Nord e Sud - anno XII - n. 62 - febbraio 1965

Politica della congiuntura e politica di sviluppo ipotesi, la Commissione dovesse risultare priva di autorità concreta, e limitarsi a segnalare problemi e formulare proposte, il persistere in una impostazione ormai superata dalle circostanze potrebbe dar luogo a conseguenze assai gravi. Il fatto nuovo della depressione che stiamo attraversando, e di cui è necessario rendersi conto, è che, per la prima volta a partire dal 1950, lo sviluppo regolare del reddito nazionale, invece di essere il risultato scontato e automatico di meccanismi non controllati, appare come un obiettivo che può essere conseguito o mancato, ma che comunque va perseguito mediante politiche appropriate e coscienti. L'espansione, che finora è parsa come dono del cielo e che l'opinione pubblica ha accolta e battezzata come « miracolo », da oggi in poi dovrà essere guadagnata giorno per giorno, così come accade in molti altri paesi. Ci troviamo oggi a dover constatare che le due « strozzature » dell'economia italiana, la pressione dei consumi e il problema della bilancia dei pagamenti, che specie negli ulti1ni sei o sette anni sembravano superate, sono in realtà sempre presenti. La crisi non è semplicemente un'ondata di depressione come quelle del 1954 o del 1958; essa è la manifestazione di un punto di svolta, al quale l'economia del paese è giunta. Di questa svolta, delle sue cause e dei riflessi che essa comporta per l'intera evoluzione della nostra economia è ormai tempo di prendere coscienza. Le critiche tradizionali allo svilitppo italiano. Lo sviluppo economico realizzato nel nostro paese fra il 1951 e il 1961 è stato oggetto di giudizi contrastanti, c11e vanno dagli elogi incondizionati alle critiche più aspre. Su un punto, però, fautori e critici si sono trovati concordi, ed è stato nel considerare lo sviluppo italiano come un esempio di espansione particolarmente veloce e miracolosamente prolungata nel tempo. Nessuna riserva è stata mai avanzata quanto al tasso di accumulazione, il cui livello d'altronde è stato sempre piuttosto elevato: nel 1955, gli investimenti avevano già superato il 22% del reddito nazionale lordo e nel 1962 toccavano quasi il 26%; tassi così cospicui non offrivano certo il fianco alla critica. Le critiche hanno, invece, preso di mira la distribuzione dell'investimento fra i diversi settori. Si tratta di riserve in buona parte largamente condivise da osservatori di diverse tendenze, e che hanno trovato una prima formulazione nella famosa Nota aggiuntiva alla Relazione Generale sulla situazione economica del Paese per l'anno 1962; per essere riprese e sviluppate da Fuà e Sylos Labini nel volume I dee per la programma7 ibliotecaGino Bianco

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