Nord e Sud - anno XI - n. 50 - febbraio 1964

Cronaca Libraria tenario del Poeta, al Palazzo reale di Napoli. Quando, dello stesso Autore, esistano anche edizioni alla portata di tutti, ben vengano questi libri raffinati che si ammirano per l'armonia tra spazi, testo e margine, per la perfezione grafica dei nitidi caratteri, per le tinte ricercate (questi due volumi sono invero immacolati), per l'eleganza della legatura e la trasparenza dell'involucro. Essi dimostrano una dedizione artigianale e un amore per il contenuto che preparano e invogliano il lettore a un incontro di eccezione. Chi compra un libro come questo è di solito un devoto dell'Autore; ma prima di lui lo è stato l'editore, il curatore, il compilatore. Ma quale maniera migliore di onorare un poeta del quale già molto sappiamo e che ci canta nel cuore a ogni verso rievocato, se non quello di scoprire quanto di lui ci era rimasto ignoto, di rintracciare le origini delle sue ispirazioni, risalendo alle sorgenti delle sue fantasie, mettendo le mani sulle primizie smarri te tra gli scartafacci, forse sepolte nelle raccolte di vecchi giornali? Ognuno di noi vorrebbe farsi il pellegrino di questi sondaggi e ricerche, ma quale pazienza non comporterebbero, quale dedizione di se stesso! Questa pazienza di certosino l'ha avuta per Di Giacomo il del Franco e ci mette, ora, a disposizione il frutto delle sue laboriose, amorose indagini: non resta che da metterci le mani dentro, come in uno scrigno, e frugare. Quante scoperte! Non tutto, naturalmente, è oro, non sempre l'emozione della scoperta è tutta artistica, spesso la sopravanza una emozione umana. Per di più, il volume degli Scritti è arricchito da preziose illustrazioni: un Di Giacon10 bambino, due sue immagini giovanili e un Di Giacomo cinquantenne, parlante e cordiale, gli occhi da mongolo, il sorriso tristemente 124 Bibliotecaginobianco ironico; il fac simile di una lettera del bambino _al padre, con quella caratteristica sua· grafia tonda e chiara, e parole di devozione e rispetto: le riproduzioni di disegni e figurine con le quali il poeta soleva riempire i margini dei suoi manoscritti, prima di inviarli agli amici; la riproduzione di un autografo digiacomiano su un segnalibro, con l'invito a una gita in campagna a dorso d'asino. Ci sono poi note mondane su salotti letterari, come quello della poetessa Aganoor Pompili, e « Note e Commenti » dei fatti del giorno che ci riportano a un Di Giacomo che si firmava Snob, seguendo le orme della Matilde Serao nella sua « rubrica della frivolezza » in « Api, Mosconi e Vespe»; cronache, insomma, delle cose più varie, ma specialmen te dedite a malinconici avvenimenti quali le distruzioni, le demolizioni di chiese, di monumenti, di strade medioevali e soprattutto di giardini e alberi, alberi secolari pieni di uccelli. La pagina sulla scempio dell'hotel Hassler, è una incantevole elegia, quella sulla Croce di Lucca un lamento nos talgico; quella sul Monastero della Sapienza, con le sue mura formidabili e cieche, che s'accampa « come un vecchio castello tra un quartiere di vassalli religiosi e rispettosi » e che un giorno viene fatto sloggiare di tutte le sue monacelle: sono pagine che anticipano le stupende « Novelle » che il Flora, nel volume che contiene il suo saggio sul Poeta, esaltò per avere il Di Giacomo in esse creato la sua vera prosa napoletana: « una prosa di straordinaria aderenza tra ritmo e immagine, fresca, duttile, evidente, spiritosa, con quel brio e quella sommessa parvenza di umorismo ch'è spesso per i napoletani lo scherno di un pudore e di una malinconia ». Vogliamo forse dire che il Di Giacomo non sentiva i problemi urbanistici e non s'interessava dei problemi del popolo?

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