Nord e Sud - anno XI - n. 53 - maggio 1964

.... .,,,._ .. Lo spettatore libero ossia del teatro che rinunzia a comunicare (così come l' « antiro·manzo » rinunzia a narrare). Si rovesciano i significati del ling11aggio (pensiamo a Ionesco). Si scrivono drammi nei quali i personaggi parlano, ma sol~ tanto perché si trovano ad essere materialmente vicini : più cl1e dar vita a un dialogo, essi pro-nunciano una seri~ di vuoti mo,nologl1i; il loro parlare è talmente privo di senso,, « che tende perennemente all'abisso del silenzio » 20 • E qualche vo,lta al silenzio si arriva addirittura: come in Acte sans paroles di Samuel Beckett. È la fine; il crollo di o,gni cosa. Con ciò non si vuol dire che la ragion d'essere di questo teatro (che talu110 ha definito « della guerra fredda », altri « del co,ngelamento » ed altri ancora « atonale ») sia da ricercare nel malizioso desiderio, di épater il rispettabile pubblico bo1 rghese. Pur senza volerci addentrare nel campo delle considerazioni esteticl1e, no1 n sarà inutile accennare a quanto scrive Peter Szo,ndi sulla crisi del dramma n1oderno. Secondo Szondi, la causa di tale crisi va ricercata nella crisi dei rapporti intert1mani: venendo questi a mancare, viene i11sieme a mancare la tensione, il conflitto,, e quindi la possibilità stessa del dialogo (dalla quale dipe11de, \ appunto, la possibilità del dramma). Il teatro di Beckett, che Szo1 ndi definisce dramma-conversazione, rappresenterebbe appunto, u11 tentativo di salvare la vecchia forma drammatica: ma esso finisce co1 diventare « il dramma della negatività della conversazione». A questo punto, occorrerà ricordare brevemente le argomentazio,ni, del resto note, di colo,ro che si battono in fa,rore dell'avanguardia. E qui il discorso si fa più ampio, oltrepassando i limiti del giudizio sullo sperimentalismo in campo strettamente teatrale. Dicono dunque i seguaci del1'.avanguarclismo che la disgregazione delle forme artistiche tradizionali costituisce lo strumento più idoneo a rispecchiare la dissociazione dell'esistenza (rifiutando di ravvisarvi, dunque, un atto di aristocratica ostilità, o addirittura di disprezzo 1, nei coinfro·nti del « volgo » ). Può darsi che ciò risponda al vero; quantunque in troppi casi sia legittimo il dubbio che i nuo1 vi linguaggi, per dirla con Cesare Cases, non siano altro che « cortine fumogene spruzzate dalla cattiva coscienza dello scrittore che non sa che pesci pigliare » 21 : un semplice espediente di comodo, dunque. Anche il tema dell'angoscia, significativo· al tempo di Proust, di Kafka o di Joyce, rischia, in mano ai loro « nipotini » (la definizione è di Adriano Guerrini) di trasformarsi in uno stucchevole luogo comune : onde si corre il pericolo di sfociare, come osserva lo ste·sso Guerrini, nell'arte « neurologica », nel « niente incrociabile col niente ». E ci si chiede per quale motivo, una volta accertata l'impos20 PErER SzoNDI, Teoria del dramma moderno, Ed. Einaudi 1962, pag. 73. 2 1 CESARE CASES, nella Introduzione alla citata opera di Szondi, pag. XXXIV. 27 Bibliotecaginobianco

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