Nord e Sud - anno XII - n. 63 - marzo 1965

... I • . • . - - =~·- ' .. l - - T , • .. .... ~ .. -_' Riv·ista mensile diretta da Francesco Compagna • Domenico De Masi, I mafiosi alle urne - Giuseppe Sacco, La '' disponibilità,, della Germania - Augusto Graziani, La congiuntura: diagnosi e terapia - Ugo Leone, La questione del Giordano - Manlio Rossi Doria, La polpa e l'osso del!' agricoltura salernitana. e scritti di Carlo Amirante, Ermanno Corsi, Renato De Fusco, Gioacchino Forte, Bruno Lauretano, Franco Masi, Ernesto Mazzetti, Raffaele Mormone, Antonio Rao, Alfredo Testi, Gemma Vitolo. ANNO XII ~ NUOVA SERIE - MARZO 1965 - .N. 63 (124) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI BibliotecaGino Bianco •

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XII - MARZO 1965 - N. 63 (124) DIREZIONE E REDAZIONE: Napo I i - Via dei Mille, 47 · Telef. 393.346- 393.309 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICI-IE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo I i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli Biblioteca Gino Bianco

SOMMARIO Domenico De Masi Giuseppe Sacco Augusto Graziani Franco Masi Alfredo Testi Gemma Vitolo Bruno Laµretano Editoriale [3] I mafiosi alle z-trne [ 6] La "disponibilità" della Germania [22] Note della Redazione Le Detroit europee - La Cassa e la programmazione - La Svizzera inospitale [36] Giornale a più voci La congiuntura: diagnosi e terapie [ 44] I giovani della D. C. [50] Le Camere di Commercio e la programmazione regionale [52] La e.E.E. e la politica dei trasporti [57] Il cinema e l'industria culturale [60] Frontiere Ugo Leone Il problema dell'acqz.ta e la questione del Giordano [65] Inchieste Antonio Rao Attività ed insediamenti della popolazione campana [75] Documenti Manlio Rossi Doria La polpa e l'osso dell'agricoltura salernitana [98] Ermanno Corsi Carlo Amirante Raffaele Mormone Gioacchino Forte Ernesto Mazzetti Recensioni La serietà di Cassala [103] Una piana irrigata [106] Michelangelo e la Cupola [110] La Napoli di Daudy [113] I travagli della geografia [ 117] Cronache e Memorie Renato De Fusco Lettere di Persico a Gobetti [122] Fedele Cova Leo Mollica Biblioteca Gino Bianco Lettere al Direttore L'entourage del Presidente [127] FORMEZ, IASM, SVIMEZ [128] ..

Editoriale Molto opportunamente Marco Cesarini, nell'editoriale del «Mondo» che porta la data del 2 1narzo, ha parlato di una « paralisi delle volontà »; e ha rilevato che, se da un lato no,11s-i deve mai cedere alle sollecitazioni di quanti vanno gridando che si deve « fare presto », sollecitazioni che sono dettate da una « certa faciloneria qitalunquistica, dietro la quale non è difficile intravvedere i fini reconditi dei richiedenti », è anche necessario, da un altro lato, non dare segni di impotenza, non lasciare che le riitnioni si susseguano alle riunioni, le consultazioni a livello tecnico alle consultazioni a livello politico, gli incontri bilaterali a quelli multilaterali, o viceversa, e soprattutto non consumare in un irragionevole gioco di temporeggiamenti i ragionevoli « margini di tempo concessi alla verifica dei fatti ». A sua volta, sul « Giorno » del 25 febbraio, riprendendo il discorso di Cesarini sulla « paralisi delle volontà», Enzo Forcella ha denunciato il disagio che deriva dalla « diversità del ritmo con cui procedono economia e politica»: la prima, infatti, « cammina ormai col passo dell'automazione», ma la seconda sembra ancora regolare il suo passo al ritmo consentito dai tempi dei collegi uninominali ». Come « Nord e Sud» tra le riviste mensili, « Il Mondo», tra i settimanali seri, e « Il Giorno », tra i quotidiani, so11-ostati se1npre generosi di incoraggiamenti nei confronti del centro-sinistra di Moro, esortando il governo ad attuare il programma, a portare avanti le riforme iscritte nel programma, a prendere di volta in volta decisioni relative ai problemi della congiuntura che f assero conformi agli obiettivi fissati dal programma. Ma, come ha scritto appunto Cesarini nel citato editoriale del « Mondo », quando si procede come hanno proceduto i partiti della maggioranza in questi due mesi, quando il Presidente del Consiglio dà la sensazione di voler sempre temporeggiare, anche di fronte a situazioni che esigono decisioni rapide e convincenti, quando il governo discute mo.Zto e governa poco, « si finisce per sconcertare la stessa opinione pubblica inizialmente più favorevole ». Noi abbiamo voluto citare l'editoriale del « Mondo » e la « situazione » del « Giorno » perché l'uno e l'altra sono appunto testimonianze del fatto che anche gli organi di stampa più impegnati a sostenere la politica di centro-sinistra (e non sono molti) sono rimasti «sconcertati» per tutto quello che è avvenuto o, meglio, non è avvenuto da gennaio 3 BibliotecaGino Bianco

Editoriale in poi. E noi pure, natitralmente, siamo « sconcertati », molto « sconcertati »; tanto più che, nel momento in cui scriyiamo, non sappia1no se, fra una qitindicina di giorni, nel momento in cui questo fascicolo di « Nord e Sud » sarà distribuito, ci sarà questo governo, « rimpastato » adeg·itatamente, o se ci sarà una crisi di governo, o se magari si trascineranno ancora le stesse riunioni e le stesse consultazioni per la « chiarificazione » che oggi si susseguono monotone e infeconde. Auguria1noci, comunque, che il rimpasto sia verarnente imminente e che il rischio di una litnga crisi sia scongiurato. E auguriamoci pure che il rimpasto sia conforme alle attese di quanti, coni e noi, hanno legittimamente pensato che l'elezione dell'on. Saragat alla Presidenza della Repubblica costituisse per i partiti della maggioranza l'occasione di riprendere fiato e di rilanciare subito la politica di centro-sinistra grazie ad un'atmosfera di stabilità che avrebbe consentito di' svuotare: da un lato, le riserve dei dorotei nei confronti delle proposte riformiste dei più leali fautori del centro-sinistra; da un altro lato, le riserve dei fanfaniani nei confronti d'ella stile, per così dire, di Moro; da un terzo lato, infine, le riserve dei lombardiani nei confronti della carica ideale del centro-sinistra. Per ora, allo stato attuale delle cosè, tutte queste riserve non sono state affatto svuotate, ma risultano, anzi, in qualche modo legittimate: quelle dei dorotei, perché le proposte riformiste so·no confuse; quelle dei fanfaniani, perché lo stile di Moro, nel corso delle ultime vicende, si è appesantito per quanto riguarda l'inerzia dell'azione e si è appannato, almeno a quel che sembra oggi, per quanto riguarda la finezza della manovra; quelle dei lombardiani, perché la carica ideale che animava il centro-sinistra agli inizi, e che sembrava riaJ-zimarlodopo la vicenda presidenziale, sembra ora ridotta al minimo, sembra spegnersi veramente nella « paralisi delle volontà ». Si aggiunga che taluni problemi, risolvibili se affrontati uno per uno nel corso dell'azione di un governo che governa, sono intervenuti a complicare le trattati-ve per il rimpasto; e si fanno più numerosi perché il tempo passa e più difficili perché si accavallano e perché se ne chiede la soluzione nell'ambito, non dell'azione di governo, ma dei negoziati che dovrebbero preludere all'azione di governo: si pensi alla pregiudiziale fanfaniana per l'amministrazio•ne comunale di Firenze e alla drammatizzazione che la destra cerca di esasperare della questione relativa al rinnov9 della delegazione italiana negli organismi parlamentari del Mercato comune. D'altra parte, quali sono le possibili alternative, se il rimpasto dovesse sfociare in una crisi? Il go1.'erno d'affari o il' centro-sinistra « più avanzato». Non crediamo possibile un centro-sinistra « più avanzato>>,a 4 BibliotecaGino Bianco

.. Editoriale n1eno che per « più avanzato » non si voglia intendere una di quelle soluzioni di tipo fanfania110, e del peggiore Fanfani, che, mentre si qualificano per talune concessioni elargite alla sinistra, si garantiscono con altre concessioni elargite a destra, o vice1lersa, onde ne deriva un programma macchinoso e velleitario per un governo socialmente di sinistra, p,oliticamente di destra ed economicamente anfibio: dopo quello che gli è capitato recente1nente, Fanfani dovrebbe, però, essere rinsavito, o qua11to meno poco propenso ad audacie del genere. Resta possibile allora solo il governo di affari. Ma per che fare? Per preparare le elezioni o per consentire una paitsa, onde poi risulti possibile, a più o meno breve scadenza, una riedizione piìt o meno « avanzata » del centrosinistra. Ma il ricorso alle elezioni può costituire, oggi come oggi, solo una soluzione di emergenza, che peraltro non risolverebbe gran che; anzi, forse aggraverebbe le cose. Resta solo, quindi, la possibilità del governo di affari per gitadagnare tempo. Ma sarebbe in realtà una perdita di te1npo rispetto al decorrere degli anni assegnati a questa legislatura. E ne potrebbe derivare non utia chiarificazione, ma un pericoloso inasprimento di rapporti politici fra i partiti della sola 1-rLaggioranzadi legislatura che può esprimere tln governo che governi: la destra non si lascerebbe sfitggire l'occasione per cantare vittoria e per cercare di trasforma re la vittoria di iLna battaglia in vittoria della guerra che essa conduce contro il centro-sinistra e qui11di contro un ordinamento democratico che oggi non le co11serite di avere u.n governo veramente congeniale alle sue aspirazioni. Per tutte queste ragiotzi, ritenianio che non sia assolittamente auspicabile una crisi e speria1no che le nostre preoccitpazioni di oggi vengano ad essere sitperate con la conclusione positiva, nei prossimi giorni, delle troppo lung1ie trattative per il rimpasto. ·5 BibliotecaGino Bianco

I mafiosi alle urne di Domenico De Masi 1. Sono trascorsi quasi due anni dalla strage di Ciaculli e da quella specie di stato d'assedio che ne seguì in tutta la Sicilia Occidentale. In quei giorni, percorrere le strade afose delle provincie « onorate » significava imbattersi continuamente in posti di blocco predisposti dalle forze dell'ordine e in giornalisti, cineop•eratori e « mafiologi » a caccia di primizie. Poco dopo, la Commission·e parlamentare d'inchiesta dette inizio ai suoi lavori: una parte degli incriminati fuggì all'estero, una seconda parte finì in prigione, una terza parte sopravvisse alla tempesta uscendo illesa da ogni sospetto. « Calati giunco, ché passa la piena», dice un proverbio locale: la duttilità del giunco mafioso dissolse prodigiosamente ogni grumo di delinquenza associata, e un silenzio progressivamente più stagnante scese sui fatti di 1nafia. A diciotto· mesi di distanza, l'unico avvenimento_ di pubblico rilievo accaduto in Sicilia è costituito così dai risultati veramente eccezio·nali delle elezioni amministrative svoltesi nello sco-rso autunno, e che hanno visto avanzare la DC in Sicilia proprio mentr,e per lo più retrocedeva nel resto del paes_e. « L'Ora » di Palermo, commentando il voto del 22 novembre, scriveva: « Che cosa ha avvantaggiato quindi la Democrazia Cristiana? Intanto, l'esercizio di un quadruplo potere qui in Sicilia: quello statale, quello regionale, quello comunale e, perché no, quello mafioso » 1 • Da ciò che ci è dato sapere, l'esercizio del potere statale, regionale e comunale, da un po' di tempo a questa parte, non arreca però nessun contributo alla popolarità della DC nell'isola: le gestioni degli enti pubblici fanno acqua da tutte le parti; la « Regione » è circondata da un discredito pressoché concorde; nei vari comuni resta salda soltanto la fedele propaganda ecclesiastica, strettamente controllata dalla curia palermitana, a sua volta fra le più impopolari e screditate d'Italia. · Qualora la diagnosi del giornale comunista di Palermo fosse, almeno in parte, esatta, bisognerebbe quindi dedurne che l'unico elemento veramente determinante del successo, democristiano in Sicilia è costituito dall'intervento del potere mafioso. 1 Articolo non firmato: Eccezione siciliana?, su. « L'Ora » dél 24-25novembre 1964. 6 Biblioteca Gino Bianco

I mafiosi alle urne 2. Ammesso che nelle ultime elezio·ni ci sia stata una collusione tra mafia e politica, ciò no1 n costituirebbe peraltro niente di nuovo e, oltre a registrarne la portata, bisognerebbe notare la continuazione di un costume nato nell'iso·la fino dai primi giorni dell'Unità d'Italia. Con l'annessione della Sicilia allo Stato sabaudo, molte cariche ereditarie o di assegnazione reale divennero elettive. Ciò che altrove costituì una evoluzione delle istituzioni in senso democratico, in Sicilia servì solo a far cadere alcuni centri di potere nelle mani delle fazioni locali, che riuscirono ad influenzare l'elettorato e a manovrarne i suffragi secondo alleanze e accordi rigidamente prestabiliti. Il meccanismo che caratterizzava allora le collusioni, è così schematizzabile: le « cosche » inducevano gli elettori a scegliere il candidato ad esse più beneaccetto; il deputato eletto faceva pressione sui giudici locali; i giudici locali esercitavano la giustizia in modo estremamente « addomesticato » nei confronti delle « cosche ». Il Calenda, in una Relazione alla Corte di Appello di Palermo intorno all'amministrazione della giustizia negli anni 1872-73, denunziava apertamente questo stato di cose, « codesti rapporti di patro-- nato, e di clientela », grazie ai quali ad un numero esiguo di prepotenti « è assicurata protezione per quando hanno a fare conti con la giustizia ». Fin da questo 1nomento cominciò a verificarsi il fenomeno, tutt'ora in atto, per cui ogni istituzio·ne a carattere nazionale trova fatalmente in Sicilia una realizzazione sfasata rispetto a quella delle altre regioni del paese: il movimento liberale, il regime fascista, il movimento di liberazione, i moti popolari, l'attività delle sinistre, saranno nell'isola qualcosa di diverso da ciò che so·no nel resto d'Italia e risulteranno sempre co,mplicati dall'incontro di co•mponenti locali e fattori nazionali. La competizio 1 ne elettorale, essendo per sua natura una lizza tra candidati concorrenti, costituì, fin dalla s11aprima introduzione nel sistema politico siciliano, il naturale crogiuolo di forze politiche, religio,se ed economiche: la mafia giocherà brillantemente il suo ruolo determinante dosando con astuzia gli interessi di cui queste forze sono portatrici. Domenico Novacco, che è l'autore della più acuta analisi delle implicazioni socio-politiche della mafia, ha scritto: « Nel ristretto collegio non era difficile co,ntrollare individualmente i non molti elettori. Cominciarono a verificarsi episodi sintomatici che rivelarono la presenza del~a mafia o almeno la sua autorità e ingerenza nei quadri ·stessi della amministrazione. Accadde spesso che le commissioni elettorali depennavano senza alcun motivo dalla lista gli avversari politici e vi iscrivevano arbitrariamente altri cittadini no,n aventi diritto al voto » 2 • Nel 1890 il Merlino scriveva: « La clientela, ecco la forma originaria 2 D. NovAcco, Inchiesta sulla mafia, Milano, 1963, pag. 114. 7 Bibl.iotecaGino Bianco

Domenico De Masi della mafia ... Il partito è il rifugio, la causa e l'effetto dei delitti più gravi » 3 • Più tardi il Colajanni rimprovererà a~la sinistra pe,rvenuta al potere gli stessi vizi di clientelismo e di mafia che il Merlino aveva rimproverato alle destre: « L'ingiustizia, la sopraffazione, la violazione della legge fecero capo sistematicamente al deputato o al candidato governativo » 4 • E, più recentemente, G. G. Lo Schiavo scriverà: « Si può dire che dal 1860 fino al 1924 non vi sia stato esponente politico siciliano che, per essere tale, non abbia avuto il beneplacito della n1afia, che non sia stato appoggiato e sorretto dalle coppo·le storte, i mafiosi. Senza questo appo,ggio non sarebbe arrivato al Parlamento! Con la grave conseguenza che, per gli obblighi di gratitudine connaturati nel parlamentare, tutte le volte che lo Stato si apprestava a perseguire anche un qualsiasi mafioso, intervenivano i parlamentari a coprire col manto del romanticismo e del sentimentalismo le azioni delittuose, di cui il loro gregario-elettore si era reso colpevole » 5 • Co1 n l'avvento di Giolitti, l'intro·missione della mafia nel meccanismo elettorale divenne così sfacciatamente aperta da restare insuperata anche nei più travagliati periodi del secondo dopoguerra. Il Candida scrive: « Giolitti, per consentire favorevoli ris1:1ltati elettorali, poco addentro nella conoscenza della natura mafiosa, amò considerare le consorterie dalla possibilità del numero dei voti che potevano dare al partito al Governo. Uomini politici, funzionari, poliziotti inondarono di benefici i capi-mafia, ed è noto come avvenissero le elezioni politiche i11quel tempo. Poco distante dai seggi elettorali, un gruppo di tristi e malvagi figuri costituiva quello che, con linguaggio moderno, si può chiamare un posto di blocco. L'elettore veniva fermato e cinicamente bastonato, poi era invitato a bere un capace bicchiere di vino e, dopo una minuziosa perquisizione personale, gli si consegnava la scheda del candidato del partito al Governo e il povero uomo, scortato da due brutti figuri, era condotto alla presenza del presidente del seggio, il quale con molto garbo gli ritirava la scheda, infilandola nelruma » 6 • Durante il fascismo la mafia no,n si intromise nelle faccende elettorali anche perché non si effettuavano elezioni. Invece, subito dopo l'occupazione dell'isola da parte degli alleati, furono questi stessi che, una volta usata la mafia per aggirare la linea difensiva del « bagnasciuga», impo. sero i maggiori esponenti mafiosi come sindaci dei rispettivi paesi. Michele Pantaleone ha soritto: « Per primo don Calogero Vizzini, che a suo 3 F. S. MERLINO, L'Italie telle quelle est, Milano, 1953, pag. 185. 4 N. CoLAJANNI, La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi, Milano, 1961, pag. 80. 5 Riferito in Quelli della lupara, di R. Poma e E. Perrone, Ed. Casini, 1964, pag. 46. 6 R. CANDIDA, Questa mafia, Caltanissetta, 1960. Un lucido esame dell'epoca giolittiana è contenuto in D. NovAcco, Inchiesta cit., pag. 263 e segg. 8 Biblioteca Gino Bianco

I 11ia[tosi alle ur, te tempo era stato un valido sostenitore del fascismo, ebbe il rico11oscimento del suo operato a favore degli alleati. Il giorno seguente al suo arrivo a Villalba dalla spedizione, nella caserma dei Carabinieri, il tenente americano Beehr, del Civil Aff airs di Mussameli, lo nominava sindaco del paese. Fuori della caserma un altro gruppo di amici fidatissimi di Don Calò, presi dall'euforia dell'evento, gridavano a squarciagola: Viva la mafia, viva la delinque11za, viva don Calò! » 7 . Quando, più tardi, con1inciarono a profilarsi i primi schierame11ti politici nazionali, la mafia ancora legata al latifondo vide il suo potere minacciato dai moti contadini e appoggiò per un certo periodo il movimento separatista. In un comizio tenuto a Bagheria agli inizi del 1944, Finocchiaro Aprile disse: « Se la mafia non ci fosse, bisognerebbe inve11tarla. Io sono amico dei mafiosi, pur dichiarandomi personal1nente contrario al delitto e alla violenza ». In un primo tempo le « cosche » accettarono questa amicizia; ma, quando si accorsero che la battaglia del feudo era irrimediabilmente perduta, comi11ciarono ad infiltrarsi nei partiti di destra e nella Democrazia Cristiana, ormai bene assestata. F. S. Romano ha scritto: « L'effetto dell'o,perazione di a sorbjmento che le forze politiche di destra e la Democrazia Cristiana co1npiro110 in questo periodo, fu infatti non solo che il grosso dei gruppi mafiosi, che si divisero fra i partiti nazionali, entrò nella Democrazia Cristia11a e nei partiti di destra; ma principalmente che essa rianimò e ridiede forza e prestigio, oltreché potere economico e politico, ai gruppi mafio i, e per così dire li inserì in un sistema; anche quando non consenti loro di e sere interamente assorbiti nel personale politico e sindacale, locale e regionale (il che si verificò in più casi), li mise in condizioni di servirsi non solo della burocrazia regionale, ma anche di quella nazionale e perfino di diventare i collaboratori diretti dei funzionari di polizia e delle forze dello Stato, che avevano il compito di reprin1ere le manifestazioni criminose e il banditismo in Sicilia » 8 • Salvatore Giuliano, intanto, aveva stretto patti precisi con Sa11to Flores, mafioso e grande elettore del centro-destra a Partinico, sicché la mafia poté manovrare a sufficienza l'elettorato, sia con mezzi propri, sia con l'appoggio del banditismo, travasando a suo piacimento i voti della zona da un partito all'altro e dando luogo a una pittoresca instabilità di risultati cl1e segna il diagramma delle « simpatie politiche·» alimentate dalla mafia. Si pensi che a Partinico la DC ebbe 2.929 voti nelle elezioni del 2 giugno 1946, ebbe 1536 voti alle elezioni del 20 aprile 1947 ed ebbe 4.236 voti il 18 aprile 1948; in pari tempo il MIS scese da 7 M. PANTALEONE, Mafia e Politica, Torino, 1962, pag. 71. 8 F. S. ROMANO, Storia della Mafia, Sugar, 1963, pag. 243-244. 9 BibliotecaGino Bianco

Domenico De Masi 1.505 a 74 voti, e poi a 24 voti! Nell'intera isola la DC raddoppiò il numero dei voti, mentre, nella zona dove agivçt Giuliano, l'aumento fu del 156 per cento. Lo stesso partito, nella stessa zona, perderà nuovamente il 40% dei voti subito do1 po la morte del bandito 9 • L'infiltrazione dei mafiosi nel partito di maggioranza relativa ~i è manifestata in due momenti ben distinti: in una prima fase essi si preoccuparono soprattutto di eliminare gli avversari esterni, assicurando l'egemonia politica alla DC; in una seconda fase, data ormai per scontata tale egemonia, posero in atto u11a fitta rete di intrighi e di violenze per accaparrarsi i posti-chiave all'interno del partito stesso. Alla prima fase, vanno ricollegati l'assassinio• di Salvatore Carnevale, Epifanio Li Puma, Placido Rizzotto, Pino Camilleri, Nunzio Passafiume, Giovanni Castiglione, Domenico Scaccia, Nicola Azoti, Accursio Miraglia e di decine di altri avversari politici, no·nché di Michele Navarra e di altri democristiani, rimasti uccisi da più forti contendenti di opposte fazioni politiche. Alla seco1 nda fase, vanno ricollegati gli « omicidi elettorali » di numerosi esponenti democristiani: Vincenzo Campo, Nicasio Triolo, Eraclide Giglio, Vito Montaperto, Vincenzo Lo Guzzo, ecc. Per lo stesso motivo fu eliminato Pasquale Almerico, una splendida figura di giovane cattolico, assassinato dai mafiosi di Camporeale, ai quali aveva cercato di sbarrare l'infiltrazione nelle file del partito. In complesso si può dire che la Sicilia sia teatro dei più strani episodi elettorali e delle più squallide storture cui possa dar luogo un regime democratico quando cade in mano a gente immatura e senza , scrupoli. Si è avuto, ad esempio, il caso di un certo Francesco Barbaccia, poi eletto deputato• al Parlamento•, che nelle elezioni amministrative del '56 riuscì ad ottenere 12.000 voti di preferenza senza aver mai fatto un comizio e senza avere svolto alcuna attività elettorale; e si è avuto il caso di Corleone, un paese d·ella provincia di Palermo, dove, alle elezioni del 1958, diecine di uomini e di donne furono costretti a fingersi ciechi per essere accompagnati alle urne dai mafiosi di Michele Navarra, che in tal modo, potevano assicurare la conformità dei voti alla volontà del « capo». Episodi come questi, oltre a rivelare sfacciatamente la vergo-· gnosa morsa con cui il sistema clientelare riesce a stringere molta parte della .Sicilia, finiscono con l'avvilire le stesse aspirazioni delle popolazioni alla libertà ed all'autogoverno. 3. Quando, dopo lunga e intricata gestazione, la Commissione Parlamentare antimafia riuscì a muovere in qualche modo i primi p•assi, 9 Vedi, in proposito, M. PANTALEONE, op. cìt., pag. 161 e lo studio di D. NovAcco e F. CILULFOi,n « Cronache Sociali», n. 15, 1° settembre 1949. ,, 10 Biblioteca Gino Bianco

I niafiosi alle urne Vittorio Di Summa scrisse su « Politica », il quindicinale fiorentino dei democristiani della « Base », diretto allora dal compia11to Pistelli: « ... Un altro consiglio (alla Commissione) è quello di ascoltare immediatamente personalità politiche che per la loro grande esperienza attuale o trascorsa debbono poter fornire molte notizie in merito alla mafia e ai suoi caporioni. Queste personalità sono: Scelba, Mattarella, Volpe, La Loggia, Verzotto, De Leo, Bonfiglio, Gullotti, Rubino, Restivo, Alessi, Aldisio, Lima e molte altre. Ad esse si chieda di far nomi e le loro risposte vengano pubblicate e diffuse ovunque, con ogni mezzo. I funzionari dei partiti e degli organismi regionali debbono a loro volta essere pelati vivi dalla commissione d'inchiesta ... Siano i democristiani a guidare audacemente il lavoro della commissione. In essa siedono· deputati socialisti e comunisti, preparatissimi e agguerriti, come Li Causi e Gatto. Inevitabilmente, quando si dovranno discutere i rapporti tra mafia e politica, le sinistre cercl1eranno di imbastire una violenta e propagandistica polemica contro la Democrazia Cristiana. I parlamentari cattolici non si impuntino a voler negare verità lampanti circa le frequenti collusioni tra DC e mafia in Sicilia, o meglio fra talune ' cosche ' d'alto bordo e talune personalità democristiane. i\ccettino la sfida, acco11sentano a spettrografare il partito e impediscano ai comunisti una troppo facile speculazione ». Ci fu, quindi, all'interno della Democrazia Cristiana, un filone di idee giuste che, se attuate, avrebbero finalmente scisso per la prima volta le responsabilità del partito dal tornaconto di alcuni suoi rappresentanti, corrotti e violenti. Oggi, a quasi due anni di distanza, non si può dire che quelle idee abbiano fatto breccia, non si può riconoscere che le « verità lampanti circa le frequenti collusioni tra DC e mafia » siano venute a galla, né si può dire che i comunisti sia110 stati posti nella impossibilità oggettiva di speculare sulla Commissione antimafia. Nell'autunno del 1963, l'opi11ione pubblica, circa i fatti della Sicilia occidentale, era scissa: tra i molti pessimisti, da un lato, che scorgevano nella situazione un ennesimo periodo magro dell'attività mafiosa, dopo di che i delitti e le prepotenze sarebbero rifioriti con rinverdito vigore; ed i moltissimi ottimisti, dell'alto lato, che vedevano nell'Antimafia uno strumento finalmente capace di dare il colpo di grazia ad un fenom~no già indebolito da alcune matrici socio-economiche, ch·e il progresso generale del paese aveva inserito nella vita della Sicilia, determinando notevoli e significative spaccature in seno a~la struttura comunitaria delle popolazioni isolane. Comunque, sia gli uni che gli altri facevano dipendere il successo della Commissione antimafia dall'atteggiamento dei partiti al governo, 11 BjbliotecaGino Bianco

Domenico De Masi e dal coraggio cui le rispettive segreterie nazionali e regionali avrebbero fatto appello per affro,ntare la realtà, aprendo la via ad una severa _ autocritica e ad un rigido, autocontrollo. L'operazione di risanamento morale sarebbe costata la perdita di molte migliaia di voti, e avrebbe probabilmente permesso· l'accertamento di tutte quelle velate accuse che corrono intorno ai maggiori no,mi del « notabilato » democristiano in Sicilia; avrebbe, però, fruttato una più larga fiducia da parte delle po,polazio11i e so•prattutto avrebbe fornito quella prova di o,nestà che ogni elettore dovrebbe poter pretendere da u11 partito che si proclama alfiere di virtù cristiane. Non è difficile immaginare a chi sia stata devoluta la respo·nsabilità di decidere il comportamento della DC nei confronti di questa prova cruciale: la Sicilia è grande quanto la Svizzera, e il peso del suo• elettorato può essere determinante per le sorti di un partito. È perciò indubbio che sia stato il vertice nazionale a valutare i pro e i contro di un eventuale abbandono dell'appoggio mafioso, sopp·esando le diverse p,ressioni degli esponenti politici locali e decidendo le sorti della Commissione in conformità agli interessi dei parlamentari siciliani. Se la DC avesse avuto il co1 raggio di affrontare il problema mafioso, ne avrebbe pagato• subito il prezzo con l'immediata perdita di tutti i voti che la mafia era stata capace di raccogliere nelle precedenti elezio,ni. La competizione elettorale dell'autunno scorso era perciò destinata a trasformarsi in cartina al tornasole, che avrebbe automaticamente rivelato gli eventuali mutamenti intervenuti nella complessa alchimia della vita politica siciliana. Una sola cosa - ripeto - pareva certa: se la Democrazia Cristiana avesse deciso di non intralciare il compito della Commissione antimafia per soccorrere i suoi grandi elettori della Sicilia occidentale, in tale zona i suoi voti avrebbero avuto un calo più che proporzionale rispetto all'insuccesso prima previsto, e poi effettivamente verificatosi, in tutte le altre regioni d'Italia. Quando furono finalmente noti i risultati definitivi delle elezioni del 22 novembre, purtroppo tutti coloro che attendevano da essi la conferma di una onesta e risoluta presa di posizione antimafia da parte della DC, dovettero co1 nstatare quella che « L'Opera » chiamò « l'eccezione siciliana »: soprattutto a Palermo, dove le implicazioni tra vita politica e attività mafiose hanno raggiunto recentemente la maggiore frequenza e profondita, il risultato è stato allarmante ed ha determinato un imprevisto balzo in avanti del partito di maggioranza relativa. La DC alle elezioni regionali del 1963 aveva ottenuto 104.883 vo·ti, pari al 38,06%; alle elezioni politiche dello stesso anno aveva ottenuto 106.071 voti, pari al 35.94%; alle elezioni amministrative del 1960 aveva 12 BibliotecaGino Bianco

I mafiosi alle u.rne ottenuto 24 seggi e 104.116 voti, pari al 37.90%: ora, invece, proprio mentre in quasi tutta Italia la Democrazia Cristiana registrava t1na sensibile flessione 10, a Palermo vedeva crescere i suoi voti a 125.977, pari al 44.36%, pari, cioè, ad una percentuale mai raggiunta prima del 22 novembre 1964 e tale da assicurare l'accaparramento di ben 37 degli 80 seggi del Consiglio comunale. Risultati analoghi si sono avuti negli altri capoluoghi di mafia: ad Agrigento la DC è passata dal 48.73% delle amministrative del 1960 al 51.46% delle amministrative 1964; a Caltanissetta è passata dal 39.46% del 1960 al 40.31% delle poli ti che 1963, al 47.7 6 ~·1> del 1964; ad Enna è passata dal 32.77% del 1960 al 35.74% de] 1964; a Trapani è passata dal 34.68% del 1960 al 27.99% delle politiche 1963, al 39.333/o del 1964 11 • Contemporaneamente Messina e Ragusa - capoluoghi di provincie « babbe » - seguivano l'andamento opposto, in concomitanza con tutto il resto d'Italia, e la DC calava rispettivamente dal 41,93% del 1960 al 35,86% del 1964 e dal 46.43% del 1960 al 45.35% del 1964. « L'Ora », nel già citato commento ai risultati elettorali del 22 novembre, scriveva: « Sullo sfondo riemerge, innegabilmente, ancora una volta quel certo carattere di instabilità (dovuto alla precarietà dello stato economico-sociale dell'Isola) che si manifesta non solo con l'ormai proverbiale trasformismo di tanti uomini politici siciliani, ma anche con i tanti agitati sballottamenti elettorali. Ma ciò non basta. Evidentemente ci sono anche ragioni e circostanze contingenti. E questo ci sembra il caso dell'aumento dei voti DC proprio quando, invece, sembravano esserci tutte le condizioni per un loro ridimensionamento (si pensi, tra l'altro, al malgoverno e alla corruzione dilaganti) ». Naturalmente non basta riconoscere « il carattere di instabilità » dell'elettorato siciliano per avere esaurito la diagnosi del problema. Ciò che appare essenziale è l'identificazione precisa dei fatti che, giocando su questa instabilità, hanno determinato l'afflusso di voti fluttuanti a certi partiti, in certe provincie, anziché ad altri partiti. Certamente non è facile dipanare quella enorme matassa ingarbugliata che è la vita politica siciliana, brulicante cli notabili, di patroni, di sottogoverni, di raccomandanti e di raccomandati; né, d'altra parte, tutti coloro che riescono ad avere una visione sufficientemente chiara degli eventi hanno poi il cora~- 10 Nelle 74 ripartizioni provinciali italiane, la DC è passata dal 40.8% del 1960 al 382 del 1963 e al 37.4% del 1964. I dati elettorali riportati sono tolti da « L'Ora» del 24-25 novembre 1964. 11 Anche in molti comuni minori, notoriamente mafiosi, i dati assoluti (non dispongo di percentuali) segnano un progresso della DC. A Raffadali, per esempio, si è avuto un aumento da 1753 voti del '60 a 1874 del '64; a Sciacca da 6378 a 6494 voti; ad Alcamo da 6393 a 10.595; a Monreale da 6256 a 7.012; a Montelepre da 1.091 a 1.238; a Termini Imerese da 3731 a 4451, ecc. 13 Biblioteca Gino Bianco

Domenico De Masi gio di inimicarsi questa o quella fazione, svelandone le « magagne ». Tutto sommato, l'intero andamento della. vita ·politica siciliana, sospeso com'è ai capricci di pochi ras locali, è da imputarsi alla spregiudicata scorrettezza di alcuni uomini politici democristiani e alla incapacità di molti esponenti delle sinistre. Alle colpe « com.missive » della DC, purtroppo corrispondono spesso le colpe « omissive » del PCI e del PSI, che non sono riusciti a creare in Sicilia un gruppo dirigente capace di scrollarsi di dosso quella congenita « sicilianità », che affoga da secoli le virtù politiche di tanti esponenti locali in una bellicosità combattiva certo, ma troppo spiccio,la e troppo sterile. 4. Quanto alla scorrettezza con cui alcuni esponenti democristiani si procacciano i voti, pare che magistrati e studiosi dispongano oggi anche di nuovi documenti, che recano la firma di testimoni oculari e che sono stati raccolti, e consegnati ufficialmente, alla Commissione antimafia, da Danilo Dolci e Franco Alasia. Da tali documenti, che si riferiscono a Partinico - l'antico collegio di Vittorio Emanuele Orlando - e che hanno per oggetto, naturalmente, la collusione tra mafia e DC in Sicilia, pare che si ricavino notizie veramente sconcertanti, che coinvolgerebbero il senatore Girolamo Messeri, sottosegretario al governo fino a pochi . mesi or so1 no. Le testimonianze in questione sono veramente sconcertanti. Una di esse dice: « Non solo, Frank Coppola è venuto a Partinico prima di ogni elezione nazionale e regionale, ma anche per crisi comunali ed elezioni comunali. Anche da persone non di sinistra si ammette che Frank: Coppola sia elettore di Messeri ». Un altro testimone ammette: « Ad ogni elezione Frank Co,ppola viene a Partinico: ha appoggiato sempre la DC; è stato il principale elettore di Santi .Savarino 12 , e di Messeri poi ». Un altro ancora dice: « In una domenica precede11te le elezioni del '58, è stata notata una certa animazione di perso,ne e di macchine in via Principe Umberto, dove aveva sede la Coo,perativa Murifabbri: informatomi con alcuni amici, abbiamo saputo che Frank Coppola presentava e raccomandava con particolare calore Girolamo Messeri come nuovo candidato al Senato per la DC, al posto di Santi Savarino ... Frank Coppola in occasione di altre elezioni è venuto a Partinico. Il 28 aprile del '63, verso la mezzanotte, ho visto io stesso Frank Coppola uscire dalla sede della DC di Partinico, in compagnia del suo parente, Domenico Coppola, ora latitante, e di Pino Blanda, segretario della DC. Il gruppo si è 12 Fino a pochi anni or sono direttore del « Giornale d'Italia». Quanto al sen. Messeri, si ricordi, tra l'altro, che è stato uno dei quattro firmatari dell'inchiesta dei senatori democristiani da cui ha avuto origine l'affare Ippolito con la denuncia dei rapporti fra il C.N.E.N. e l'Archimedes. 14 s·blioteca Gino Bianco

_, I mafiosi alle urne soffermato per una ventina di minuti a parlare davanti alla sede della DC. Ero con Domenico- Bacchi: abbiamo potuto rico,noscere bene le persone perché, malgrado l'ora tarda, la strada era bene illuminata. È notorio a Partinico che Frank Coppola fa la campagna elettorale per Girolamo Messeri anche attraverso i suoi familiari ». Co•me si vede, le testimonianze sono concordi. E ve ne sono altre due, pure molto gravi. La prima affermava: « Pochi giorni prima delle elezioni del '58 ho partecipato ad una riunione alla Cooperativa Morifabbri, in Via Principe Umberto•. Io facevo 1 allora parte del Consiglio, di amministrazione della Cooperativa. Alla riunione erano presenti una quarantina di persone, quasi tutti i componenti della cooperativa, attorno a Frank Coppola e al senatore Messeri. Noi non conoscevamo Messeri, e Frank Coppola ci ha spiegato che Messeri era il nuovo candidato della Democrazia Cristiana che si doveva votare alle prossime elezioni ». Quanto alla seconda, vi si legge: « Pochi giorni prima delle elezioni nazionali del '63, sono stato, invitato in casa di un parente dell'ex-sindaco democristiano Lo Grasso. Erano presenti molte persone attorno al senatore Messeri ed a Frank Coppola che nella riunione gli era a lato. La riunione era stata indetta allo scopo di far eleggere il Senatore Messeri. Poiché qualcuno ha chiesto provvedimenti o aiuti, ha poi autorevolmente risposto Frank Coppola : ' Adesso pensiamo a darci i voti e poi se ne parla, poi ci aiuta. Quando arriva al suo posto, poi possiamo chiedergli ' ». C'è poi un ex-sindaco democristiano di Partinico che ha affermato: « In Partinico e nella nostra zona è notorio il rapporto tra Frank Coppola e Messeri... Questo rapporto è stato in parte anche pubblico perché non si pensava affatto che si sarebbe costituita la Co-mmissione Parlamentare d'inchiesta sulla mafia, e si pensava che le cose sarebbero continuate così. Cioè che si sarebbe potuto continuare a procurarsi voti anche attraverso i soldi (pare che il Messeri sia divenuto• senatore anche attraverso cospicue so,mme distribuite: si sa che tanti voti vengono acquistati anche a mille lire l'uno), e proteggendo i propri elettori, se mafiosi, facendo fare qualche opportuna telefonata attraverso il Ministero degli interni o il Prefetto ». Qui, praticamente, risultano presenti tutti gli elementi tipici d·el « notabilato» politico siciliano: il mafioso, ex-gangster,_ che preme sugli elettori più spro\'veduti; gli eletto·ri che votano per l'onorevole candidato della mafia; l'onorevole che devia il corso della giustizia in favore dei mafiosi. E non resta scoperto neppure il ~uolo solitamente giocato da certo clero locale, caparbiamente incline a tutto ciò che è conservatore. Alcune testimonianze, infatti, affermano: « •.• per quanto riguarda i rapporti tra alcuni religiosi e noti mafiosi, Padre La Rocca, parroco, della 15 Biblioteca Gino Bianco

Domenico De Masi chiesa degli Agonizzanti di Partinico, ha ricevuto con altre autorità cittadine e la fanfara, alla stazione di Partinico, : Frank Co·ppola. Insieme hanno poi banchettato alla Casa del fanciullo in piazza Vittorio Emanuele, villa Margherita. Può testimoniare chi me lo ha riferito: A. C. In un pomeriggio precedente alle elezioni del 1958 ho visto lo stesso padre La Rocca distribuire fac-simili che invitavano a votare Calogero Volpe, allora sconosciuto a Partinico. Quando gli sono finiti i fac-simili, ne ha mandato a prender,e altri in Chiesa ... Nel '53, d'altronde, Frank Coppola è stato nominato ' fucino ' onorario in presenza di Padre La Franca; nell'occasione gli è stato messo in testa il cappello bianco della facoltà di filosofia (il cappello bianco era dell'allora studente Pino Cammarata): di questo fatto posso,no• essere testimoni lo stesso Pino Cammarata e altri ' fucini ' presenti ». E ancora: « un gruppo dei più attivi nella propaganda per Messeri è costituito dai giovani 'fucini' e Frank Coppola. In occasione di una raccolta di fondi in favore del Polesine sinistrato, Frank Coppola, che si era dato da fare per la raccolta dei fondi (secondo il costume dei mafiosi in questi p1 aesi), è stato festeggiato nella sede della FUCI ed insignito del titolo di 'fucino ad honorem'. Era presente anche Padre La Franca, assistente della FUCI e una trentina di studenti » 13 • Quando, il 13 dicembre 1963, questi documenti furono presentati alla Commissione antimafia, Girolamo Messeri era ancora al governo, in qualità di sottosegretario. Caduto in luglio il primo governo Moro, durante le trattative per la costituzione del nuovo governo, molti autorevoli esponenti degli ambienti politici romani della niaggioranza furono personalmente avvertiti dei rapporti che correvano tra la mafia e il senatore Messeri; ma quest'ultimo fu egualmente riconfermato nella sua carica di sotto,segretario. Tuttavia, le accuse di Dolci provocarono prima la pubblicazione di due manifesti 14 da parte del Messeri e poi le sue improvvise dimissioni dal governo. 13 Per tutti questi documenti, vedi: F. ALASIAe D. DOLCI, La mafia come impedimento allo sviluppo nella zona dello lato, ciel. 335. 14 Questi manifesti del sen. Messeri sono documenti significativi quanto meno di uno « stile ». Nel primo di essi, apparso sui muri di Partinico nel novembre del 1963, si legge, tra l'altro: « Trovo, nelle asserzioni del Dolci, un chiaro intento diffamatorio al servizio di evidenti interessi politici, e rilevo che il nominato Danilo Dolci ~ nel fertile solco di un abito ignon1inioso di linciaggio morale che domina in certi angiporti della vita politica - ha in pratica voluto dire che un parlamentare democristiano sarebbe mescolato in attività criminose. Orbene, dato che l'attacco mi tocca personalmente, io invito codesto sciagurato a provare comunque la mia partecipazione ad attività di tal fatta. Fino a quando costui non avrà dato una prova, anche minima, di tutto ciò, io affermo che considererò Danilo Dolci - così come oggi lo considero - un volgare calunniatore, un farabutto ed altresì un criminaloide». Nel secondo manifesto, del 14 ottobre 1964, .il Messeri .c, onclude così: « ••• E 16 BibliotecaGino Bianco

I n1afiosi alle urne Le testimonianze su cui ci siamo soffermati si limitano a denunciare le collusioni tra mafia e DC in una precisa zona della Sicilia occidentale. Tuttavia, la loro importanza è grandissima - e la loro verosimiglianza notevole - perché, nonostante la limitatezza del territorio cui si riferiscono, da esse potrebbe derivare una svolta decisiva nella denunzia dell'attività mafiosa se ed in quanto dovessero risultare delle prove circostanziate che confermino le supposizioni tante volte avanzate dalla stampa e dagli studiosi. Oggi, cioè, per la prima volta, si può addebitare ad un parlamentare democristiano di essersi servito dell'appoggio mafioso e, in conseguenza, si può basare su cognizioni di causa il sospetto che una avanzata elettorale della DC sia sintomo sufficientemente certo delle rinnovate garanzie di impunità offerte ai mafiosi in cambio delle loro pressioni sull'elettorato. 5. Ma quale resistenza, nei confronti dell'invadenza della mafia, riescono ad opporre le sinistre? Da parte di molti « continentali », grazie forse alla romantica mitizzazione di Salvatore Carnevale e alle pu11tigliose informazioni dell' « Unità », si è giunti a credere che l'organizzazione comunista in Sicilia opponga alla DC un blocco impermeabile all'infiltrazione mafiosa, e costituzionalmente monolitico nel condurre la lotta contro la criminalità. È sintomatico in proposito quanto ci questo è tutto. Ed è su questo episodio che il Dolci nella sua ripugnante secrezione di malvagità e nel suo raptus criminoso ha creato il grottesco e fantastico castello delle sue invenzioni di cui le lettere ora prodotte sono la più gaglioffa appendice caudale. D'altra parte, nella sua demenza paranoide, il Dolci non si rende conto che - dalle letterine che con tattica ha raccolto e che ha inserito nell'osceno mosaico delle sue calunnie, emerge, per la stessa presenza di coloro che le hanno firmate, che i miei convegni pre-elettorali erano tenuti non a mafiosi, ma a gruppi di cittadini di ogni ceto, senza distinzione di colore politico, tanto che comprendevano anche membri del partito comunista o comunistofili! Servendosi di un lurido arnese della risma di Danilo Dolci, il partito comunista dà segni di decadimento: così come sintomo di rovinoso declino della sua dirigenza è il tentativo evidente, goffo e continuo, di trasformare la Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia in un organo di propaganda politica nel disegno palese di diffamare la Democrazia Cristiana in Sicilia. Mentre lascio alla criminologia ed alla entomologia la definizione scientifica del « caso» di codesto sciagurato, confermo ciò che su Danilo Dolci affermai nella mia dichiarazione del 14 novembre 1963. Ed aggiungo come sia disgustoso vedere tornare continuamente alla ribalta questo mostruoso pagliaccio che la risacca del dopo-. guerra ha sospinto nella mia Sicilia - che egli ha diffamato ·e diffama, particolarmente all'estero, come terra di banditi e di miserabili - mentre, per i suoi sudici fini, questua con gesto accattone, l'ausilio dello straniero, che estorce alla buona fede di filantropi ingenui, ignari del suo spregevole mendacio e sensibili allo spettacolo di squallore che egli, della mia Isola, con calcolo immondo, sciorina: senza dire quanto viva sia la protesta di ogni strato della popolazione contro il vomito purulento delle contumelie del Dolci, di questo abbietto magnaccia delle miserie siciliane, che va additato al disprezzo della Nazione. F.to: Gerolamo Messeri, Senatore della Repubblica». 17 BibliotecaGino Bianco

Domenico De Masi scriveva recentemente un amico, attento osservatore delle vicende nazionali e comunista sufficientemente convinto: « Mi pare che non sia soltanto un problema di organizzazione interna (accentrata) dei partiti socialcomunisti, ,e nemmeno il fatto che essi non hanno centri di poteri appetibili dai mafiosi, ad immunizzarli. Credo piuttosto si tratti del ruolo che il PCI giuoca in una struttura comunitaria, come quella che tu giustamente identifichi nella società siciliana, a tenerlo fuo·ri dell'orbita di attrazione dei mafiosi e a farne, anzi, il loro tradizionale nemico. Il PCI, infatti, ha u-na sua ideologia, degli obiettivi, un sistema di valori in base ai quali mette in discussione proprio tutte quelle componenti socio-economiche che sono· ad un tempo caratteristica e causa del permanere della struttura comunitaria in Sicilia. Questo è sicuramente un fatto di estrema importanza che non va sopravalutato, ma nemmeno sottovalutato, soprattutto tenendo presente le caratteristiche degli altri partiti italiani. La DC fa grandi sforzi per agganciare i suoi atti politici ad una ideologia, solo nei suoi periodici congressi. Inutile parlare delle altre forze politiche, figlie tutte di organizzazioni clientelari, ammod,ernate solo• per adeguarle alle esigenze del suffragio universale. In uno schieramento di partiti di questo tipo, che non hanno niente da opporre a chi voglia manovrarli dal di dentro per utilizzarli come strumenti di tutela di interessi particolari (non bisogna dimenticare che in fondo sono tutti sovrastrutturali di una medesima realtà economica), i mafio,si no·n hanno che da distribuirsi i ruoli. Che poi sia possibile dimostrare che in ,qualche paesino i mafiosi sono arrivati ad entrare nel partito 1 comunista, e magari a controllarne l'organizzazio,ne, secondo me questo significa assai poco, in quanto, ripeto, esiste una linea politica che 'obiettivamente' il Partito comunista attua in tutta Italia, e anche in Sicilia, e che non può in alcun caso coincidere con le intenzioni di 'cosche' o camarille tendenti alla conservazione dell~ strutture, e, quindi, a fini politici completamente diversi e contrastanti ». Questi rilievi sono della massima importanza, oltre che per la chiarezza con la quale sono esposti, anche perché in essi si esprime quello che è un atteggiamento tipico di molti intellettuali italiani. Malgrado tutto•, infatti, ci si ostina ancora a considerare l'ideologia del PçI co,me il « sistema di valori » che più di tutti gli altri sarebbe capace di scuotere l'immobilismo economico-sociale e certe vecchie abitudini clientelari. È chiaro che un atteggiamento del genere non si può intendere altro che alla luce di quel « pregiudizio favorevole » che oggi, pure, dovrebbe aver fatto il suo tempo (anche se è comprensibile che in certe situazioni - e quella della mafia è esemplare - è facile per il partito 18 Biblioteca Gino Bianco

I mafiosi alle itrne comunista trarre vantaggio dagli errori - magari di omissione - degli altri). Per quanto poi riguarda più particolarmente la Sicilia, questo atteggiamento rivela la scarsa co·noscenza che si ha del mondo siciliano. La Sicilia occidentale, infatti, ha una sua struttura particolare che si sovrappone automaticamente a qualunque istituzione « importata » dal resto del mondo e che amalgama in una composizione tendenzialmente omogenea tutti gli elementi che agiscono sulla vita associata della popolazione, coincidano o non coincidano con le intenzioni delle camarille conservatrici. Quando una qualsiasi tendenza all'innovazione arriva o germoglia nella Sicilia occidentale, gli ambienti locali interessati assumono dapprima un atteggiamento di diffidente attesa e poi di assidt1a lotta, che dura fino al momento in cui la forza della tradizione non avrà prevalso. A volte questo processo impegna un gruppo di uomini contro un altro gruppo di uomini ( è il caso dei mafiosi del feudo contro i sindacalisti al tempo dell'occupazione delle terre, o il caso di alcuni proprietari t,errieri contrari alla costruzione delle dighe e alla valorizzazione delle zone incolte); altre volte questo processo si svolge nella coscienza dei singoli, allorché il contatto con civilta più progredite causa automaticamente un conflitto interno tra l'accettazione del « nuovo » e la fedeltà alla tradizione. È verissimo che il PCI, sul piano nazionale, ha una sua ideologia, dei suoi obiettivi e un suo sistema di valori, che sono tt1tti, ed insieme, in uno stridente contrasto rispetto alla struttura tradizionale della Sicilia; ma è anche vero che proprio questo stridente contrasto ha cementato su posizioni reazionarie, sovversive rispetto all'ordinamento repubblicano e democratico, tutte le forze conservatrici. Per di più, dove il comunismo è riuscito ad avere un seguito, molte volte coloro che formano tale seguito costituiscono una strana combinazione di rapacità mafiosa e di ideologia democratica. In fondo il comunista, il prete, il carabiniere o il funzionario, sanno essere prima di tutto siciliani - e siciliani di una certa maniera - e poi marxisti, o cattolici, o fedelissimi alla difesa dell'ordine, o tenaci nell'espletamento formalistico dei compiti burocratici. Nel nostro caso, il co•munismo italiano, che pure_ dispone di quadri abbastanza addestrati ed efficienti in tutto il paese, non è in grado di prevedere il tipo di reazione che una sua politica può suscitare negli ambienti siciliani, né può contare sull'applicazione di quella politica da parte delle locali Camere del Lavoro. Non molto dissimile è la situazione del Partito Socialista, perché gli uomini politici della sinistra siciliana hanno monopolizzato con sistemi squisitamente isolani i pro·blemi parti19 BibliotecaGino Bianco

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