Nord e Sud - anno XII - n. 63 - marzo 1965

Gioacchino Forte esse possano dare un'idea sufficientemente approssimativa dell'alternarsi di banalità e di ammirevoli intuizioni di cui è intessuto il libro di Daudy. L'autore non rinuncia alla tentazione di analizzare, oltre che diagnosticare, il male, e di indicarne i rimedi. Particolarmente severo egli si mostra contro . quella che chiama « la vieille illusion du libéralisme napolitain ». Dopo aver concordato con il giudizio degli intellettuali pii1 illuminati che accusano la classe dirigente locale di essere « la più irresponsabile d'Italia», Daudy si mostra scettico verso coloro che vedo,no il rimedio del male in una « presa di coscienza » da parte dei napoletani dei loro problemi secolari. « La logorrea, l'insipido verbalismo napoletano ha fatto il suo tempo - egli scrive-. L'esempio stesso non serve. L'entusiasmo, la volontà di muoversi, di cambiare, non può che smarrirsi nel labirinto dei bassi. Solo una testimo,nianza, e una partecipazione potrebbero riuscire a sollevare questa massa inerte: uria specie di santità politica [il corsivo è nostro]. La plebe non crede più, non ha mai creduto ai signori che le parlano dall'alto del loro gran cuore e delle belle parole. Essa comincia a essere stanca di questi vecchi notabili che vengono di tanto in tanto, ad adulare la sua miseria. Quello che un Danilo Dolci ha fatto per i disoccupati siciliani forse potrebbe bastare a soddisfare l'attesa dei disoccu1,ati-filosofi, degli scassinatori, dei p1cco11vena1tori an1bulantì, ae1 portatori di caffè a domicilio della casbah napoletana. Solo un napoletano, un vero testimone, innamorato del disordine, sensibile ai gridi e alle commedie, capace di comprendere l'allegra disperazione quotidiana dei vicoli, potrebbe urlare a questa folla che essa è sporca, laida, tarata, infelice, fino a renderle insopportabile questa sporcizia, questa laidezza, queste tare e questa infelicità. Ma il diritto di dirle queste verità così crudeli, non lo potrebbe conquistare che dividendo con essa il suo destino ... » Ma Daudy ci aveva già detto che, nel 1951 (un'epoca che, disgraziatamente, sta tornando d'attualita), un napoletano su cinque occupava un posto dove percepiva un reddito fisso. Il « santo politico », il De Gaulle dei bassi, il mistico rivoluzionario capace di trascinare le plebi, potrebbe da solo risolvere una situazione così compromessa? Se la « presa di coscienza» è una soluzione letteraria, il rimedio di Daudy, ci sembra, potrebbe concludere ottimamente una commedia di Eduardo De Filippo, non un periodo di storia che dura da tanti secoli. I disoccupati non si sottraggono alla disperazione, i ragazzi non si mandano a scuola, la supematalità dei bassi non si combatte, la superstizione delle plebi non si vince con gli urli melodrammatici di un nuovo Masaniello, ma con un rinnovamento radicale delle strutture socioeconomiche, con investimenti, costruzioni di case per lavoratori, istituzione di consultori demografici, allestimento di aule scolastiche e così via. In altre parole, l'autore che critica giustamente il provincialismo intellettuale di certi poco avveduti « clercs » locali, cade nei loro stessi errori suggerendo per terapia dei mali di una città che, si sente, egli ama, ... una specie di San Gennaro rammodernato. Citazione a parte meritano le fotografie, in bianco e nero e a colori, di. Bruno Barbey. In centotrenta immagini, una più bella dell'altra, ci viene 116 Biblioteca Gino Bianco

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