Nord e Sud - anno XII - n. 62 - febbraio 1965

Vincitori e vinti minuto, una volta bruciato Leone, non dipendeva da una sorta di indifferenza mussulmana per quanto stava avvenendo; era piuttosto la coscienza che solo nel momento culminante dell'impasse provocato dai dorotei egli poteva riuscire a far passare la soluzione più congeniale alla sua concezione politica e della cui necessità egli era ormai più acutamente avvertito di qualsiasi altro democristiano. La sua azione fu comunque decisiva nella DC, ed ebbe una netta impronta antidorotea e antifanfaniana. Meglio per la DC, naturalmente, - poiché Moro è sempre un democristiano - se essa consentiva al partito di non perdere del tutto, pur nella sconfitta: ma quel che egli ha fatto è stato l'affermare ancora una volta la sua visione del problema politico italiano, non il sostenere una posizione dorotea cui è intimamente avverso. Perché Saragat e non Pastore? Perché la candidatura Pastore era in sostanza una candidatura puramente personale, dietro la quale non stava nessuna reale concezione degli sviluppi della lotta politica italiana, come invece stava dietro Leone, dietro Saragat, dietro Fanfani e anche dietro Nenni. La candidatura Pastore era stata posta nell'idea abbastanza semplicistica che il compromesso al quale si sarebbe comunque dovuti arrivare si sarebbe potuto fare su un uomo che offriva una notevole serie di garanzie personali (il suo antifascismo, il suo passato di sindacalista, la sua attuale posizione politica, il suo ruolo nella dialettica interna della DC). Ma questa era un'illusione, perché la battaglia per la Presidenza della Repubblica, come tutte le grandi battaglie della vita pubblica, era anzitutto uno scontro tra differenti concezioni degli sviluppi della lotta politica. Pastore, da questo punto di vista, rappresentava qualcosa di troppo poco definito per avere serie possibilità di affermarsi. Egli era in certo senso un'espressione di sinistra di quel « cotysmo » che l'opinione pubblica moderata vedeva magnificamente impersonato dal sen. Merzagora (e poi dai vari notabili che la DC propose invano ai laici). Naturalmente Pastore è tutt'altro che un uomo incolore e la destra lo avversa cordialmente. Il suo antifascismo e la sua probità sono fuori discussione. Ma il difetto della sua candidatura era proprio in ciò che i suoi amici consideravano un pregio : nel non espri1nere decisamente una concezione politica superiore alle vicende immediate, nel non nascere con un'impronta propria, ma· con l'impronta· del compromesso. In certo senso egli rappresentava benissimo la posizione della sinistra sindacalista democristiana: utile e indispensabile di certo per le esigenze e la forza che esprime; ma priva di una sua propria ideologia, o concezione generale dei rapporti politici. Pastore era in effetti un candidato di compromesso; laddove la crisi era arri35 BibliotecaGino Bianco

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