Lettere di Persico a Gobetti Veronesi, « un'intesa perfetta e profonda sarà sempre impossibile fra l'uomo 'angosciato e dubbioso', seppure d'acciaio, che Persico era, e l'uomo d'azione sicuro di sé e incamminato su una strada diritta e senz'ombre che si chiamava Gobetti ». Nel periodo successivo al carteggio, Persico si trasferisce prima a Torino, dove vive la sua più dura e formativa esperienza di uomo, di antifascista e di critico d'arte, e poi a Milano, dove fino al '36 darà il meglio della sua attività specie in campo architettonico. Tuttavia, come dicevo, le lettere a Gobetti, l'incomprensione tutta « politica » e positiva di costui, nonché le numerose testimonianze sulla formazione napoletana di Persico sono elementi assai utili alla definizione di questo personaggio, come pur,e della condizione della cultura n1eridionale. Lungi da chi scrive l'intenzione di vantare Persico come una gloria municipale, in considerazione anche dell'avversione che egli, giustamente - specie tenendo conto del suo tempo - nutriva per l'ambiente napoletano. Tuttavia in lui erano fortemente radicati i segni positivi e negativi di questo ambiente, nonostante che egli fosse un caso a parte. « Educato nella linea cattolica della fine borghesia napoletana, erede non dimentico, nonostante le più « borboniche » tradizioni e i più spagnoleschi costumi, dell'illuminismo forse più autentico della storia d'Italia, quello, appunto, napoletano, sebbene egli recasse in sé il senso profondo di tal duplice aspetto della cultura che gli fu madre, la sua intelligenza adamantina faceva di lui, che pur si voleva romantico, l'erede dei ' cartesiani di Napoli' ». Oltre a ciò, su Persico peserà costantemente il senso di un « provincialismo partenopeo » da riscattare a tutti i costi, con un lavoro più intenso, una informazione piì1 aggiornata, un'azione più infaticabile di quella dei suoi amici settentrionali, i quali hanno, tra l'altro, la ventura di essere più vicini all'Europa. Quella Europa che per lui non è solo il luogo del progresso economico-sociale, ma assume il significato di una unità culturale e politica cui bisogna tendere con spirito religioso, per superare da un lato le angustie del progressismo positivistico e dall'altro la pressante minaccia delle dittature nazionalistiche. Ritornando al suo epistolario napoletano, va infine notata la totale, patetica apertura di Persico verso Gobetti, che nasce dal suo disperato isolamento, da una disposizione d'animo che a volte abbandona ogni riserbo. « Sono stanco di questa città e di questi indigeni, e se non fossi ammalato fuggirei di nuovo all'estero (24 luglio 1924)... a Torino credevo di trovare me stesso" a Napoli sento di ·aver smarrito l'unico incitamento a fare la mia strada. Eri tu, col tuo esempio, era la tua amicizia. Ora sono solo e mi sento impazzire (28 ottobre 1924)... Per essere certo che una mia lettera non ti. infastidisse ho atteso un segno della tua 125 Biblioteca Gino Bianco
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