Recensioni l'importanza nel migliore dei modi, e cioè additando come questa nuova interpretazione della cupola completi la conoscenza dell'intera basilica vaticana. Ne risultano precisate ulteriormente le profonde diversità di concezione e di linguaggio fra il progetto del Bramante e quello del Buonarroti fino al riconoscimento che « il superamento dei valori tradizionali del Rinascimento, espresso da Michelangelo in tutta la sua opera, trova qui la testimonianza più significativa ». RAFFAELE MORMONE La Napoli di Daudy « ... Le Midi vu par les gens du nord semble toujours faux ... » (pg. 5). « ... Tout conformisme viellit et sécrète son contre-conformisn1e ... » (pg. 46). « .•. Les Neapolitains se plaignent des idées préconçues que l'on entretient sur eux » (pg. 50). L'ossessione, si direbbe, che si affaccia in ogni pagina dell'elegante volume di Daudy (Philippe Daudy, Naples, Editions Rencontre, Lat1sanne 1964) è di evitare i tranelli delle idee correnti, i facili approdi del cliché oleografico che secoli di turismo più o meno letterario hanno creato intorno alla capitale dell'ex regno delle Due Sicilie. Si dice che i Napoletani sono pigri e indolenti? Daudy ci racconta che quando sorse a Pozzuoli lo stabilimento « Olivetti » bastò un corso di pochi mesi a qualificare eccellenti maestranze. I reportages giornalistici lamentano fino alla nausea la trascuratezza con la quale la città viene tenuta: ebbene, Daudy ci dice che « Naples est la plus parisienne des villes d'Italie » e che alcuni quartieri potrebbero servire da esempio per molti municipi di Europa. Le guide turistiche celebrano le delizie gastronomiche dei ristoranti di Santa Lucia: il nostro controbatte che la migliore cucina napoletana si può gustare in un locale sconosciuto dai baedekers. Per mesi e mesi Daudy ha girato in lungo e in largo Napoli; ha parlato con i « clercs » locali, ha frequentato salotti più o meno « bene», ha assistito agli spettacoli del San Carlo e ai concerti della « Scarlatti», ha raccolto potins, ha gustato le specialità culinarie, ha letto Vico o Croce, ha ritagliato pezzi di cro,naca dei quotidiani, ha visitato chiese barocche e ville vesuviane, ha tradotto proverbi dialettali, si è documentato con amorevole pazienza sugli usi del popolo minuto e di quello grasso, ha compulsato vecchi annuari statistici. Gli è bastato tutto ciò per darci un ritratto inedito della città forse più «colorita» d'Italia? Il suo compito, occorre riconoscerlo, non era facile. Leggendo le pagine di Naples (scritte in un francese deliziosissimo, piene di delicata ironia e, a tratti, di passione ben poco nordica) viene spontaneo il confronto con le memorie di viaggio di diecine di illustri predecessori, da Goethe a Stendhal, dal Fucini evocatore efficacissimo dell'orrore delle fosse comuni, al beffardo Peyrefitte di Du Vésuve à l'Etna. Ora, conformismo o non-confomìismo, se c'è un rimprovero che non si 113 BibliotecaGino Bianco
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