Do1nenico. De Masi stando il codice del 1930, forse se11za rendersene neppure conto, partì dal presupposto che la società cui· esso si_ rivol~eva era portatrice di una arretrata civiltà rurale e che la grande maggioranza degli italiani era spontaneamente inclinata a risolvere con mezzi privati e cruenti tutte le faccende collegate alle casiddette « questioni d'onore». La persona che si fosse macchiata di infanticidio, aborto, feticidio o omicidio per causa d'onore, doveva essere giudicata con particolare mitezza perché era stata spinta a tale atto insano non tanto da una natura violenta imputabile ad essa sola, quanto, piuttosto, da un costume sociale comune (*) all'intera nazione e giudicato, in fondo, non del tutto riprovevole: solo in questo modo, secondo il Legislatore fascista, si poteva ottenere una perfetta aderenza delle norme giuridicl1e alla realtà sociologicamente accertata. Un codice penale, specie presso i popoli incivili, ha finalità disciplinari, non pedagogiche; o, per lo meno, la sua funzione educativa è secondaria rispetto a quella repressiva. Esso si limita a prendere atto delle situazioni già maturate nella società e le valuta in termini di pene e di contravvenzioni: se il suo scopo fosse quello di educare le masse a un più progredito· senso del diritto e del torto, le sue norme non sarebbero riservate ai cavalli interpretativi dei giureconsulti, ma sarebbero stese in forma sen1plicissima e destinate alla massima divulgazione. I cittadini troverebbero gli articoli di legge scritti ovunque, così come nei mezzi pubblici si trova scritto « vietato parlare al conducente» o « vietato fumare ». In tema di onore, il diritto romano dell'epoca repubblicana aveva permesso al marito tradito di evirare il correo della moglie adultera; Augusto aveva emanato norme non troppo dissimili dal nostro art. 587; Giustiniano concesse all'omicida per onore solo delle· generiche attenuanti; la legge romano-barbarica dei Burgundi permise al marito di uccidere la moglie e l'amante sorpresi in flagrante adulterio; gli Statuti comunali codificarono i delitti d'onore in modo analogo all'odierno; le Costituzioni Sicule permisero al marito di uccidere « tam adulterum quam uxorem » se li avesse sorpresi « in ipso actu adulterii » (in caso di mancata flagranza egli doveva limitarsi a recidere il naso alla moglie); il Codice delle Due Sicilie considerò la causa honoris come attenuante generica; il Codice Zanardelli del 1889 la considerò come attenuante specifica nel solo caso di flagranza; solo il Diritto Canonico ha sempre considerato la vita umana come cosa sacra e perciò come « bonum » anteposto a qualsiasi attributo d'onore. Il Codice Rocco del 1930 prese atto della mentalità dominante in quegli anni, la giudicò simile a quella dei tempi augustei o burgundi e sancì che in Italia il rispetto per l'onore era più forte del rispetto per la vita umana: la .(*) Sul fatto che tale costume fosse « comune » o anche solo preponderante, i pareri in sede legislativa furono tutt'altro che concordi. Si opposero recisamente alla « causa honoris» sia il Commissario Morello, sia il relatore Gregoracci, sia il Manzini che rappresentava, presso la Commissione Ministeriale, la voce dottrinale più autorevole. Prevalse il parere del Ministro Rocco che, fedele agli orientamenti fascisti, incoraggiò l'arretratezza mentale di una parte già esigua di italiani compiacendosi di interpretarla come senso di « dignità» e « vivi sentimenti dell'onore familiare». 96 Bibliotecaginobianco •
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