Antonio Ghirelli alla particolare circosta11za ed alla psicologia degli intervenuti. In particolare, gli atleti sono giovani vivaci, allegri, sollecitabili più sul piano fantastico che su quello dialettico: stringeva. il cuore veder~i co-ngregati in una stanza buia ed esigua, per ascoltare l'oratoria non propriamente tribunizia dell'on. Moro, al cospetto di uno scl1ieramento ministeriale inspiegabilmente nutrito,, che andava dal non aggressivo o·n. Piccioni al non olimpico ministro Gui, per non parlare di Saragat e Andreotti, nonché di due o tre vetusti sottosegretari. Il solo ministro la cui presenza fosse giustificata, era l'o-n Corona. Ad aggravare la situazione, avvicinandola ad una tipica scena del teatro di Courteline, intervenne la poco felice scelta dei doni ero,gati agli olimpionici: un orologio d'oro ai migliori, un portasigarette d'argento ai meno brillanti, tipici regali da compleanno o da cresima, di quelli che si fanno tanto per togliersi il pensiero e che, nella fattispecie, per quanto riguarda il portasigarette, suonavano addirittura come incitamento a piccoli vizi cui gli sportivi teoricamente non dovrebbero indulgere mai. Sono particolari, sfumature, che naturalmente si sottolineano senza lo spirito qualunquistico che per solito acco1npagna le critiche alla nostra classe dirigente, anche perché in fondo perfino gli olimpionici azzurri - no-nostante la penombra e l'assembra1nento - mostrarono di apprezzare la nobile melanconia dell'on. Moro, la schiettezza del suo accento, l'onore verace dell'udienza concessa da un uomo politico co1sì schivo e semplice. Il buon democratico, tuttavia, non può che rammaricarsi della persistente insensibilità che la nostra élite politica di1nostra per ogni manifestazione di propaganda, dal giornalismo alla televisione, dai co1 mizi elettorali al più banale contatto con l'opinione pubblica, specialmente con quella giovanile. Gli effetti del mancato lavoro in questo settore si avvertono nel disorientamento e nel disinteresse di tanta parte della gioventù, soprattutto nella pervicace sopravvivenza di gruppi neo-fascisti, come quello che recentemente, a Napoli, si è reso protagonista della teppistica aggressione a Pasolini e ai suoi amici del circolo De Sanctis. Mi scriveva, a questo proposito, un caro compagno napoletano dei vecchi tempi, che si trovò coinvolto nell'ignobile episodio: « Tutti noi avevamo dei libri sotto il braccio, loro impugnavano i manganelli. Controfigure di pallidi martiri cristiani, ci n1ettem.mo a gridare: Viva la Resistenza, pigliandole da tutte le parti, finché fuggirono. Che libecciata. E che vergogna. Che vergogna tanto fascismo ... E quante colpe, le nostre. Dopo l'ermetismo, che abbiamo fatto per questi giovani?». Davvero un interrogativo non retorico, che mi ha richiamato lo splendido saggio pubblicato a n1età mese da Marco Cesarini sulle colonne del « Mondo », sul tema della trasformazionè sociologica, e quindi anche psicologica, che è intervenuta nel Partito Comunista. Ad un certo punto del suo saggio, rievocando la formazione del Partito prima del '56, Cesarini parla di quegli strati di « giovani, uomini e donne, che tutti provenivano, direttamente o indirettamente, dalla Resistenza più o meno attiva o addirittura dalla guerra partigiana. Era gente, questa, che s'era fatta comunista non certo per calcolo o capriccio o speranza di 42 Bibliotecaginobianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==