La polpa e l'osso dell'agricoltura salernitana della produzione agricola, mentre 30 anni fa se ne otteneva solo un terzo. È la vostra ricchezza ed è una ricchezza che cresce di anno in anno: in 30 anni o poco più si è quasi triplicata e nei soli ultimi 10 anni è cresciuta del 72%. Siamo già ad un valore medio di produzione che si avvicina alle 900 mila per ettaro, tale da battere parecchie delle migliori terre del Napoletano e da far includere queste tre le poche terre molto produttive d'Italia. Ci sarebbe molto da dire su questa « polpa » salernitana, la cui ascesa potrà ancora continuare, se si sapranno mettere a punto molti aspetti e problemi tecnici, economici, strutturali e orga11izzativi relativi non solo alle attività agricole, ma alle connesse attività industriali e commerciali. Tuttavia non è della « polpa » che desidero oggi parlare, bensì dell' « osso » agricolo della provincia: delle zone, cioè, che, insieme con quelle che potremmo chiamare zone collinari intermedie, costituiscono la parte più antica e storicamente importante della vostra agricoltura. L'osso rappresenta la maggior parte del territorio della provincia. Al Cilento, che con le sue appendici ne costituisce la sezione più grossa ed interessante, vanno aggiunte, infatti, la montagna e l'alta collina ai confini della provincia di Avellino. Si tratta dell'80% del territorio provinciale, nel quale ancora nel 1961 trovava occupazione il 63% delle forze di lavoro addette all'agricoltura e dal quale si ricavava appena un terzo del valore della prodt1zione agricola. In mezzo, tra la polpa e l'osso, ci sono, poi, quelle zone collinari intermedie, che, dalla penisola amalfitana, corrono a mezza costa fin sopra ad Eboli; che occupano u11 pò meno di 70 mila ettari (il 12% residuo); che impiegano meno del 10% delle forze di lavoro agricole e contribuiscono con il 18% a formare il valore della produzione. Diciamolo, quindi, francamente: il più grosso problema agrario della provincia è oggi quello delle zone povere, delle zone dell'osso. Malgrado, infatti, il molto lavoro dedicato a questa agricoltura nei decenni passati, essa è praticamente ferma: tra il 1930 ed il 1950 il valore della produzione no,n è cresciuto e tra il 1950 ed il 1960 esso è cresciuto a mala pena del 20% (e a ben guardare si vedrebbe che l'aumento si è avuto principalmente in alcune piccole aree che in qu_el vasto territorio hanno potuto progredire). Tutti sappiamo, infatti, che la natura stessa delle risorse agricole di queste zone costituisce un limite praticamente insuperabile a veramente cospicui progressi agricoli; allo stesso modo che tutti sappiamo che ai 385 mila abitanti dei pii1 che 120 comuni che vi rientrano è riservato un ben misero avvenire fino a quando ad essi non si apriranno nuove possibilità di lavoro extra-agricolo, fino a quando 99 BibliotecaGino Bianco
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