Nord e Sud - anno XII - n. 63 - marzo 1965

Raffaele Mormone zazione, in metri sette; si tratta di quasi sei m~tri rispetto al punto di innalzamento del piano d'imposta al di sopra dell'attico e di circa un metro al sopralzo terminale della curvatura; la quale ultima - e ciò interessa sommamente - rimane pressoché immutata nei due grafici. Codesta enunciazione critica e il conseguente apparato esplicativo poggiano su una filologia quanto mai rigorosa. È da segnalare, peraltro, che tutto lo studio risulta animato da un calore umano e da una fervida ammirazione che non 1nortificano mai la nobiltà dell'argomento con discorsi vacui e am ... pollosi, o,ppure freddamente tecnici. È il caso di menzionare qui, ad esempio, il riuscito tentativo di ripercorrere, non per mera curiosità ma per verificare le suddette conclusioni, sulla scorta della documentazione a tutt'oggi disponibile, le fasi successive della traduzione in opera del progetto michelangiolesco, specie dal 1588, allorché il Della Porta ebbe a riprendere i lavori dopo un intervallo di ventiquattro anni da quando il Buonarroti aveva curato la costruzione del tamburo. In uno spazio di tempo incredibilmente breve fu portata a compimento l'ardua impresa: « la più grande cupola che fosse mai stata realizzata era stata eseguita in soli diciassette mesi. .. grazie all'intuizione di Michelangelo ed alla capacità organizzativa e tecnica di Giacomo Della Porta ». Il Di Stefano, oltre ad avere studiato. le complesse vicende della ideazione e della edificazione della cupola, passa ad esaminare quelle, altrettanto controverse, relative alla conservazione e agli interventi protettivi dell'eccezionale monumento. Dopo un quarantennio, da che s'era conclusa la copertura, iniziarono a manifestarsi i primi dissesti, dai quali furono stimolati « l'attenzione e l'interessamento dei pontefici, degli ingegneri e dei maggiori architetti del tempo ». Lunga e minuziosa è la disamina dei diversi pareri pronunciati in epoche diverse e specialmente nel settecento, ad opera di Giovanni Poleni, fisico di tempra singolare e cattedratico nell'ateneo patavino, e da Luigi Vanvitelli, quand'era architetto della fabbrica di San Pietro. Nel corso della quale indagine il Di Stefano ha occasione di precisare taluni altri aspetti del monumento, spesso in contrasto con quanto affermato da altri studiosi, formulando una motivata diagnosi delle lesioni tanto nei supporti che nelle murature. Lesioni che non possono attribuirsi « né a difetti di impostazione statica, né ad errato dimensionamento» e che non hanno mai debilitato i costoloni, ma si sono riscontrate nell'anello murario collocato ad una certa altezza per l'assorbimento delle spinte di trazione. Codesta conclusione rivaluta il progetto di restauro, più preventivo che curativo, escogitato a suo tempo dal Polleni, il cui contributo meritava la valoriz:Zazione perché « presenta per noi un più vivo interesse in quanto anticipa l'applicazione di quei criteri metodologici che sono oggi universalmente seguiti nel restauro dei monumenti». Lo stuqio delle misure proposte dal Vanvitelli, cui è dedicato un intero capitolo, condotto com'è sulla scorta di reperti archivistici finora inediti, consente altre conferme alle conclusioni del Di Stefano. , Il volume reca una dotta prefazione di Roberto Pane, che ne sottolinea 112 Biblioteca Gino Bianco

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