Adolfo Battaglia occasione. La sconfitta dell'ala ingraiana (sconfitta veramente ingloriosa, stante il modo 'in cui l'on. Fanfani si ritirò, o fu costretto a ritirarsi: « a me sono fuggite le truppe, ma a voi sono scappati i generali per ordine del Papa », disse ironicamente La Malfa a Pajetta dopo l'annunzio fanfaniano del 22 dicembre) è un ostacolo di meno alla modernizzazione del pensiero politico del PCI e un impulso di più a farlo uscire da posizioni dottrinarie, provinciali e arretrate. Quel che è certo, in ogni modo, è che se il PCI è stato numericamente determinante nell'elezione, non l'ha marcata politicamente con il suo segno: proprio perché, guidato da Ingrao, esso ha perseguito a lungo, con completo insuccesso finale, una soluzione diversa da quella Saragat e un disegno politico opposto a quello che Saragat esprime. Né può far modificare questo giudizio il voto dato a Nenni e il passaggio finale al sostegno del leader socialdemocratico: posizioni cui il PCI, come vedremo, è stato politicamente obbligato, nello svolgimento di un corso di eventi che avevano una loro logica, niente affatto corrispondente a quella che muoveva il PCI, ma a cui il PCI l1a dovuto adeguarsi. (Ci si lasci aggiungere che da questo punto di vista - cioè dal punto di vista della soluzione che il PCI favoriva - è stato quasi pate~ tico il pubblico appello che un fondo dell'« Unità», a firma di un altro degli aedi di Fanfani, il vice-direttore Pintor, ha rivoJto a Fanfani stesso per invitarlo, almeno, a non entrare nel Governo. Certo, da candidato di rottura del centro-sinistra e fondatore del dialogo con i comunisti, a ministro degli esteri del Gabinetto Moro, c,'è un bel salto: ma non diremmo che si possa rimproverarlo a Fanfani, il quale modifica il suo atteggiamento sulla base della realtà; è che tutto, della teoria e della strategia del PCI, era sbagliato, in questa occasione). Dietro Fanfani c'era. anche, come è naturale, il disegno politico proprio del fanfanismo. E quando dopo il suo ritiro (come risulta dal memoriale Scelba),. Fanfani sostenne nelle riunioni dei capi-gruppo che l'unico candidato cattolico capace di essere eletto era ancora lui, egli non faceva che rendere più esplicito il significato integralista della sua candidatura. Naturalmente, dal suo punto di vista, egli aveva ragione; e aveva in certo senso diritto di sperare alla piena comprensione dell'ala dorotea cui si rivolgeva. « Volete a tutti i costi un democristiano alla Presidenza? », egli diceva sostanzialmente ai dorotei: « ebbene, rendetevi conto che l'unico che ha possibilità di essere eletto sono io; votatemi e diventeremo amici» (cioè ricostituiremo l'unità del partito). Deve essere rimasto incomprensibile, a Fanfani come questo ragionamento, che rientra perfettamente nella logica dorotea, non sia stato accolto dai suoi ex amici di « iniziativa democratica». 32 Biblioteca Gino Bianco
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