Nord e Sud - anno XI - n. 49 - gennaio 1964

Recensioni sono essere considerati semplicisticamente e identificati in un unico costante e generale comportamento. Essi, o i migliori di essi, puntano sullo stato assoluto per ottenere le riforme; rinnovano la tradizione napoletana alla luce della cultura europea; sanno dare al cartesianesin1.o, al gassendismo, allo spinozismo, un colore particolare, una vibrazione originale, che si moltiplicherà nell'opera di Gravina, Vico e Giannone, ma che è presente, come ha mostrato la recente ricerca del Baldoni, sia nei maestri: in Domenico· Aulisio, Lucantonio Porzio, Giuseppe Valletta; sia nei compagni di Giannone e Vico: in uomini come Alessandro Riccardi, Biagio Garofalo, Nicola Cirillo, che collaborarono co.n Gianrtone non solo sul piano meramente giurisdizionalistico e politico, ma ancl1e e soprattutto sul piano culturale, arricchendo un'attività che non rimane mai soltanto polemica, con il rapporto europeo in direzione delle grandi riviste di Lipsia, di Ginevra, delle Accademie e delle Società scientifiche di Londra e Parigi. In realtà la generazione precedente sugli Acta eruditorum aveva imparato a misurarsi con la cultura protestante; aveva letto, riassunte e criticate, le opere di Spinoza; si era riavvicinata, sia pur passivamente, alla cultura europea. La generazione giannoniana~ che è anche quella muratoriana, non si limita a una partecipazione passiva, ma interviene e si inserisce in questo dibattito che prepara l'Illuminismo. Giannone a Vienna e i suoi amici di Napoli, quasi tutti giuristi, sono i protagonisti di quest'esperienza. Per questo il recente lavoro di Colapietra che raccoglie alcune intuizioni di Gabriele Pepe e le irrigidisce, rischia di non comprendere proprio gli aspetti più fini di questa « classe politica», il riferimento a una cultura europea, la profonda sensibilità religiosa, che vibra interna all'impegno anticurialistico di un Riccardi, Condegna, Grimaldi. Si ha poi l'impressione che lo stesso Giannone visto dal Colapietra sia povero di qualsiasi significato che non sia quello meramente giurisdizionalistico. Il libro di Ajello (Il problema della riforma giitdiziaria e legislativa nel regno di Napoli durante la prirna metà del secolo XVIII - La Vita giudiziaria, Napoli, Jovene, 1961, pp. 302) l1a due meriti quindi: quello di ristabilire un equilibrio, polemizzando pacatamente, ma con sicurezza con il Colapietra; e di esaminare-- il mondo giuridico non tanto dal punto di vista della élite politica, personalizzando la storia nelle più affascinanti figure, quanto cogliendo i problemi che emergono e che le riforme, per tutto l'arco che l'autore ha studiato variamente applicate, avrebbero dovuto risolvere. Non che sia trascurato il dibattito sul valore o meno dell'élite giuridica, ma ad esso è dato una risposta più sfumata, come a un problema che può essere risolto interame11te solo dopo che si siano veramente ap·profonditi gli studi « sulla storia della magistratura, dei giuristi e del diritto nell'Italia meridionale ... ». I due 11odi fondamentali che le riforme invocate dovrebbero sciogliere sono la giurisdizione ecclesiastica e quella feudale. Nell'esaminare la prima l'autore si sofferma a modo esemplificatorio soprattutto sull'immunità locale, documentandone l'enorme capacità d'impaccio per l'amministrazione. La forza di opposizione dello stato· a questo anacro101 Bit?liotecaginobianco

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