Vincitori e vinti tutti abbiano sostenuto con grande sussiego e serietà che il partito aveva riportato una vittoria, è chiaro che qualcuno mentiva, e che la lunga opera spesa da Ingrao a favore di Fanfani, nella visione di uno sviluppo della vita italiana fondato sul dialogo tra cattolici e comunisti, non l1a ottenuto altro che una secca bocciatura. Occorre peraltro tirare un po' le fila di tutto questo. Accanto agli articoli di riassunto e di commento sono del resto già cominciati a fiorire alcuni documenti (quello di Scelba, anzitutto), qualche interpretazione in chiave ideologica (quella di Federico Artusio, cioè di Umberto Segre, sull' «Astrolabio»), qualche dibattito un po' più distaccato (quello al Comitato Centrale del PCI). Non pare male, quindi, tentare un primo quadro di questa vicenda, che può essere, comunque, definita senz'altro il primo grande, reale successo politico ottenuto dai laici in vent'anni di lotta politica. Sembra inutile soffermarsi a lungo sul significato della candidatura Leone. Essa non si qualificava per i pregi e i difetti dell'uomo, che sono quelli di un notabile meridionale dalla figura e dall'opera non particolarmente spiccata, ma, certamente, neppure indegno dell'alta carica. La candidatura Leone era qualificata piuttosto dalla maniera in cui fu posta e dalle forze cl1e la sostenevano, ambedue schiettamente dorotee. Sul primo punto, basterà rinviare alle affermazioni di Scelba e della « Civiltà cattolica ». Non vi fu dibattito sulle possibili alternative, fu rifiutata la rosa dei candidati e il nome di Leone venne imposto non dalla maggioranza assoluta dei gruppi, ma appena dalla maggioranza relativa. Si trattò di un procedimento, secondo la rivista dei gesuiti, « ingiusto e lesivo della dignità » degli altri eventuali candidati, tale da giustificare pienamente il dubbio « se la maggioranza non abbia fatto di tutto per escludere determinate persone non in base a demeriti o incapacità oggettive, ma, a quanto sembra, in base a motivi e fatti personali ». Leone fu perciò senza possibilità di equivoco il candidato dei dorotei; il candidato che Colombo, con tipico stile doroteo, affermò doversi sostenere anche per quaranta votazioni, finché non fosse riu: scito; il candidato che al di là della sua persona esprimeva la volontà di potere, il ristretto respiro politico, la sostanziale antidemocraticità e le ambigue potenzialità involutive di quel doroteismo di cui si è ampiamente discorso su queste stesse pagine, in un articolo di Giuseppe Galasso. L'on. Leone fu perciò il candidato da battere non solo per i laici 29 BibliotecaGino Bianco
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