Antonio Vitiello sia ispirata a valori autoritari; ma questo non ci permette di inferire, come si dovrebbe dai dati presentati dall'Autore qel1a citata inchiesta, che i direttori generali sono autoritari. Può darsi che, : per sconosciuti meccanismi selettivi, siano giunti ai più alti gradi della burocrazia delle « personalità» del tipo statisticamente meno frequente, cosa che può accadere anche per i burocrati provenienti dal Nord, ammesso che al Nord sia diffusa una personalità di base ispirata a valori diversi da quelli autoritari. Veniamo ad un altro punto. Sapere che il direttore generale « tip,ico » proviene dall'Italia meridionale o insulare, ha una età superiore ai 55 anni, e proviene da un comune di piccole dimensioni, la cui popolazione è inferiore senz'altro ai 50.000 abitanti, ci permette di prevedere, di immaginare, di anticipare il suo comportamento? Crediamo di no, anche volendo riconoscere, per un attimo, la bontà degli indici scelti dall'Autore e condividere con lui l'affermazione che segue: « le influenze culturali cui il direttore generale tipico è stato sottoposto posso·no pertanto identificarsi con quelle caratteristiche della provincia meridionale, durante il periodo compreso pressappoco tra l'inizio della prima guerra mondiale da un lato ed il consolidamento del regime fascista e la fine dell'apparente prosperità degli anni venti dall'altro». Tutto questo, a nostro parere costituisce. un modello utile a pr~vedere il comportamento dei direttori generali quanto l'aggettivo flem4 matico per prevedere e comprendere il comportamento del nostro inglese. Questi modelli, queste immagini anticipate del comportamento sono tanto più utili quanto più sono dettagliati, quanto più sono vicini alla realtà. La differenza tra gli stereotipi, i pre-giudizi correnti e gli studi sui modelli culturali e la personalità di base, sta• appunto nel fatto che i primi sono ultrasemplificati e non scientifici ed i secondi sono anche essi naturalmente· selettivi, ma costruiti sulla base di osservazioni accurate che controllano e verificano le intuizioni personali e le idee ricevute. Nella misura in cui il nostro Autore apre spiragli meta-statistici, nella misura in cui, cioè, gli indici non sono indicatori che di se stessi, dei correnti stereotipi e pregiudizi assumono un alto ed immeritato rango conoscitivo. Potremmo addirittura fare la « sociologia della conoscenza » dell'Autore e dire che egli ha impostato in un certo· modo il suo studio, non ha visto le difficoltà metodol~giche in cui si imbatteva per una particolare chiusura mentale che gli viene dall'essere prevenuto sui direttori generali, sui meridionali, sui provinciali e sugli ultracinquqntenni. Ma la nostra è un'ipotesi e non ci basterebbe, per suffragarla, il sapere che l'Autore è cittadino, settentrionale e trentenne. Un ultimo appunto da fare è questo: manca una stipulazione preliminare col lettore sul significato da dare agli aggettivi usati: provinciali, meridio1:1ali,ultracinquante11ni, cosicché tutta la ricerca si limita a collegare degli stereotipi con un determinato gruppo, i direttori generali. Sarebbe stato utile limitare esplicitamente l'area di significato dei termini, altrimenti uno sprovveduto lettore (ma qui si va per paradosso, ché certo tali non ne ha una rivista come « Tempi Moderni ») potrebbe pensare: i direttori generali sono 72 Bibliotecaginobianco
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