Nord e Sud - anno XII - n. 62 - febbraio 1965

Carlo Maggi riproposta su di un altro fronte quella stessa esigenza di « inserire il Sud » nella realtà del sistema occidentale di libertà çivili, politiche, culturali, e quindi pure artistiche, esigenza fatta valere tante volte su queste pagine. CARLO MAGGI Il meridionale senza pigrizia Non è difficile rendersi conto, una volta arrivati a Milano, di come la città concepisca l'esodo meridionale, con quali pregiudizi l'accolga e con quali strumenti intenda inserirlo nel suo tessuto sociale. Qui il fenomeno acquista la logica semplice, ma in un certo modo spietata, di un problema economico da affrontare e risolvere; non è un'idea né un pregiudizio. L'immigrato è un dato statistico. Ecco alcuni temi dominanti nella città più industriale d'Italia: integrare gli immigrati nella comunità, il problema cardine dei prossimi anni. Il loro inserimento nel corpo sociale deve essere totale. Gli aspetti fondamentali del problema: l'istruzione scolastica, la ·formazione professionale e l'assistenza iniziale. Contro il meridionale emigrato non c'è il mugugno del genovese o lo « stile» del torinese, ma il tono del « bauscia »: cioè, un tono più irritante perché più declamatorio nel pronunciare la parola tipica della protesta: terrone. Un tono quasi meccanico, urlato. Lanciata dal « bauscia », la parola ha questa provocazione inimitabile, ma intimamente è la meno radicata: è, sì, un pregiudizio iniziale e vigoroso, ma sempre disposto a convertirsi in fiducia, in dialogo. La capitale economica italiana è la città del « siamo tutti milanesi». Il titolo felice di una coimmedia designa il carattere di Milano: è orgoglio, generosità, illusione e sentimentalismo, realtà e vanità, puntiglio polemico e reminiscenza campanilistica. Per « essere» milanese non ci vuole molto: basta « esserlo» attraverso il modo più mila11ese: il rendimento, la puntualità, lo scrupolo assolto in una fabbrica, in un cantiere edile o in ufficio, e anche una certa atmosfera che sta tra l'esibizionismo e la compiacenza quando si parla di lavoro. Per « essere» milanese, l'immigrato deve essere protagonista di una trasformazione fo,ndamentale di se stesso. L'inserimento non è, come co,muneme~te si dice e si crede, il passaggio da un lavoro contadino ad un'attività industriale, dall'officina artigianale al cantiere edile, dal campo al reparto di una fabbrica; è, invece, il passaggio da una concezione del lavoro ad un'altra opposta. Bisogna finalmente sfatare o ridimensionare un luo,go comune: a Milano non giunge il pigro (è un non «qualificato», un non specializzato, pro-nto a servire in tt1tto, questo sì; nella maggioranza dei casi è 62 BibliotecaGino Bianco

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