Nord e Sud - anno XII - n. 61 - gennaio 1965

Rosellina Balbi 111ini, non viene avvertita con identica immediatezza a tutti i livelli. Tornando alla nostra epoca, è evidente che un: processo di trasforma- - zione così formidabile come quello che oggi stiamo vivendo non può avere uno svolgimento omogeneo, non p11ò operare con la stessa intensità 11elle sue varie direzioni, data la condizione disuguale delle collettività umane. I valori della civiltà occidentale, dei quali oggi si denun- ; ·J eia la crisi, per miliardi di uomini rappresentano ancora (unitamente J 1 alle istituzioni cui sono connessi) una mèta da raggiungere. Può darsi j ~ che, una volta che essi li abbiano conquistati, ci si accorgerà che si tratta 7 di valori alquanto diversi dagli attuali; ma resta pur sempre il fatto che la crisi dei « nostri » valori non riguarda, se non indirettamente, quegli uomini. Lo stesso discorso si può ripetere a proposito delle ideologie. Facciamo l'esempio del marxismo: nessuno nega che, come concezione totalizzante, esso sia entrato, più o meno ufficialmente, in crisi. Ma ancor meno si può negare il fatto che il mito marxista eserciti tuttora una gigantesca forza di attrazione non solamente nei confronti dei popoli del « terzo mondo », ma anche nei confronti di importanti settori della classe operaia di molti paesi, tra i quali l'Italia. È appunto l'attaccamento ai vecchi simboli ideologici, l'appello irrazionale di certi slogans, - ciò che definiremmo il « fascino condizionante » del mito - che può spiegarci la costante (se non addirittura crescente) forza elettorale del movimento comunista in questi paesi, malgrado tutte le dispute dottrinarie che ne minacciano la compattezza sul piano internazionale come sul piano dei singoli partiti. Si potrà obiettare, naturalmente, che la « fine delle ideologie » è strettamente collegata allo sviluppo della società del benessere. Una volta risolti i problemi di giustizia sociale redistributiva, una volta instaurata l'affluent society, tramonterebbe definitivamente il tempo della lotta e della passione. A nostro avviso, se tale analisi corrispondesse al vero, le conclusioni non potrebbero essere che deprimenti: giacché cesserebbe in tal caso ogni stimolo alla ricerca della verità sulla condizione umana, e resterebbero sul tappeto soltanto quelli che sono stati definiti i problemi di « ingegneria sociale ». Non è nostro intendimento addentrarci in una polemica (per la quale, oltre tutto, non possediamo una qualificazione sufficiente) con i sociologi che sostengono una tesi siffatta. Riteniamo, tuttavia, di poter osservare che l'esempio americano - al quale si ricorre abitualmente per comprovare la validità dell'equazione « società opulenta == società, non-ideologica » - non ci sembra particolarmente probante. Tutta la storia degli Stati Uniti dimostra che, anche prima dell'avvento della società industriale, 30 Bibliotecaginobianco.

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