Recensioni in quel chiedersi malinconico del narratore, quanto di realtà presti il tempo alle cose: come esse nel gioco crudele dei giorni e degli anni possano rimanere eguali a se stesse. Il riferimento a Roma, ai luoghi, alle strade della città, siano e~se le vie bizzarre del quartiere coppedé, o· quelle che confluiscono- severe e grige nell'arco barocco di Piazza Navona, tro.va una sua logica sentimental~ nei racconti, perché lo stratificarsi immobile delle architetture ripete e sottolinea il fluire dei sentimenti e dei giorni, uniformati da una medesima legge, che impedisce di afferrarne il senso proprio, particolare. Le donne, i paesaggi, le scene- quotidiane di De Feo, sono. accettati, in questa dimensione temporale, nello stesso momento in cui lo scrittore -riconosce la sua inadeguatezza a coglierne la cifra, il significato, se non quello generale e immutabile, che viene loro .prestato dal tempo. Sul filo di questa intuizione si vengono dipanando gli sp,unti narrativi, che le ·occasioni quotidiane o-ffrono alla sua intelligenza di persona colta con un bagaglio e un gusto di « grosse letture » alle spalle. Si veda il settimo. racconto ( << Piazza del Popolo. Porta del Popolo . . Quasi come ad Ercolano e Pompei», p,g. 116 e sg.) in cui una rissa banale fra due autom.obilisti, il pigro arrestarsi del traffico, la vicinanza occasio·nale di una donna con la bella testa reclinata fino a sfiorare quasi, da una macchina all'altra, il volto del narratore, il senso di immobilità assoluta, il silenzio antico sulla scena, creato dalla dolcezza del tramo•nto romano, suggeriscono allo scrittore la fantastica visione d'un n1ondo e di una scena, questa, scomparsi da secoli, il sapore delle cose già accadute. « - il miele della decadenza - dove l'ho letto? Dev'essere in Mario l'Epicureo di Walter Pater o nell'Età di Costanti110 del Burckardt. O chissà dove. Ora non saprei dire nep·pure il senso preciso· di quelle parole. Se non ricordo male il miele -della decadenza non è la decadenza in se stessa, ma la coscienza del decadere e il non alzare un dito per arrestare quel corso, e, in poche parole, la dolcezza di lasciarsi andare ... » (p·. 116). Magnifico tema, a cui purtroppo• non viene data soluzione narrativa, anche se lo scrittore ne formula il lucido sug,gerimento. Il tempo è l'unico cittadino di pieno diritto della Roma di De Feo, il tempo sia nel suo svol-- gersi, nella sua durata obiettiva, sia nella lunghezza, nella « durata » individuale: « _È stato Max Jacob o Cocteau a dire che di notte in una piazza deserta di Roma un minuto spesso è lu11go come l'intero medioevo? » (p. 217,). Voler sottrarre volti e persone al tempo è sforzo inutile là dove, gesti e situazioni hanno già un sapore antico, sono già scontati, ed è tanto più dolce perciò gustarne il sapore. Su questa linea di considerazioni si vengono allineando forse le notazioni p•iù felici, dove la curiosità si unisce nello scrittore ad un certo gusto di contemplazione, come nel racconto della gita alla villa di Orazio, o in quello dell'incontro in Campo dei Fiori con un singolare artigiano, discepolo per naturale condizione, di Giordano Bruno, figurina dignitosa e vagamente 105 Bibl_iotecaginobianco
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