Il silenzio dell'Europa abitatore del cosmo, l'essere umano• si arricchirà di nuove funzioni psichiche, che oggi possiede soltanto in potenza, mancando gli stimoli ambientali appropriati _per la loro maturazione (non diversamente, prima dell'invenzione dell'alfabeto, era « muto » il centro della « lettura », presente nel cervello umano). Orbene, vediamo quanto scrive Edgar Morin (La cultz,1ra di n1assa, Il Mulino) a proposito del « nuovo rapporto col tempo e con lo spazio » nel quale ci ha introdotti la così detta cultura di massa: dopo avere affermato che, data la straordinaria ineguaglianza di sviluppo tra le comunità umane, si rende evidente ciò che egli definisce « l'aldiqua e l'aldilà dei problemi », il sociologo francese conclude che « forse, già sotto i nostri occhi, e per frammenti, si profila l'abbozzo scimmiesco - il ' cosmopiteco' - di un essere (dotato di maggiore coscienza e amore?) che potrebbe affrontare il divenire e assumere una condizione cosmica » ( e potremmo ricordare anche le affermazioni di un filosofo come Husserl sull'« io originario » come direzione verso un'umanità intersoggettiva; umanità che inconsciamente viveva anche nel passato, come direzione del processo evolutivo dell'uomo). Significativa coincidenza di conclusioni, dunque (il che, sia detto di passata, lascia sperare in quella possibilità di integrazione e di sintesi tra le diverse « culture » che da molte parti si va oggi invocando quale u11ico rimedio alla specializzazione; e cioè all'impossibilità, per il singolo, di conquistarsi una sua privata « visio•ne d'insieme », di ricer-,· care una soluzione personale ai quesiti propostigli dall'intelletto). È per-'- tanto legittimo rite11ere che i cambiamenti segnalati nei campi più disparati costituiscano i vari aspetti di un unico, gigantesco processo di trasformazione: onde non può stupire che i problemi fonda1nentali dell'uomo debbano oggi essere impostati ed affrontati diversamente da quanto si faceva un tempo; e cl1e, di conseguenza, i miti ottocenteschi - la cui autorità, fino a tempi recentissimi, non si osava quasi porre in discussione - vengano oggi sottoposti a una critica rigorosa, sia come strumenti concettuali che come modelli di azione. S'intende che il così detto relativismo culturale non è cosa nuova: come l1a osservato giustamente Nicola Abbagnano, possiamo farne risalire la scoperta - o meglio, la prima definizione - addirittura a Erodoto e a Protagora. Nessuno può contestare che il sistema di valori inerente alle istituzioni di una data cultura condizioni le scelte degli uo111ini che a quella cultura appartengono (sia pure lasciando loro un margine di libertà sufficiente per muovere alla ricerca di valori nuovi); talché il trasformarsi delle istituzioni implica la crisi dei valori ad esse inerenti. Ma la consapevolezza di questa crisi, da parte degli uo29 Bib.liotecaginobianco
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