Nord e Sud - anno XII - n. 63 - marzo 1965

Giornale a più voci autorevole articolo di fondo, la ha definita « tema chiave » dell'attuale 1nomento economico; l'ISCO la ha prospettata nel suo rapporto; il CNEL la ha fatta sua nella dichiarazione di maggioranza emessa a commento del rapporto ISCO. È una tesi tuttavia che lascia alquanto perplessi. Quello che occorre o,ggi è una ripresa degli investimenti, e, in un mercato stagnante, non saranno le prospettive di una tregua salariale o di agevolazioni fiscali ad indurre gli imprenditori a nuovi programmi di espansione. La speranza di ottenere dai sindacati una tregua salariale vera e propria sembra assai esigua, se si tiene conto delle dichiarazioni provenienti da taluni esponenti del movimento sindacale, e ancor più del fatto che, non appena la ripresa produttiva sarà avviata e la disoccupazione tenderà nuovamente a scomparire, anche la lotta sindacale riassumerà la medesima vivacità degli anni scorsi; sotto questo profilo, ripresa e tregua salariale non sembrano termini facilmente conciliabili. Ma anche se questa impostazione finisse col prevalere, e il governo concedesse sgravi fiscali e i sindacati venissero a più miti consigli, è assai dubbio che questi sarebbero gli elementi adatti a stimolare la ripresa. Coloro che credono in buona fede in questa eventualità, sono inconsciamente vittime di un tipo di ragionamento economico, assai autorevole, ma ormai sorpassato dai tempi, secondo cui l'imprenditore ha solo problemi di efficienza, ma non problemi di mercato; secondo questa visione, il mercato assorbe qualsiasi volume di produzione, purché l'impresa sia in grado di produrre a costi competitivi. Questa impostazione potrà essere valida ancora oggi limitatamente al mercato mondiale; ma non è più applicabile ai singoli mercati nazionali. L'industria oggi non è più, come un tempo, un insieme di piccole imprese indipendenti, bensì un tessuto fittissimo di grosse e piccole imprese, strettamente collegate da rapporti di interdipendenza reciproca; la domanda che ogni impresa trova sul mercato dipende strettamente dal volume di produzione di tutte le altre, sicché il fatto di produrre a costi competitivi non facilita il collocamento del prodotto, se non vi è simultaneamente una ripresa dell'attività produttiva generalizzata all'intero settore industriale o almeno a una parte sostanziale di esso. L'aumento delle dimensioni aziendali e l'infittirsi delle interrelazioni fra settori e fra singole imprese ha fatto sì the l'intero insieme delle imprese industriali si muova ormai sempre di conserva. In queste condizioni, è vano sperare che i singoli imprenditori, stimolati individualmente attraverso incentivi di qualsiasi natura, si lancino in nuovi piani di investimento in seguito ad una decisione individuale. Nessuno rischierà, se non rischiano gli altri. Resta allora la terza alternativa, quella di intervenire attraverso un deliberato piano di investimenti pubblici. In una economia come la nostra, una soluzione del genere dovrebbe presentarsi anche più agevole che non in altre economie ad iniziativa privata, nelle quali il peso del settore pubblico è assai minore che non nel nostro paese. Il settore pubblico dell'economia italiana si estende, sotto forme diverse e in diversa misura, ai rami più svariati dell'industria: dalla siderurgia all'energia elettrica, al petrolio, alla 47 BibliotecaGino Bianco

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