RECENSIONI La serietà di Cassola L'accusa di coltivare una « letteratura di evasione», con la conseguente « defezione » dai temi e dai problemi della società contemporanea (come la psicanalisi, il marxismo, il neocapitalismo, l'alienazione, i rapporti est-ovest, la scissione dell'atomo) ha costretto, più volte negli ultimi tempi Carlo Cassola a rompere il suo abituale riserbo, per chiarire, in polemica con le « aperture » neoavanguardiste, la sua concezione estetica e per inquadrare con più rigore sul piano storico le sue « ragioni» narrative. Le « puntualizzazioni » di Cassala, considerata la semplicità del suo carattere e l'avversione alle schermaglie dialettiche, hanno fatto pensare ad una « rivolta ». Certe ingiustificate « rotture » con la tradizione e l'indiscriminato dilagare delle tecniche sperimentali ed informali, gli hanno, infatti, fornito l'occasione di riaffermare la validità delle « distinzioni» crociane tra Arte e Pratica, tra Letteratura e Politica. Il « ritorno» dello scrittore alle posizioni di Croce non è casuale, né estemporaneo: è la conseguenza di una lunga meditazione sulla realtà letteraria contemporanea. Cassala ha compiuto una scelta spirituale « irreversibile» e categorica: « quando incominciai ad interessarmi di letturatura, poco prima della guerra, e anche negli anni successivi - egli ha scritto -, i crociani mi davano noia: mi sembravano libreschi, ingessati, sempre bisognosi di ricorrere a categorie. Non riuscivo ad aderire a Croce e alle sue teorie: al suo « messaggio ». Anche se mi trovavo d'accordo su certi temi, mi pareva che non fosse il caso di starci tanto a ragionar su; pensavo insomma che le scoperte di Croce, soprattutto in materia d'estetica, si risolvessero tutt'al più nel ribadire delle verità che erano già nella mente di tutti. Ma oggi, in un certo senso, posso dire di essermi ricreduto. A farmi cambiare idea è appunto lo spettacolo della rozzezza culturale cui mi trovo costretto ad assistere. La spaventevole confusione tra cultura, arte e politica, in cui si aggirano i vari Sanguineti, non si sarebbe forse verificata se l'autorità di Croce fosse rimasta salda. Quella di confondere l'arte con la pratica è, in realtà, una condanna che ci tiriamo dietro da quarant'anni e che anche in questo dopoguerra ha fatto un gran numero di vittime. Anch'io, allora, come tanti altri intellettuali della mia generazion~, sono stato tent 4to di diventare comunista in seguito ad una scelta estetico-decadente; cioè per lo stesso motivo che, negli anni venti, indusse tanti nostri antenati, che presumevano di intendersi di letteratura, a diventare dannunziani e poi fascisti. Oggi, basta guardarsi intorno per capire che siamo ancora ben lontani dal poterci considerare guariti da questa malattia. La neoavanguardia, poi, ne soffre in maniera addirittura epidemica, irreparabile». Un atto di coerenza con questa concezione è l'ultimo romanzo, Il caccia103 BibliotecaGino Bianco
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