Giornale a più voci qualche caso, poi, l'industria ha finito per assorbire la parte « disponibile» della classe politica locale, assicurandosene l'appoggio e rr1anovrando le leve dell'amministrazione secondo i propri disegni. È anche troppo evidente come questo fatto riproponga le vecchie situazioni clientelari del Mezzogiorno, non modificando che esternamente la struttura sociale e i rapporti di forza. A loro volta, i piccoli imprenditori locali finiscono per mitizzare la grande industria, immaginando che al suo arrivo potranno collocarsi nella sua scia e risolvere così i problemi della loro sopravvivenza e del loro mercato. Ma ciò accade di rado, perché le grosse industr,,ie nel sud hanno scarsa tendenza ad agganciare le imprese locali nel loro meccanismo d'espansione: si dà, invece, più frequentemente il caso di industrie a produzione chiusa, o di stabilimenti staccati, che funzionano come reparti, che non eseguo,no, cioè, il ciclo completo della lavorazione. Un esempio è quello della Fiat, che sembra in procinto di imp,iantare a Palermo un reparto di montaggio e che da mesi - ci dicono - è oggetto di suppliche e di corteggiamenti perché crei anche una scuola aziendale. Ma se ciò non avverrà, è chiaro che tutto si ridurrà probabilmente all'assunzione di qualche centinaio di operai, e non molto di più. In queste condizioni, c'è da chiedersi quanti dei piccoli imprenditori attuali potranno resistere al tempo: e non pochi fra questi cominciano a pensare, con rabbia e amarezza, di tentare anch'essi la via del nord. Per queste ragioni, a nesst1no possono sfuggire i pericoli di un'industrializzazione lasciata nelle ma11i dei privati, dalla quale sia nuovamente esclusa la partecipazione di chi deve limitarsi a subirla o ad accettarla. Ancora una volta si rischia di compromettere tutti gli sforzi finanziari che si sono compiuti e si compiranno in questa direzione. I timori dei giovani o le perplessità di molti funzionari locali spesso non tradiscono altro che un senso di frustrazione nei confronti di questi nuovi padroni: ed è una lezione antica per il sud, che biso.gnerebbe ormai conoscere a memoria, senza scandalizzarsene ogni volta. Se una « rivoluzione » deve prodursi nel Meridione, non potrà che passare attraverso una nuova classe di intellettuali, di tecnici, di operai e di contadini che non siano né succubi né impreparati e che fin da ora sap·piano co,nfigurare in termini precisi la l(?ro posizione nella società futura: una posizione di responsabilità diretta e di guida nello sviluppo secondo delle scelte culturali che non debbono necessariamente essere quelle compiute altrove. In questo senso dovrà muoversi lo Stato - e per esso i futuri governi - uscendo dalle vecchie impostazioni paternalistiche e di sfiducia verso le popolazioni meridion~i: e non basterà certo creare nuove leggi e nuovi incentivi se non si tenderà a trasformare le istituzioni logore e bacate in altre più vitali e moderne, ad allargare le trame della vita pubblica, a sostenere le autonomie e le iniziative locali con O•gni mezzp. Il Meridione può forse ancora attendere, ma non più i meridionali. LUIGI FRUTTERO 33 Bibliotecaginobianco
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