuali 112 BibliotecaGino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==