RECENSIONI I cento anni della lingua italiana « Soltanto il ricorso a co·mputi statistici, del resto elementari, soltanto il ricorso alle « astrazioni » numeriche, apre la via a intendere i fenomeni linguistici nella loro reale e concreta storicità>) (p. 170): con questo metodo, proprio delle scienze non umanistiche, Tullio De Mauro ha condotto la sua Storia linguistica dell'Italia unita (Laterza, Bari, 1963) dal 1860 ai nostri giorni. I risultati? Poco 1neno che sorprendenti, e non tanto nel senso che operino un capovolgimento dei concetti di più so]ido prestigio, inerenti alle vicende linguistiche italiane dall'Unità in poi - sebbene, più di una volta, qualcosa del genere capiti -, quanto, soprattutto per il fatto che traducendo le idee in numeri, anche quelle più pacifiche riacquistano una vivacità e una nitidezza insospettabili. Ad esempio, è piuttosto noto che, dato l'elevato analfabetismo, e la diffusione dei dialetti, l'italiano, negli anni intorno al 1860, fosse una lingua dallo· scarso numero di parlanti. E in generale, ci si ferma a questa constatazione: erano pochi. De Mauro si è chiesto, invece, quanti erano questi « pochi ». E dopo una serie di ineccepibili computi è giunto a una siffatta co•nclusione: « negli an11i dell'unificazione nazionale gli italiani, lungi dal rappresentare la totalità dei cittadini italiani, erano poco più di seicentomila su una popolazione che aveva superato i 25 milioni di individui: a mala pena, dunque, il 2,59t6 della popolazione, cioè una percentuale di poco superiore a quella di coloro che allora e poi nelle - statistiche ufficiali venivano designati come « alloglotti » (p. 41). La Storia che il De Mauro traccia è volta appunto a delineare; comparativamente, le. vicende numeriche e qualitative di questo 2,5% e dei dialettofo,ni. E poiché esse sono fortemente condizionate dai grandi problemi della società italiana - l'industrializzazio,ne, la lotta contro l'analfabetismo, l'emigrazio,ne ... - la Storia linguistica dell'Italia unita è, in realtà, la loro storia, o meglio l'individuazione delle conseguenze che hanno prodotto sulla diffusione del1' « idio,ma gentile ». 1860: « In Piemonte si predicava in dialetto, il dialetto era d'uso nei salotti della borghesia e dell'aristocrazia milanese; a Venezia il dialetto si affacciava e dominava perfino sulle orazioni politiche e giudiziarie, anche a Napoli il dialetto era d'uso normale nella corte (meno invece, nella borghesia); il primo re d'Italia, Vittorio Emanuele, usava abitualmente il dialetto anche nelle riunioni con i suoi ministri ... » (p. 32). Mentre qualche anno prima, i fratelli Visconti Venosta, durante un viaggio fatto nelle Due Sicilie, « quando parlavano italiano venivano scambiati per inglesi» (p. 42). Da questa situazione prende l'abbrivo la narrazione del De Mauro; condotta, si diceva, spesso con numeri e tabelle, ma non per questo meno accatti~ 107 Bi~liotecaginobianco
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