- Note della Redazione si agitano molto, e magari si agitano più di qitanto non lo facciano gli stu- _denti di altre facoltà, che pure promuovono scioperi e organizzano manifestazioni di protesta, negli ultimi tempi diventate più numerose e più rabbiose (in relazione alle delusioni provocate dalla pubblicazione del piano Gui fra tutti coloro che si attendevano dal governo di centro-sinistra interventi veramente decisivi ai fini di un rinnovamento a tutti i livelli dei programmi e delle strutture scolastiche nel nostro paese). Ma è anche vero che gli studenti di architettura sono stati fra i primi a porre il proble1na della riforma dei piani di studio; e lo sono stati, fra i primi, perché diventati immediatamente consapevoli che, di fronte al fenomeno dell'urbanesimo conten1poraneo, non si può non rifiutare la « concezione culturalmente e moralnzente superata di una professione passiva e acritica nei confronti della committenza ». Ora - se si pensa che è stata proprio la passività e la disponibilità acritica dei nostri arohitetti (nei confronti di chiunque commettesse loro l'incarico di formulare piani e progetti) a contribuire in modo determinante all'aggravamento dei guasti subiti dal sistema urbano del nostro paese - non si può negare che, agitandosi per accreditare la necessità di una nuova « concezione » della professione che hanno scelto di praticare, gli studenti di architettura dimostrano quanto meno di essere decisi a non diventare ciò che nessun[! di noi si augura che diventino: i cinici professionisti che sono capaci di buone prestazioni sul piano tecnico, ma ind'ifferenti per le sorti della città, per le condizioni della vita urbana, per gli interessi generali e permanenti della comunità dei cittadini. Che poi gli studenti di architettura non siano ancora del tutto consapevoli di quale possa essere il modo migliore per forma re i migliori architetti, questo è un altro discorso; ma, comutJ,que, è un discorso che essi hanno avuto il merito di affrontare con coraggio proprio nel momento in cui hanno dimostrato di aver capito che si devono cercare strade 11uove. Per trovarle, infatti, queste strade, si deve sapere che è necessario cercarle, anche a dispetto di quanti non vogliono che le si cerchino. Il nostro dovere, quindi, non è di condannare sbrigativamente le agitaziorii degli studenti di architettura, ma di interpretarne le cause e di contribuire, nei limiti delle nostre rispettive possibilità, al ritrovamento delle strade che questi giovani stanno cercando. 2) I piani di conquista delle cattedre. Vi sono giovani professori di architettura (e giovani non sempre e non solo per la classe di leva cui appartengono) che si sono dati da fare per fornire tutte le indicazioni che avevano la possibilità di fornire, sul piano cttlturale, ai fini di quella ricerca 4i nuove strade della quale dicevamo; e in questo senso sono stati v~cini agli studenti',. e anche alla testa degli studenti, come era loro dovere. Si vuole additarli alla condanna della pubblica opinione, come serrzbra nelle· intenzioni di Montanelli, perché pretendono che l'u11iversità sia « produttrice e non consumatrice di cultura e di scienza»? e perché si pongono, in coscienza, il problema di un insegnamento che non possa essere domani strumentalizzato da interessi particolari che sono chiaramente in conflitto con quelli della città? Quanto poi al pericolo incombente su.Ile facoltà di architettura, perché vi 43 Bipli_otecaginobianco
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