Nord e Sud - anno XII - n. 62 - febbraio 1965

• I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Augusto Graziani, Politica della congiuntura e politica di sviluppo - Adolfo Battaglia, Vincitori e vinti - Roberto Pane, L'urbanistica dell'equivoco - Franco Masi, La politica per la gioventù in Italia - Antonio Rao, Profilo demografico della Campania. · e scritti di Franco Bernstein, Umberto Caldora, Filippo Càssola, Marisa Càssola, Girolamo Cotroneo, Mario Dilio, Carlo Maggi, Michele Novielli, Francesco Ottomano, Giuseppe Sacco. ANNO XII - NUOVA SERIE - FEBBRAIO 1965 - N. 62 (123) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Biblioteca Gino Bianco .... --. ,I /

Biblioteca Gino Bianco

NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XII - FEBBRAIO 1965 - N. 62 (123) DIREZIONE E REDAZIONE: Napo I i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.309 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità : EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo 1i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mi_lle47, Napoli BibliotecaGino Bianco

, SOMMARIO. Editoriale [3] Augusto Graziani Politica della congiuntura e pqlitica di sviluppo [6] Adolfo Battaglia Vincitori e vinti [28] Roberto Pane Mario Dilio Carlo Maggi Michele Novielli · Filippo Càssola Francesco Otto,mano Antonio Rao Franco Masi Girolamo Cotroneo Marisa Càssola Giuseppe Sacco Umberto Caldora Note della Redazione I comunisti e Sukarno - I comunisti e De Gaulle - Winston Chu.rchill [ 45] Giornale a più voci L'urbariistica dell'equivoco [ 49] La programmazione « dal basso » [54] Una nuova riv.ista [60] Il meridionale senza pigrizia [ 62 J Il console e gli anarchici [ 64] Cronache costituzionali [ 65] Inchieste Profilo demografico della Campania [71] Argomenti La politica per la gioventù in Italia [98] Recensioni La terza cultura [112] Splendori e miserie della Califfa [116] Da eurocrati ad europeisti [118] Sanfedisti di ieri e populisti di oggi [ 121] Lettere al Direttore Franco Bernstein Il rilarzcio della politica 1neridionalistica [ 126] BibliotecaGino Bi~nco

Editoriale È già trascorso più di un mese dall'elezione dell'on. Saragat alla Presidenza della Repubblica e non si può negare che, alla ripresa dell'attività politica, dopo la ritardata pausa festiva, si sia venuta sempre più chiaramente precisando l'occasione che si presenta di un effettivo rilancio della politica di centro-sinistra. L'attività di governo, che da tempo languiva, sembra finalmente animata delle migliori intenzioni: la tanto attesa legge di proroga della Cassa per il Mezzogiorno è stata approvata; si sta discutendo, pur fra significativi contrasti, del piano Pieraccini, che dovrebbe a giorni diventare, in una sua stesura più o meno definitiva, il punto di riferimento per tutte le decisioni di politica economica, e non solo di politica economica; si dichiara che la presentazione della legge urbariistica è imniinente; la questio11e degli investimenti è stata affrontata con le prime misure di emergenza, cui altre, più impegnative misure dovrebbero seguire a breve scadenza. In pari tempo, mentre a giugno, con la crisi del primo governo presieduto clall'on. Moro, si erano avuti preoccupanti sintomi di sfaldamento della maggioranza, sembra che oggi i fa11ifaniani vogliano mettere definitivamente una pietra sul discorso della « reversibilità » e vogliano soprattutto riqualificarsi « su quella posizione di coerente fedeltà e di animoso impulso alla politica di centro-sinistra che è la posizione delle altre correnti di sinistra della DC»; onde anche i lombardiani, ora che lo spazio per un'azione del genere di quella che avevano pensato di poter impostare e portare avanti - come azione ai fini del potere nel partito, più che come azione ai fini del potere nel paese - tende a restringersi, dovrebbero prima o poi essere indotti a un esame di coscienza e convincersi dell'opportunità di rafforzare la maggioranza, contribuendo a rinvigorirne l'azione politica al governo e nel paese. D'altra parte, quale che sia la soluzione da ritenersi preferibile ai fini di un rafforzamento del goveriio, piccolo rimpasto, grande rimpasto, crisi guidata, piccolo o grande rimpasto in un primo tempo e crisi guidata in un secondo tempo, vi sono questioni fondamentali che non si risolvono con i rimpasti, e nemmeno co•n le crisi guidate; e che -,,ionsi risolvono con il pur necessario attivismo sul piano legislativo. La prima di tali questioni riguarda l'atteggiamento dei sindacati operai; la seconda riguarda l'atteggiamento degli imprenditori. 3 Bib·liotecaGino Bianco

Editoriale. L'atteggiamento dei sindacati: se la CGIL insiste a provocare agitazioni nel settore del pubblico impiego, i partiti della maggioranza devono di concerto promuovere un'azione per informare tutta la classe operaia delle conseguenze che possono derivare da queste agitazioni, sia direttamente, per qitanto riguarda gli stessi addetti al pubblico impiego, che indirettamente, e soprattutto, per quanto riguarda gli addetti all'industria in generale. Si tratta, in sostanza, di riproporre continuativamente ed esplicitamente le questioni che nella primavera scorsa poneva l'on. Preti a proposito delle agitazioni promosse per sostenere le rivendicazioni degli impiegati dello Stato: agitazioni che in definitiva si potevano riso.Zvere, ove il Governo avesse ceduto, in un grave colpo per la stabilità dell'occupazione, e per i livelli di retribuzione, di settori della classe operaia che forniscono alla CGIL masse cospicue di iscritti e di militanti. E bene ha fatto « La Voce repubblicana » a denunciare ora l' « errore corporativo» che vizia tutta la politica della CGIL e che consiste, questa volta, non tanto nel proteggere - come capitava ai socialisti dei tempi di .Salvemini - gli operai del nord a spese dei contadini del sud, « ma nel proteggere e tutelare le categorie impiegatizie a spese delle classi operaie». La politica della CGIL, insomma, « mira a spostare a favo re del pubblico impiego risorse utilizzabili nella lotta alla disoccupazione »; ad utilizzare, cioè, le non molte risorse di cui può disporre lo Stato per aumenti di stipendio nel settore la cui produttività risulta più bassa, « piuttosto che nel tentativo di mettere in piedi una politica economica globale di sostegno degli investimenti, di , rilancio produttivo, di tutela dell'occupazione operaia». Non si dica allora che tittti coloro i quali denunciano, come devono, questa impostazione corporativistica della politica perseguita dai sindacalisti comunisti, ed imposta alla CGIL, si propongono l'infame obiettivo di provocare « divisioni nella classe operaia». La politica in questione è una politica del « tanto peggio tanto meglio » che può costare molto cara proprio alla classe operaia; e come tale va denunciata: alla classe operaia, in primo luogo. L'atteggiamento degli imprenditori, di coloro che li rappresentano e ne interpretano i sentimenti e gli interessi ai vertici della Confindustria e di coloro che di questi sentimenti e di questi interessi si fanno gli zelanti patrocinatori sui giornali quotidiani: è venuto il momento di rave-sciare i termini del famoso discorso sulla « fiducia ». Gli ambienti industriali, con atteggiamenti di vittimismo che sono dettati anche e a volte soprattutto da intenzioni ricattatorie, dichiarano di non avere « fiducia » negli ambienti po-litici; e in.tanto si danno da fare per pro1nuovere « la serrata delle fabbriche, la serrata degli investimenti, la ser4 BibliotecaGino Bianco

Editoriale rata fiscale ». Si pretende, cioè, che, per meritare la « fiducia » della Confindustria, i partiti della maggioranza mettano da parte ogni proposito di riforma e si adeguino ai buoni consigli, se non addirittura agli ordini, che gli industriali ritengono di essere in grado di dare; e si pretende che, se i Moro ed i Nenni non sono disposti a tanto, lascino il posto ai Pella e ai Malagodi. Naturalmente, a ripetere i ritornelli della canzone sulla « fiducia », ci sono poi « autorevoli » prof essori di materie economiche ed « esperti » giornalisti di varia competenza; e costoro non si domandano se è dignitoso servire in questo modo quella causa degli studi indipendenti e quell'ideale della libertà di sta1npa cui rispettivamente docenti e giornalisti che si rispettano dovrebbero essere particolarmJ?,nte sensibili. Diciamo pure cJze il discorso della « fiducia », quale viene formulato dagli ambienti della Confindustria e dai portavoce di questi ambienti, noi lo respingiamo; e giustamente, tenipestivamente, appropriatamente, «l'Espresso» ha denunciato sulla sua prima pagina la tendenziosità delle tesi - « storiche » - avanzate dal presidente della Confindustria nel corso di una intervista alla TV e non confutate, come potevano e dovevano essere confutate, dai giornalisti che quella sera del 25 gennaio erano stati convocati per intervistare il dottor Furio Cicogna (ai giornalisti si assegna, in queste occasioni, un ruolo di con1primari, una funzione « di spalla », cui essi non dovrebbero rassegnarsi e che, anzi, costituisce un tipo di prestazione che un giornalista libero e serio dovrebbe sempre rifiutarsi di fornire). Può darsi che veramente gli industriali non abbiano «fiducia» nei politici; del resto, non c'è da stupirsene se si pensa che sempre si è lasciato scrivere sui grandi giornali italiani, ai tempi di Giolitti come ora, ai tempi del centro-sinistra, e anche ai tempi di Vanoni, che i politici non meritano la « fiducia » degli industriali. Ma perché i politici dovrebbero aver « fiducia » negli industriali? Diciamolo chiaro e tondo: allo stato attuale delle cose, e dopo aver visto e sentito le cose che abbiamo visto e sentito, durante il << miracolo » e dopo il « miracolo », noi non abbiamo « fiducia » negli industriali italiani, a meno che non si tratti di quella minoranza che rispetto alla linea politica della Confindustria è stata sempre, e ora più che mai, fortemente critica. Il discorso della « fiducia » si può riprendere, quindi, e naturalmente su nuove basi, solo dopo che risulterà cambiata sostanzialmente la linea politica della Confindustria. Non mancano certo al governo, e ai partiti della maggioranza, i mezzi per far intendere questo « latino » e agli industriali stessi e in generale all'opinione pubblica. 5 BibliotecaGino Bianco

Politica della congiuntura e politica di sviluppo di Augusto Graziani Le vicende congiunturali che hanno accon1pagnato l'economia italiana negli ultimi due anni assumono un'importanza che va molto al di là di quel che non possa apparire dalle diagnosi ufficiali e dai dibattiti politici. Ciò non è dovuto al fatto che l'opinione pubblica sia stata volutamente tenuta all'oscuro delle circostanze: anzi, per la prima volta, forse, nella storia della Repubblica italiana, una convergenza di motivi della più diversa natura ha indotto il governo a deporre ogni retorico atteggiamento di falso ottimismo, per esporre al paese con tutta chiarezza i termini della situazione. Ma, nonostante questo apprezzabile sforzo, di sincerità, la vera portata della crisi, i riflessi che essa potrà avere· sullo sviluppo della nostra. economia, le modificazioni che. essa dovrebbe portare nella politica di sviluppo che è ancora in fase di faticosa elaborazione, rappresentano problemi tuttora non chiariti nei loro termini essenziali. Chi ha seguito i dibattiti copiosi che si sono succeduti dal 1962 ad oggi limitandosi alle notizie desunte da essi, ,potrebbe riassumere la situazione all'incir~a con queste parole: la crisi attuale dell'eco·nomia italiana. è un fenomeno di natura essenzialmente temporanea, dovuto ad una commistione di elementi svariati, quali eccessiva circolazione monetaria e creditizia, sviluppo troppo impetuoso di alcune industrie, · intervento inappropriato del settore pubblico in altre; si tratta comunque di una ondata ciclica, passata la quale rieme·rgeranno i fattori fondamentali che hanno sostenuto lo sviluppo economico italiano fin dalla ripresa postbellica, e l'espansione del paese riprenderà lungo le stesse linee e con gli stessi ritmi del passato; un 5% di sviluppo annuo in termini reali può, quindi, essere dato per scontato; il problema consiste nello stabilire in che modo la disponibilità crescente di risorse vada utilizzata. Una diagnosi simile non solo traspare dai discorsi ufficiali delle autorità responsabili, ma, ciò che è più importante, è implicita nell'impostazione che la stessa Commissione per la programmazione continua ' a dare ai propri lavori. Quale sarà il. peso di quest'organo sulla condotta economica del paese è difficile dire; ma se an-ehe, per estrema 6 Biblioteca Gino Bianco

Politica della congiuntura e politica di sviluppo ipotesi, la Commissione dovesse risultare priva di autorità concreta, e limitarsi a segnalare problemi e formulare proposte, il persistere in una impostazione ormai superata dalle circostanze potrebbe dar luogo a conseguenze assai gravi. Il fatto nuovo della depressione che stiamo attraversando, e di cui è necessario rendersi conto, è che, per la prima volta a partire dal 1950, lo sviluppo regolare del reddito nazionale, invece di essere il risultato scontato e automatico di meccanismi non controllati, appare come un obiettivo che può essere conseguito o mancato, ma che comunque va perseguito mediante politiche appropriate e coscienti. L'espansione, che finora è parsa come dono del cielo e che l'opinione pubblica ha accolta e battezzata come « miracolo », da oggi in poi dovrà essere guadagnata giorno per giorno, così come accade in molti altri paesi. Ci troviamo oggi a dover constatare che le due « strozzature » dell'economia italiana, la pressione dei consumi e il problema della bilancia dei pagamenti, che specie negli ulti1ni sei o sette anni sembravano superate, sono in realtà sempre presenti. La crisi non è semplicemente un'ondata di depressione come quelle del 1954 o del 1958; essa è la manifestazione di un punto di svolta, al quale l'economia del paese è giunta. Di questa svolta, delle sue cause e dei riflessi che essa comporta per l'intera evoluzione della nostra economia è ormai tempo di prendere coscienza. Le critiche tradizionali allo svilitppo italiano. Lo sviluppo economico realizzato nel nostro paese fra il 1951 e il 1961 è stato oggetto di giudizi contrastanti, c11e vanno dagli elogi incondizionati alle critiche più aspre. Su un punto, però, fautori e critici si sono trovati concordi, ed è stato nel considerare lo sviluppo italiano come un esempio di espansione particolarmente veloce e miracolosamente prolungata nel tempo. Nessuna riserva è stata mai avanzata quanto al tasso di accumulazione, il cui livello d'altronde è stato sempre piuttosto elevato: nel 1955, gli investimenti avevano già superato il 22% del reddito nazionale lordo e nel 1962 toccavano quasi il 26%; tassi così cospicui non offrivano certo il fianco alla critica. Le critiche hanno, invece, preso di mira la distribuzione dell'investimento fra i diversi settori. Si tratta di riserve in buona parte largamente condivise da osservatori di diverse tendenze, e che hanno trovato una prima formulazione nella famosa Nota aggiuntiva alla Relazione Generale sulla situazione economica del Paese per l'anno 1962; per essere riprese e sviluppate da Fuà e Sylos Labini nel volume I dee per la programma7 ibliotecaGino Bianco

Augusto Graziani zione (Laterza, 1963), e infine incluse nelle premesse generali dello schema di programmazione presentato dalla Commissione per la programmazione alla metà del 1964. Tali critiche hanno raggiunto ormai un discreto grado di elaborazione e possono essere sintetizzate con sufficiente precisione. Lo sviluppo economico italiano è stato caratterizzato da un profondo dualismo di carattere territoriale, settoriale e aziendale. Il dualismo territoriale è costituito dal dislivello fra Mezzogio-rno e Centro-Nord, vecchio male, tipico dell'economia italiana, ereditato dal periodo preunitario e perpetuato negli anni successivi; nel corso del decennio 1951-1961, per quanto su questo fronte grandi progressi siano stati compiuti, e per quanto l'economia del Mezzogiorno, sollecitata da cospicui investimenti pubblici, sia stata messa in moto e fatta crescere ad un tasso di sviluppo simile a quello del Centro-Nord, l'ambito traguardo della riduzione delle distanze economiche fra Nord e Sud non è stato raggiunto. La politica di interventi che, sia pure co,n molte incertezze, e con ancor maggiore gradualità, è stata messa in atto nel Mezzogiorno ha bensì conseguito un risultato di importanza storica eminente: impedire, per la prima volta dopo molti decenni, eh~ le distanze fra Nord e Sud si allargassero ulteriormente. E difatti, in un periodo in cui le regioni del Nord si sviluppavano ad un ritmo velocissimo, la politica degli interventi meridionalistici è riuscita a imporre lo stesso tasso di accrescimento anche alle regioni meridionali, assai meno favorite e pro-gredite. Ma la stessa politica non è riuscita, se non forse negli ultimissimi anni, a produrre un'inversione di tendenza e ad 'assicurare all'economia nazionale uno sviluppo, territorialmente più equilibrato. Il dualismo settoriale ha contrapposto il settore dell'industria in fase di velocissimo sviluppo ai settori stagnanti dell'agricoltura e del commercio. L'agricoltura è stata sempre meno capace di offrire redditi comparabili a quelli degli altri settori e ha subìto un eso·do crescente che ha messo in crisi le antiche strutture fondiarie, strutture che trovavano la loro logica, dove di logica poteva parlarsi, solo nella elevata pressione della popolazione. Il 1iadattamento delle strutture fon diarie alle condizioni imposte da una pressione demografica repentinamente ridotta e da un mercato fattosi assai più competitivo non potrà aver luogo se non gradualmente e come risultato di una politica agraria consapevole; nel futuro più immediato, il settore agricolo è destinato a soffrire di insufficienze nella produzione e ad offrire redditi di lavoro e di capitale del tutto inadeguati. Il commercio, al pari dell'agricoltura, è stato la grande riserva. di manodopera alla quale ha attinto il settore industriale; anche qui, un cospirare di circostanze ha 8 BibliotecaGino Bianco

Politica della congiuntura e politica di sviluppo prodotto la sopravvivenza di forme tecniche inefficienti. Il disordinato sviluppo urbano, la carenza di una moderna rete di trasporti, la stessa pressione della disoccupazione, hanno consentito la persistenza di un sistema distributivo antiquato, basato sul piccolo dettaglio, caratterizzato da bassa produttività e bassi salari, basso volume di affari e di profitto globale, acco,ppiati a margini unitari di profitto elevatissimi. Il dualismo aziendale, infine, ha contrapposto imprese progredite, ad alti salari, caratterizzate dall'impiego di tecnologie moderne ed altamente meccanizzate, a piccole imprese semiartigianali, dominate da un regime di bassa qualificazione del lavoro, bassa produttività, salari inferiori ai minimi contrattuali. Infine, il dualismo nei consumi ha contrapposto un volume di consumi privati che punta rapidamente verso traguardi da civiltà opulenta a un volume di consumi pubblici del tutto inadeguato. Basti pensare che, nel periodo 1951-1962, i consumi pubblici in Italia, pur p·artendo da un livello assoluto assai basso, sono cresciuti in termini reali ad un tasso inferiore a quello dei consumi privati (46% medio annuo contro il 5,1%), cosicché, mentre all'inizio del periodo i consumi pubblici rappresentavano il 9,3% dei consumi totali, al termine tale percentuale •era scesa all'8,8%. Distorsioni simili si ritroì\Tano anche nell'ambito degli stessi consumi privati; se si paragonano, ad esempio, i consumi per abitante di taluni generi in Gran Bretagna e nel nostro paese, si troverà, contrariamente ad ogni legittima aspettativa, che la distanza è superiore per generi di prima necessità (ad esempio, il consumo di carni per abitante in Italia nel 1961 non raggiungeva il 40% del consumo corrispondente in Gra11 Bretagna), che non per generi non strettamente necessari (ad esempio, sempre nel 1961, la circolazione di autoveicoli per abitante, raggiungeva in Italia quasi il 44% della circolazione britannica). Fin qui ci siamo limitati a riprodurre un quadro che, nelle sue grandi linee, è stato ormai largamente divulgato e commentato. Ma può essere interessante tentare di compiere ancora un passo e formulare un giudizio sul tipo di sviluppo che si è svolto nel nostro paese fino all'anno 1962 e che, come vedremo fra breve, deve considerarsi per alcuni aspetti un episodio concluso. Come spesso accade in circostanze simili, è sempre possibile considerare quanto è avvenuto sotto una luce rosata· e sottolineare il veloce accrescimento del reddito, l'esplosione dei consumi di lusso, la stabilità monetaria, il raggiungimento della piena occupazione; ed è altrettanto legittimo assumere un atteggiamento più severo, guardare solo il rovescio della medaglia e puntare un indice accusatore sulla depressione del Mezzogiorno, sulla vastità delle dolorose correnti migra9 BibliotecaGino Bianco

Augusto Graziani torie, sull'insufficienza spaventosa delle provvidenze scolastiche e sanitarie, specie nelle regioni dov.e il sussidio pu1Jblico · sarebbe maggior- . mente auspicabile. D'altro canto, se è errato assumere un atteggiamento unilaterale, altrettanto errato sarebbe pretendere di procedere ad un bilancio della situazione, quasi che le poste in gioco potessero essere sommate algebricamente per fornire un saldo attivo o passivo; infatti anche per effettuare una simile so,mma, bisognerebbe comunque fare ricorso a una valutazione soggettiva, che sarebbe altrettanto unilaterale. Piuttosto, quel che va notato è che questo tipo di sviluppo dualistico e squilibrato aveva una sua rispondenza alle circostanze e non era quindi privo di una sua logica interna. Per chiarire questo punto, occorre tenere presente che l'accumulazione di capitale che si è svolta nel nostro paese si è svolta prevalentemente come accumulazione di iniziativa privata, costretta ad osservare le leggi inderogabili della efficienza di mercato .. Questo è vero sia del settore privato vero e proprio, sia del settore semipubblico costitui.to dalle imprese a partecipazione statale, sia delle grandi imprese totalmente pubbliche, che hanno agito con criteri strettamente ispirati alla logica del profitto e dello sviluppo. Per tutti, le leggi del mercato imponevano la medesima n9rma di efficienza; e l'efficienza è stata raggiunta grazie all'adozione di dimensioni aziendali di misura europea, alla disponibilità di manodopera abbondante, allo sfruttamento delle economie esterne. La grande industria ha in tal modo creato una fascia, dapprima circoscritta, poi sempre crescente, di redditi elevati, e quindi una piattafo,rma di consumi interni che, unita ai mercati ésteri, ha co,nsentito alle imprese di assumere dimensioni da grande industria; simultaneamente, l'insieme delle piccole imprese semiartigianali ha avuto il compito di utilizzare la manodopera eccedente, costituendo una catena di imprese ausiliarie, dove la competitività veniva raggiunta grazie al basso livello dei salari; infine, la concentrazione tendenziale nelle regioni del triangolo industriale ha consentito di sfruttare al massimo le economie esterne di un settore industriale ormai considere·vole. Il dualismo territoriale, settoriale e aziendale ha così avuto la sua funzione nel facilitare lo sviluppo di una industria che aveva l'unica funzione di rispondere alle esigenze che si manifestavano sul mercato. Conseguenza di questo tipo di sviluppo è stato lo squilibrio nei consumi. Non può destare meraviglia che in una società caratterizzata da forti sperequazioni nella distribuzione personale dei redditi sorgano domande anche estese per prodotti di lusso, mentre molti bisogni primari restano ancora insoddisfatti. Opulenza e miseria coesistono facilmente quando esse investono strati diversi della collettività. ,, 10 BibliotecaGino Bianco

Politica della congiitntura e politica di sviluppo Mentre, quindi, è più che giustificato considerare co·me obiettivo di interesse comune l'eliminazione degli squilibri dalla nostra economia, sembra meno giustificato affermare che tali squilibri sono il prodotto di un'accumulazione « distorta» o « viziata »; essi sono semplicemente il frutto necessario dello sviluppo impetuoso di un'industria lasciata alle libere forze del mercato. L'unico modo di evitare il prodursi di tali squil 1ibri sarebbe stato attuare fin dall'inizio una accumulazione controllata; ma questo avrebbe comportato ovviamente il sovvertimento totale dell'economia di mercato e avrebbe sostituito problemi di natura certamente· diversa, ma di portata non inferiore, a quelli suscitati dall'accumulazione basata sull',iniziativa privata. Insufficienza delle critiche tradizionali. Le critiche allo sviluppo economico italiano che abbiamo esposte si limitano a prendere di mira la distribuzione territoriale e setto·riale dello sviluppo senza analizzare in alcun modo i punti cruciali di ogni processo di accumulazione, che sono quelli dell'equilibrio fra risparmi e investimenti e dell'equilibrio della bilancia dei pagamenti. Anche i suggerimenti per una politica di sviluppo si limitano a raccomandare il controllo dei flussi di investimento nei diversi settori e territori del paese, ma danno per scontato che l'economia italiana nel suo insieme potrà contare anche negl,i anni avvenire sulla possibilità di investire un 20-25% del proprio reddito nazionale, di realizzare un tasso di sviluppo del 5 % in termini reali e di mantenere in equilibrio i propri conti con l'estero. Secondo questa impostazio,ne, il problema dello sviluppo del nostro paese sarebbe solo un problema di controllo qualitativo, non anche un problema di stimolo quantitativo. Questa visione, ispirata ad una fiducia cieca nella continuazione indefinita del miracolo italiano, poteva essere spiegata, anche se non giustificata, fino ad uno o due anni or sono, dal momento che è consuetudine fatale che il prossimo avvenire venga raffigurato assai simile al più immediato passato; ma diviene del tutto inaccettabile oggi che il miracolo ha subito una brusca e non casuale interruzione. Eppure, scorrendo scritti e discorsi di politici ed econom,isti, si nota come perduri l'atteggiamento mentale di chi consider:a la depressione attuale alla stregua di un momentane·o rovescio di fortuna: passata la crisi, il paese riprenderà a marciare lungo le vie dello sviluppo che ben conosciamo, e sarà possibile intraprendere quella politica di eliminazione degli squilibri che le esigenze della politica congiunturale hanno imposto di rinviare. Atteggiamenti simili risultano anche dai discorsi ufficial,i dei titolari dei dicasteri economici, e possono 11 BibliotecaGino Bianco

, . Augusto Graziani essere letti da chiunque nei commenti alla Relazione pro,grammatica presentata al Parlamento per la prima volta quest'anno. Per quanto attraente, questa impostazione dei problemi economici del paese non è più accettab,ile; per rendersene conto è necessario riandare brevemente alla natura della crisi che si è bruscamente abbattuta sull'economia del paese. La natura della depressione. L'anno 1964 sarà considerato come un anno di depressione per l'economia italiana; se le previsioni troveranno conferma, a conti fatti c,i ritroveremo con una produzione industriale accresciuta appena dell'l % e, per la prima volta a partire dal dopoguerra, dovremo constatare una flessione nel volume degli investimenti che raggiungerà e supererà il 5%. Un co·nsuntivo così poco brillante va riconnesso indubbiamente alla politica di contenimento attuata dal go,verno italiano a partire dagli ultimi mesi del 1963; ma, a sua volta, tale politica ha tratto origine da eventi che hanno investito i meccanismi fo,ndamentali dell'economia del paese. Le cause prim.e della crisi sono state indicate da vari commentatori negli elementi più svariati: c'è chi l'attribuisce allo sviluppo eccessivo dei consumi, chi all'espansione incontrollata del credito rateale ( « l'Italia, paese delle cambiali, ... » ), chi agli aumenti di salari del 1962 e 1963, chi alla nazionalizzazione dell'industria elettrica. Non sarà male, di fro,nte a questo pullulare di diagnosi contrastanti, ripensare sinteticamente le tappe principali della crisi; perché, dalla diagnos'i che se ne dà, dipende in gran parte la 11atura dei rimedi che si suggeriscono. Il primo punto da notare è che i sintomi iniziali di crisi sono venuti non dal settore della produzione, ma dal settore monetario e da quello dei conti con l'estero. Gli indici della produzione :industriale di tutti i settori hanno mostrato un incremento costante senza alcun segno di rallentamento fino· a tutto il 1963; ancora nel quarto trimestre di quell'anno, l'indice generale rettificato dell~ produzione industriale toccava il livello 251, con un aumento del 10% rispetto all'anno precedente e del 3% rispetto, al terzo trimestre d-ello stesso anno: segno, questo, · che nessuna strozzatura si era venuta a creare nel sistema produttivo italiano dal punto di vista delle possibilità reali di produzione. Anche una analisi dettagliata degli indici dei prezzi palesa come nessun mercato particolare abbia mostrato segni di tensione fino agli ultimi mesi del 1962; il che trova del resto co·nferma nel fatto che di nessun ...... settore produttivo si è mai sentito di_re che il flusso di produzione avesse esaurito la capacità degli impianti o che il potenziale di produ12 BibliotecaGino Bianco

Politica della congiuntura e politica di sviluppo zione fosse pienamente utilizzato. È, quindi, da escludere che sia stata la piena occupazione delle installazioni produttive a determinare la crisi. Il mercato nel quale si stavano per toccare livelli di piena occupazione è, invece, il mercato del lavoro; e da questo mercato trae origine la storia della crisi italiana. Nel corso del decennio 1951-1962, come risulta chiaramente da dati contenuti nella Relazione della Banca d'Italia per l'anno 1962, le remunerazioni del lavoro, pur crescendo velocemente, non avevano tenuto il passo con gli incrementi di produttività del lavoro. Nell'insieme dell'industria manifatturiera, posto il 1953 eguale a 100, l'indice della produttività oraria del lavoro aveva raggiunto nel 1961 il livello 184, mentre l'indice dei salari sfiorava appena il livello 147. L'anno 1962 segna per la prima volta un rovesciamento di tendenza e un aumento dei salari maggiore dell'aumento di produttività. Il rovesciamento di tendenza non sopraggiunse inatteso; esso era stato preparato da uno slittamento salariale che durava ormai da alcuni anni e che in alcuni settori aveva raggiunto punte non indifferenti. Spinte dalla scarsità di manodopera, le imprese offrivano, sotto le forme più svariate, salari di fatto superiori a quelli contrattuali; si calcola che nel 1960, nel triangolo industriale, il salario medio di fatto superasse del 50% il salario co•ntrattuale, e in alcuni settori, come il chimico e il metalmeccanico, tale divario era ancora maggiore. Nell'anno 1962, attraverso una contesa sindacale fattasi repentinamente più aspra, il livello dei salari contrattuali compie un rapido balzo in avanti, tale da produrre un riaccostamento dei salari contrattuali a quelli di fatto. In quell'anno, l'aumento dei salari supera largamente gli aun1enti di produttività, anche se è insufficiente a far riguadagnare ai salari il terreno perduto nel corso del decennio. L'indice Istat dei salari nell'industria ( 1938 == 1) che alla fine del 1961 era a livello 104, cresce con ritmo improvvisamente accelerato a partire dal gennaio 1962 fino a toccare il livello 113 alla fine del 1962 e prosegue con aumenti anche maggiori nel corso del 1963. Per la prima volta, l'industria italiana si trova di fronte ad una riduzione nel tasso dei profitti, e tenta di porvi rimedio facendo ricorso ad aumenti di prezzo. In tal modo, l'aumento dei salari si trasmette rapidamente al mercato dei beni di consumo causando aumenti cli prezzo specie nei generi alimentari e nei beni di consumo durevoli; verso la fine dell'anno, si manifestano le prime tensioni nei prezzi all'ingrosso dei beni di investimento. La bilancia comn1erciale che nel 1962 si era chiusa con un saldo attivo di 111 miliardi, si chiude al termine del 1962 con un modesto passivo (53 miliardi); la bilancia dei pagamenti è tuttavia ancora attiva per 186 m~liardi. 13 Bibl'ioteca Gino Bianco

Augusto Graziani I caratteri di questa situazione, appena accennati nel 1962, si esasperano nel 1963. L'indice dei salari nell'industria tocca il livello 120 nel maggio, e si avvia verso il livello 130 nel dicembre; i prezzi al consumo proseguono nel loro aumento, seguiti ormai dai prezzi all'ingrosso che, perduta la loro tradizionale stabilità, aumentano sensibilmente sia nel settore dei beni di investimento sia (a partire dal settembre) nel settore dei beni di co•nsumo. Ma quello che precipita la situazione, fino a farla ritenere insostenibile, è l'andamento della bilancia dei pagamenti. Dal modesto attivo che era stato· realizzato al termine del 1962, si passa ad un passivo di oltre 1.100 miliardi del movimento commerciale e di quasi 500 miliardi nel saldo finale. Le riserve valutarie, che avevano toccato un livello massimo di oltre 2.600 miliardi di lire nel settembre del 1962, si erano ridotte di quasi 900 miliardi al termine del 1963. Le conseguenze di questa situazione sulla formazione e sulla distribuzione del reddito nazionale sono state palesi. Sotto l'aspetto della distribuzio,ne, giri aumenti salariali hanno assorbito la parte maggiore dell'aumento di reddito complessivo realizzato·; basti pensare che mentre nel 1955 i redditi da lavoro dipendente assorbivano il 55% del reddito nazio.nale netto al costo dei fattori (percentuale che fino a tutto il 1961 ha mostrato solo, una lievissima tendenza all'aumento), nel 1962 questa percentuale è bruscamente salita al 57,2% e nel 1963 ha raggiunto quasi il 62,4%. Questa veloce redistribuzione di redditi, operata sotto la spinta dell'azione srindacale, ha potuto essere realizzata attribuendo ai redditi di lavoro dipendente la quasi totalità del maggior reddito prodotto. Infatti, nel 1962 1'80% e nel 1963 il 97% dell'aumento di reddito netto al costo dei fattori è stato distribuito al lavoro dipendente. L'insieme degli « altri redditi », dopo un periodo caratterizzato da aumenti dell'8-9% annuo in termini monetari, hanno registrato un aumento del 5,6% nel 1962 e appena dello 0,9% nel 1963. Cifre che, convertite in termini reali, equivalgono a una stazionarietà nel 1962 e a una riduzione netta nel 1963, e che stanno a significare che ai maggiori investimenti privati effettuati nel 1962 non è toccata nel 1963 remunerazione alcuna. Dal lato della produzione, le conseguenze non potevano essere meno marcate. La domanda dei beni di constuno da parte del settore privato è cresciuta nel 1963 del 17% in termini monetari (equivalente al 9% in termini reali), 1nentre gli investimenti fissi sono cresciuti in termini reali appena del 5,5%. Il 1963 ha, quindi, registrato un capovolgimento rispetto alle posizioni tradizionali nei tassi di accrescimento dei consumi e degli investimenti. Questo capovolgimento non può destare meraviglia; l'espansione veloce dei redditi da lavoro dip~ndente non poteva riversarsi se non sul mercato dei beni di consumo; d'altro canto, la brusca contra14 Biblioteca Gino Bianco

Politica della congiuntura e politica di sviluppo zione dei profitti aziendali ha ridotto e in parte annullato le possibilità di autofinanziamento, impedendo lo sviluppo degli investimenti al ritmo consueto. Tanto meno può destare meraviglia l'aumento dei prezzi; nessun sistema economico, come ha fatto opportunamente rilevare il Governatore Carli, avrebbe potuto assorbire senza scosse un aumento salariale e una redist~ibuzione dei redditi così violenta, e così concentrata nel tempo, come quella che si è verificata fra la metà del 1962 e la fine del 1963; è perfettamente normale che, indipendentemente da squilibri quantitativi fra la domanda e l'offerta, le imprese abbiano tentato di reagire alla contrazione dei profitti aziendali e di recuperare attraverso l'aumento dei prezzi almeno parte di quello che perdevano a causa dell'aumento dei salari; ed è altrettanto normale che esse abbiano tentato, finché questo è stato loro possibile, di sopperire all'inaridirsi delle fonti d,i autofinanziamento ricorrendo in misura maggiore ai finanziamenti esterni, contribuendo così ad allargare la circolazione creditizia e finanziando anche per questa via la spinta inflazionistica. Fin qui, dunque, tutti i fenomeni riscontrati rientrano nella logica normale delle cose. Attenzione maggiore si deve, invece, dedicare al repentino passivo della bilancia dei pagamenti. Considerando le cose sotto un profilo più generale, il pass,ivo della bilancia commerciale potrebbe anche giustificarsi. Tutte le volte in cui si verifica uno spostamento brusco nella domanda interna, o un subitaneo aumento di essa in tutti i settori, non è detto che l'offerta possa adeguarsi con altrettanta prontezza; in un'economia aperta, la rigidità dell'offerta interna si traduce automaticamente in aumento di importazioni, mentre nessun meccanismo altrettanto automatico può assicurare un aumento parallelo delle esportazioni. Nel nostro caso, tuttavia, l'aumento repentino della domanda di beni di consumo ha provocato reazioni assai diverse da settore a settore. Le punte maggiori della domanda si sono· avute in due settori, quello dei prodotti alimentari (la spesa per carni è cresciuta nel 1963 del 23%, quella per oli e grassi del 28%) e in quello dei beni durevoli (la spesa per articoli di uso domestico è cresciuta del 273/6, quella per autoveicoli addirittura del 66 % ). Senonché, mentre nel settore dei beni non alimentari l'offerta si è mostrata elastica e in grado 1 di rispondere alle accr~- sciute esigenze del consumo, senza sacrificare le esportazioni e provocando aumenti dei prezzji minimi o nulli, nel settore dei prodotti alimentari !~offerta si è mostrata assolutamente rigida e la maggior domanda si è tradotta in forti aumenti dei prezzi (10,6% per le carni, 19,4% per gli oli e grassi) e in forti aumenti delle importazioni. Se la bilancia commerciale nel 1963 è precipitata in un passivo di oltre mille miliardi 15 BibliotecaGino Bianco

., Augusto Graziani per il solo movimento di merci, ciò è stato causato per due terzi dalle importazioni di generi alimentari, la cui offerta: interna non ha mostrato alcuna cap,acità di espa.nsione. Dalle osservazioni fatte sin qui, il nocciolo del problema emerge con sufficiente chiarezza e la concatenazione degli eventi può essere ricostruita nel giro di poche proposizioni. Il raggiungimento della piena occupazione ha provocato un'ondata repentina e prolungata di aumenti salariali, aumenti che hanno avuto una duplice conseguenza. Da un lato, le imprese, nel tentativo di ricostituire i margini di profitto erosi, hanno fatto ricorso ad un aumento dei prezzi; dall'altro, la maggior domanda di beni di consumo, incontrando u11'offerta rigida nel settore dei beni alimentari, ha provocato un repentino aggravarsi del passivo della bilancia dei pagamenti. Inflazione e disavanzo commerciale sono così stati i due protagonisti della crisi, senza che in nessun settore si raggiungesse mai la piena utilizzazione delle attrezzature produttive .. Si deve notare, però, che, per quanto sia l'uno che l'altro fenomeno abbiano ricevuto eguale attenzione nei pubblici dibattiti, essi hanno assunto nei fatti rilevanza profondamente diversa. Se nelle dichiarazioni ufficiali è sempre sull'inflazione che si è fatto cadere l'accento, è stato invece il disavanzo commerciale ad assumere importanza predominante. Senza il passivo nella bilancia dei pagamenti, l'erosione nei margini di profitto aziendali avrebbe potuto essere rimarginata attraverso il credito bancario, cosa che del resto è avvenuta, come vedremo fra breve, nel corso del 1962 e lungo parte del 1963; l'infla- , zione avrebbe avuto luogo ugualmente, ma non si sarebbe avuta la contrazione nel volume degli investimenti e l'arresto nel processo di sviluppo; se l'offerta fosse stata elastica nel setto·re dei prodotti alimentari come negli altri settori, si sarebbe probabilmente potuto avere sia l'aumento del 7% dei consumi in termini reali sia l'aumento consueto dell'8-9% negli investimenti, e tutto si sarebbe risolto in un'accelerazione dello sviluppo, sia pure in clima di aumento dei prezzi. Nel contempo, il persistere di un elevato volume di produzione e di occupazione avrebbe reso possibile un riassetto interno della distribuzione dei redditi assai meno costoso di quello che stiamo, ora attraversando. È stato, invece, il disavanzo commerciale che ha fatto precipitare la situazione, inducendo le autorità competenti ad intervenire con provvedimenti restrittivi della domanda globale. L'inflazione in sé e per sé non avrebbe impedito di ristabilire l'equilibrio fra investimenti e consumi; la vera strozzatura che ha arrestato il processo di sviluppo si è verificata nella bilancia dei pagamenti. 16 Biblioteca Gino Bianco

Politica della congiuntura e politica di sviluppo La politica anticongiunturale. I termini del problema sono ormai chiari. La crisi dinanzi a cui le autorità del paese si sono venute a trovare non è una crisi di carattere occasionale, dovuta a disordini monetari o a una pressione occasionale dei salari; essa è, invece, una crisi di carattere strutturale che va riconnessa al passaggio da una economia di disoccupazione o sottoccupazione ad una economia di piena occupazione. Cerchiamo di analizzare questa situazione. Ogni economia in via di sviluppo deve superare due ostacoli fondamentali: il primo è costituito dalla necessità di contenere i consumi per fare posto ad un adeguato ammontare di investimenti; il secondo dalla necessità di portare in equilibrio la bilancia dei pagamenti ad un livello di importazioni sufficiente a sostenere il tasso di sviluppo consentito dal risparmio interno. A torto si ritiene usualmente che l'unico ostacolo all'accumulazione sia rappresentato dalla pressione dei consumi; il problema della bilancia dei pagamenti non è meno spinoso, e può essere assai più vincolante; infatti, l'accrescimento regolare delle importazioni di determinati prodotti può rappresentare un'esigenza inderogabile per il mantenimento del tasso di sviluppo, mentre l'accrescimento delle esportazioni dipende unicamente dalle capacità di assorbimento dei mercati esteri e può procedere ad un ritmo assai più lento del necessario. In altri termini, si potrebbe dire che un paese deve poter esportare in misura sufficiente per essere messo in grado di risparmiare e investire nella misura che i risparmi gli consentono. Il miracolo italiano è consistito proprio nell'avere trovato per un intero decennio soluzione simultanea ad ambedue i problemi. L'andamento dei salari, contenuto al disotto dell'aumento della produttività, ha consentito di ridurre progressivamente l'incidenza dei consumi, dal 79,2% delle risorse disponibili nel 1951 al 74,3% nel 1961; nello stesso tempo l'accrescimento delle esportazioni ha consentito di espandere le importazioni nella misura necessaria ad alimentare lo sviluppo della produzione. Dei due vincoli allo sviluppo, il secondo, quello della bilancia dei pagamenti, è stato il più restrittivo per la prima metà del decennio·: fino al 1956-57, infatti, la bilancia dei pagamenti è stata passiva e per utilizzare interamente la capacità di investimento si è- dovuto attingere a riserve valutarie; a partire dal 1958, la situazione si è capovolta e la capacità di importazione non è stata utilizzata per intero, dando luogo all'accumulazione di riserve cospicue. Bruscamente, negli ultimi due anni, la situazione si è nuovame11te modificata, ricordandoci che 17 Bib.liotecaGino Bianco

Augusto Graziani l'equilibrio degli scambi con l'estero è sempre l'elemento fragile di ogni economia in fase di rapido sviluppo. _ Di fronte alla situazione attuale del paese, è assai dubbio se si possa pensare correttamente aà una politica congiunturale nel senso tradizionale della parola. Politica della congiuntura è per definizione una politica di breve periodo, intesa a porre rimedio a disordini secondari che non investono il meccanismo fondamentale del sistema economico. Il nostro paese si trova, invece, dinanzi ad una svolta che investe l'intero meccanismo di formazione e distribuzione del reddito e che, come tale, non rappresenta un semplice turbamento al processo di sviluppo, ma un autentico problema che dovrà trovare soluzione, se si vuole che lo sviluppo del paese continui lungo i ritmi del passato. In regime di sottoccupazione, l'economia aveva saputo trovare spontaneamente una forma di equilibrio che aveva sì sacrificato consumi essenziali, aveva tratto vantaggio da un mercato del lavoro sostanzialmente debole, aveva perpetuato squilibri territoriali antichi, ma aveva realizzato un tasso di accumulazione soddisfacente e un adeguato volume di esportazioni. Compito della nuova politica eco11omica deve essere quello di facilitare la transizione dal regime di sottoccupazione a quello di piena occupazione, superando gli ostacoli costituiti dalla pressione dei consumi e dalla limitata capacità di importazione, e rendere possibile la continuazione del processo di sviluppo. L'Italia viene oggi a trovarsi di fronte ai due problemi di fondo di tutte le economie contemporanee, problemi con i quali si stanno cimentando da anni e con alterne vicende paesi éome la Gran Bretagna, l'Olanda e in misura minore la Germania. Nessuno vorrà dire cl1e siano problemi di facile soluzione, ma è necessario prenderne coscienza, perché dal successo o dall'insuccesso su questo punto dipenderà se l'Italia continuerà a far parte, insieme al Giappone e alla Germania Occidentale, del ristrettissimo « club dello sviluppo », o se ne uscirà per rientrare nel gruppo generale dei paesi per i quali un tasso elevato di crescita non è più una realizzazione n1a un'aspirazione. È chiaro che tutto ciò non fa parte della politica della congiuntura; ma è altrettanto chiaro che la politica congiunturale non può essere avulsa dagli obiettivi strutturali che la collettività si propone di realizzare. Non può esistere una politica della congiuntura in sé e per sé, che non tenga conto e non si a.rmonizzi con la politica economica di lungo periodo. Le autorità italiane, di fronte alle prime manifestazioni della crisi, si trovavano indubbiamente dinanzi ad un problema di non facile soluzione. Salvare simultaneamente l'equilibrio monetario interno, l'equilibrio negli scambi con l'estero, il tàsso di sviluppo e la politica di 18 BibliotecaGino Bianco

Politica della congiuntura e politica di sviluppo liberalizzazione degli scambi era ovviamente impossibile. Si poneva, quindi, un problema di scelta fra due impostazioni largamente diverse. Si poteva adottare una visione tradizionalista, ponendo al primo posto nell'ordine delle priorità l'equilibrio monetario e il pareggio nella bilancia dei pagamenti, sacrificando a questo obiettivo il mantenimento di un elevato livello di produzione e di sviluppo; oppure si poteva adottare una visione meno ortodossa, e porre al primo posto l'obiettivo dell'occupazione e dello sviluppo, a questi sacrificando l'equilibrio dei prezzi e degli scambi con l'estero. Ciascuna di queste soluzioni avrebbe ovviamente comportato un costo; ma un costo avrebbe pur dovuto essere sopportato, dal momento che l'equilibrio dell'economia si era ormai rotto. Quale l'atteggiamento del governo italiano? In un primo momento, e precisamente per tutto il 1962 e per una buona metà del 1963, è sembrato che le autorità monetarie volessero seguire la seconda via e sostenere l'espansione dell'economia, finanziando mediante più generose concessioni di credito gli investimenti aziendali resi difficili dall'aumento repentino dei salari. Se questo atteggiamento iniziale fosse dovuto, come alcuni hanno suggerito, a volontà deliberata di seguire una politica economica coraggiosa, o sia da attribuirsi, come altri ritengono, a incertezza politica nel prendere provvedimenti di qualsiasi natura, non sapremmo dire. Certo è che una semplice manovra di espansione del credito, non sostenuta da correttivi collaterali, non poteva sostenersi a lungo. Cosicché, superate le incertezze, nell'autunno del 1963, le autorità, con una brusca inversione di marcia, si risolsero a imboccare decisamente la via tradizionale, salvaguardando a qualsiasi costo l'equilibrio monetario e l'equilibrio degli scambi con l'estero. Vedremo fra breve entro che limiti questa soluzione possa considerarsi giustificata, data l'impostazione generale della politica economica del paese e la situazione specifica del momento. Quel che è certo, e di cui alle autorità monetarie va dato atto, è che, da quel momento in poi, la manovra è stata condotta con tecnica impeccabile; l'obiettivo di contenere l'aumento dei prezzi e delle importazioni è stato preso di petto e perseguito mediante un'azione di compressione diretta della domanda globale, al fine di ridurre drasticamente la domanda interna. I primi provvedimenti, e i più efficaci, sono stati quelli di carattere monetario; nell'ultimo trimestre del 1963 si decise ·per una bruscà contrazione del credito bancario; seguirono a più riprese (nel febbraio, nell'aprile e nell'agosto del 1964) altri provvedimenti di carattere secondario diretti sempre a comprimere la domanda interna (principalmente aumenti di alcune imposte indirette, su autoveicoli, natanti, benzina). Gli effetti di questa politica non hanno tardato a farsi sentire sotto 19 Biblioteca Gino • 1anco

' . Augusto Graziani forma di un'autentica depressione: sono ricomparsi gli orari ridotti negli stabilimenti industriali; la disoccupazio~e, che negli ultimi anni era andata costantemente diminuendo, è cresciuta, stando alle cifre più recenti, di quasi duecentomila unità; i piani di investimento· delle imprese sono stati limitati al completamento delle iniziative già intraprese, con una limitazione seria delle nuove. Già nel corso del 1963 gli investimenti per fabbricati industriali sono rimasti stazionari, e questo dato, come osservavamo nel giugno scorso sulle colonne di questa rivista, lasciava presumere un calo degli investimenti industriali per il 1964, calo che nella misura minima del 5-6% è ormai ammesso anche nelle previsioni ufficiali. Naturalmente questa compressione violenta della domanda globale ha sortito gli effetti desiderati sull'andamento dei prezzi e della bilancia dei pagamenti. Ridotta la tensione sul mercato del lavoro, contenuta la pressione salariale, l'indice dei prezzi all'ingrosso fra il gennaio e l'ottobre 1964 è rimasto praticamente stabile, mentre l'indice dei prezzi al consumo ha segnato incrementi assai più contenuti. Ridotta la domanda interna, anche la domanda esterna ha palesato una flessione netta, e le importazioni, dopo aver toccato un vertice massimo di 447 miliardi nel gennaio 1964, sono scese a meno di 369 miliardi nell'ottobre, registrando così, nell'ultimo semestre di cui si ha notizia (maggio-ottobre), un calo del 13%. Nello stesso periodo, l'alleggerimento della domanda interna ha consentito un aumento del 19% nelle esportazioni, riportando così in attivo la bilancia dei pagamenti. Gli obiettivi di carattere monetario sono stati, dunque, realizzati e anche brillantemente; ma il prezzo di questo successo è stata una contrazione nel volume della produzione e degli investimenti che ha impedito lo sviluppo del reddito e compromesso l'espansione anche per gli anni avvenire. Che giustificazioni si possono addurre per una politica di contrazione deliberata così severa? Una manovra simile rientrava indubbiamente nella migliore tradizione della politica economica del secolo scorso, quando le crisi di carattere inflazionistico venivano combattute per l'appunto con strumenti di carattere monetario e mediante una compressione brusca della domanda globale. Senonché, non va dimenticato che il secolo scorso è passato alla storia proprio come il secolo afflitto da crisi ricorrenti e da penose pause di depressione. La crisi è stata lo spettro della civiltà industriale fino a tutta la prima metà del nostro secolo e si è sempre considerata come tappa fondamentale della politica economica moderna l'aver trovato strumenti adatti a scongiurare il ripetersi di ondate depressive. A partire dall'esperienza della grande crisi del 1929, e specialmente nèl secondo dopoguerra, la politica 20 Biblioteca Gino Bianco

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