Nord e Sud - anno XI - n. 60 - dicembre 1964

Il caso Ippolito j principio e assumere il potere giudiziario come superiore all'Esecutivo e allo stesso Legislativo. Questo è in pratica quanto si è verificato al processo Ippolito, quando il giudice si è trovato di fronte a un imputato che dichiarava di essere stato no-n l'autore, ma l'esecutore di alcuni atti addebitatigli come reati, e ad un'autorità politica che reclamava su di sé la responsabilità di quegli atti. In questo caso il dilemma formulato poi dall'on. La Malfa era veramente stringente: o il giudice riteneva che gli atti di cui l'autorità politica si era assunta la responsabilità costituissero reato, e allora doveva incriminare i responsabili politici cui l'atto criminoso risaliva per espressa dichiarazione (non senza cedere la competenza alla Corte costituzionale, a norma dell'art. 96 della Costituzione); oppure riteneva che gli atti in qu~stione fossero normali atti di governo non censurabili penalmente perché costituenti legittimo esercizio dell'autorità discrezionale propria del potere esecutivo, e allora non doveva incriminare nessuno e tanto meno ovviamente chi di quegli atti era solo l'esecutore. Ma quando la magistratura rifiuta di scegliere ambedue le strade, e si cava d'imbarazzo ignorando la dichiarazione di responsabilità rilasciata dal potere politico, del quale aggredisce la dignità col tacciarlo di leggerezza e di incapacità a resistere al raggiro, allora non si tratta soltanto di giudizio spregiativo su un ministro responsabile, che è andato in Tribunale a fare il suo dovere di ministro; qui, come si diceva, si rimette in discussio11e quel rapporto di parità fra i poteri che è il fondamento di una vita statuale ordinata, e in base al quale ogni potere è tenuto tanto a rispettare i propri limiti di competenza, - quanto a non disconoscere l'esercizio delle funzioni da parte degli altri poteri. È facile scorgere le co-nseguenze di un contrasto su questo punto. Se la magistratura rifiuta di riconoscere per valida la dichiarazione di volontà dell'autorità politica, perché questa dovrebbe riconoscere per valida la dichiarazione di volontà della magistratura? Se un tribunale ~gnora atti e dichiarazioni di un ministro nell'esercizio delle sue funzioni, perché un ministro non do,vrebbe igno,rare un tribunale nell'esercizio delle sue? Cosa avverrebbe se, per esempio, il ministro guardasigilli, da cui dipendono i servizi della giustizia, dichiarasse di non riconoscere la validità di alcune sentenze e desse ordine ai suoi sottoposti di aprire ai condannati le porte del carcere? Ma la vita dello Stato non è fatta di queste sfide e di queste prove di forza; è fatta di coscie11za dei pro·pri limiti costituzionali e di riconoscimento della importanza e delle responsabilità degli altri poteri. 9 · Bibliotecaginobianco

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