Nord e Sud - anno XII - n. 63 - marzo 1965

Ernesto Mazzetti nella quale ogni cosa comincia ad aver valore solo quando ha perduto la sua condizione unicamente naturale» (pp. 63-64). Quali le conseguenze che si possono trarre da questo più chiaro e consapevole modo di intendere le discipline che tuttora vengono composte in una scomoda unità sotto i vessilli della « geografia integrale »? Conseguenze che, nell'insegnamento universitario, valgano a far ricoprire a geografi di forma mentis od orientamento naturalistico gli incarichi d'insegnamento nelle facoltà naturalistiche, e a geografi di forma mentis umanistica e di orientamento storicistico quelli delle facoltà umanistiche. Nei concorsi per le docenze, la conseguenza di rinunciare, confor1ne a quanto è avvenuto in Francia, « alla tradizione di invitare il candidato ad elaborare due tesi in due branche diverse della geografia: la naturale e la umana» (p. 97). Nelle ricerche di geografia umana, la conseguenza di non porre più artificiosi limiti ai criteri di ricerca. Ove si conduca una indagine su una realtà urbana o su un paesaggio rurale, ci si viene a trovar di fronte ad « una intelaiatura di elementi fino a tal punto complessa che non può venir ripartita o sezionata interiormente in base a ciò ch'è visibile e topograficamente distinguibile e a ciò che non lo è» (p. 117). Il Gambi aggiunge, traendo appropriatamente esempio dalla Megalopolis del Gottmann e dal Précis de géographie urbaine del George: « Una creatura della storia qual'è la città ... forma t1n problema unico, solidale, che va esaminato in toto, in modo integrale, e che da sé identifica i suoi limiti ». Discorso che ripete a proposito dell'ambiente rurale, citando, altrettanto appropriatamente, il Sereni. Proprio il ricorso a strumenti d'indagine che consentano di cogliere più acutamente la « complessità di fenomeni e impulsi storici » ( complessità che invece sfugge alle ricostruzioni « di un paesaggio - anche quando lo si chiama paesaggio umano - » che tenga conto solo di elementi « visibili e topografici» (p. 152) ), può permettere al geografo di essere guida, e guida efficace, all'azione di amministrazioni pubbliche, di organismi di pianificazione territoriale o di studio ambientale. Nell'ultimo saggio del suo libro, « Compartimenti statistici e regioni costituzionali» (p. 155-167), Gambi dà pure una dimostrazione di come, con esperienza e competenza di geografo, si possano fornire indicazioni validissime all'azione della classe politica e, forse, prevenirne possibili errori. Indicazioni che, peraltro, già da tempo i geografi di altri paesi forniscono (vedasi Géographie et action del Philipponneau), sia come consulenti saltuari, sia come funzionari full time delle amministrazioni pubbliche (è il caso, quest'ultimo, sopratutto degli Stati Uniti). Di qui pure, dunque, la implicita, e più importante, conclusione cui perviene il Gambi: che, in Italia, la geografia, in quanto discip1ina e in quanto complesso di uomini che ne fanno oggetto di studio, potrà diventare un ramo verde sul tronco della cultura italiana e, come tale, offrire il suo contributo, analitico ed operativo, non dissimilmente da quanto fanno altre discipline, alla soluzione di problemi itçiliani solo nella misura in cui sappia e voglia scrollarsi di dosso le ceneri del positivismo, i miti di grandezza che la vogliono « punto di fusione delle discipline naturali e delle discipline 120 Biblioteca Gino Bianco .

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