\ Lea Vergine il pellegrinaggio attraverso i saloni della Stazione Maritti1na. Il Premio Porto, completamente sordo a quanto è accaduto nel campo dell'avanguardia figurativa, rimaneva alle posizioni del '58. Ness~1na trivialità d'obbligo era risparmiata al visitatore incauto: i pitto,ri del sabato, della domenica e del lunedì, le velleitarie pittrici p·artenopee, le signore-bene e quelle meno bene, i fotografi, i liberi docenti delle cartoline natalizie e delle immaginette da sacrestia erano stati affettuosamente accolti e largamente ospitati. E si pensi che il Premio Porto non è soltanto una palestra regionale. Per tornare alla Mostra del Maschio Angioino, l'ultimo episodio di un malcostume a cui si è ormai fatta l'abitudine, occorre ricordare che nell'articolo 9 del regolamento si legge: « la commissione per gli inviti consiglierà enti e privati nella scelta delle opere più meritevoli da acquistare». Tenendo conto che la commissione degli inviti ha inteso operare nel senso che vedremo, non è difficile immaginare quale sarà l'assistenza estetica che essa potrebbe prestare all'occasione. In un altro articolo del regolamento, il 12, si accenna anche ad opere non ammesse: ma non è chiaro in base a quali criteri, ammenoché non si debba sospettare che i membri che hanno diramato gli inviti soffrano di ripensamenti. All'inaugurazio·ne sono intervenute personalità cittadine,. politiche e non: la televisione e la radio le hanno assistite nell'improba fatica. Il festival insomma era da considerarsi pienamente riuscito ed è facile prevedere che i critici napoletani conJesseranno d'aver rintracciato empiti lirici nelle « immaginazioni con luci rosa », sofferti tormenti nelle « lente. ferite », rasserenate visioni nei « vasi con fiori». Si tratta in realtà di una mostra che poteva e doveva essere condotta in modo tale da offrire un efficace e veritiero responso su quanto oggi accade a Napoli nell'ambito delle arti figurative. E tutti sappiamo che qualcosa è accaduto anche a Napoli: « a Napoli lavorano alcuni artisti la cui oper~ non può più essere considerata come un atto di coraggio o un gesto di sfida», scriveva G. C. Argan. Ed ancora: « c'è voluto del tempo e ce ne vorrà dell'altro per separare definitivamente la pittura di Napoli dal pittoresco napoletano». Episodi di questo genere stanno a significare purtroppo che di tempo ce ne vorrà ancora chissà quanto e fare un gesto che orientasse il pubblico nel senso giusto significava, lo sappiamo, sfidare il malumore dei vicini di banco, rompere col piccolo compromesso quotidiano, tirare fuori un'ombra di carattere, rivelare la propria « fede»; e si sa pure quanto questo sia scomodo. Ecco quindi il perché di una mostra fatta in famiglia, senza spiacere a nessuno, dove si invitano pittori e pittorelli e si prendono per buoni i più mortificanti frutti del dilettantismo piccolo-borghese. E per non correre il rischio, dando troppo ossigeno ai giovani, dell'asilo di infanzia, si affonda nell'olezzo dell'obitorio. Ancora una volta le b,uone intenzioni - non le mettiamo in dubbio - di chi ha creduto fare opera meritoria, promuovendo una « Rassegna d'Arte 72 BibliotecaGino-Bianco ,,
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