Nord e Sud - anno XII - n. 62 - febbraio 1965

Giornale a più voci tenutosi il 21 dicembre. E fin qui la cosa è inconsueta, ma non illegittima, in quanto, come risulta dall'art. 52 del regolamento della Camera (che, com'è noto, è anche il regolamento del Parlamento in seduta comune), l'istituto del congedo è preordinato alla sola finalità di rendere giustificata l'assenza dei parlamentari dalle sedute, senza, però, che la sua concessione importi l'aberrante conseguenza di incidere sulla legittimazione del parlamentare a partecipare invece alla seduta, non avvalendosi del congedo. Dubbia appare, invece, la correttezza regolamentare della concessione del congedo ai deputati Biaggi Francantonio e Bova, accordata rispettivamente in occasione del nono scrutinio (21 dicembre) e dell'undicesimo (22 dicembre), e quindi in corso di seduta, almeno formalmente. A tale concessione dovrebbe infatti ostare il preciso disposto dell'art. 52 del regolamento della Camera, per cui « i congedi si intendono accordati se no,n sorge opposizione al loro annunzio, che di giorno in giorno ne darà alla Camera il Presidente in principio di seduta ». Le parole « in principio di seduta», specie se rapportate a quelle << dopo la ripresa della seduta» con cui, nel precedente art. 51, si indica la fase successiva ad una sospensione della seduta, sembrano, invero, richiedere che la concessione dei congedi possa aver luogo esclusivamente all'inizio della seduta e non anche nel corso di essa. Ad un certo punto, cioè, l'artificio della « seduta unica» ha mostrato la corda, mentre la concezione del « corpo elettorale muto » che si era voluta accogliere ha rivelato tutta la sua pericolosità nelle drammatiche giornate che videro l'astensione massiccia di larga parte dei « grandi elettori». In quella occasione mancò il chiarimento che in occasioni consimili proviene dal dibattito assembleare sul « richiamo al regolamento»; e la situazione giunse al limite della rissa. La polemica si accentrò, come si ricorda, sulla presunta violazione del segreto elettorale da parte di chi si asteneva; ma è facile replicare che l'astenuto non manifesta altra volontà politica che non sia quella dell'estraneità alla votazione in corso; e che, d'altra parte, la possibilità di astensione in occasione di votazioni a scrutinio segreto è espressamente ammessa dall'art. 105 del regolamento della Camera. Semmai, la critica, gravissima, deve appuntarsi ancora una volta sui rapporti deputato-gruppo parlamentare-partito, apparendo chiaro a tutti che l'effettiva lesione era quella che colpiva il diritto del deputato alla segretezza del proprio voto rispetto ai dirigenti di gruppo e di partito. In relazione all'astensione, il vero rilievo costituzionale è senz'altro da farsi su un differente piano. Il Parlamento in seduta comune è convocato per uno scopo specifico: l'elezione del Presidente. Per tale scopo esso non solo deve necessariamente riunirsi quando il relativo ufficio sia diventato vacante! ma non può rifiutarsi di provvedere alla elezione (Paladin). In questa occasione non può non dispiegare tutta la sua efficacia il solenne ammonimento contenuto nell'articolo 48 della Costituzione, per il quale l'esercizio del diritto di voto « è dovere civico ». È evidente, peraltro, che il rilievo non vale nella misura in cui astensioni e votazioni « di bandiera » abbiano costitt1ito episodi di quel grande filibustering democratico - com'è stato acutamente definito - animato non 69 Bi lioteca Gino Bianco

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