Rivista mensile diretta da Francesco C9mpagna Sergio Ristuccia, I problemi europei e La politica_ economicainternazio11ale - Loretta Valtz Mannuc- ·ci, Ricerca scientifica e politica di piano _,. ·Alfredo Testi, Industrie medie per lo sviluppo del Mez- . zogiorno - Paolo Vittorelli, Il PSI e la politica ~ estera - Mario Dilio, L'artigianato nel quadro dell' industrializzazio1ie. . . di Vanda Altarelli, Marisa Càssola, e scritti Francesco Coscia, F. A. Grandi; Gastone Orefice, Mario Pacelli, Antonio Palermo, ) Antonio Vitiello ANNO X - NUOVA SERIE - DICEMBRE 1963 - -N. 48 (109) I• l ED I z I o N I se I ENTI F I e H E I T A·LI AN E - N ~po LI .. . ' Bibliotecaginobianco I J, .,
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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO X - DICEMBRE 1963 - N. 48 (109) DIREZIONE E REDAZIONE: Napo I i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.309 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTiflCHE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo I i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli Bibliotecaginobianco
SOMMARIO Sergio Ristuccia Loretta V. Mannucci Alfredo Testi F. A. Grandi Gastone Orefice Mario Pacelli Editoriale [3] I problemi europei e la politica economica internazionale [ 6] Ricerca scientifica e politica di piano [30] Industrie medie per lo sviluppo del Mezzogiorno [ 40] Note della Redazione « Popolarizzare » il centro-sinistra - Incompatibilità stravaganti - Cronache noiose [ 49] Giornale a più voci Cosa fare per l'Europa? [56] Il problema della manodopera in Francia [62] Problemi dell'ordinamento comunale [66] Antonio Vitiello Sociologia della pubblica amministrazione [70] _ Discussioni Paolo Vittorelli Il PSI e la politica estera [74] Congressi e Convegni Mario Dilio L'artigianato nel quadro dell'industrializzazione [92] Antonio Palermo Marisa Càssola Ester Piancastelli Vanda Altarelli Recensioni I cento anni della lingua italiana [107] Lirismo e realismo di Fenoglio [111] L'Italia modellata [115] Milano e il suo retroterra [ 119] Lettere al Direttore Francesco Coscia Il «rilancio» della Cassa [125] Bibliotecaginobianco
Editoriale Coloro che in conseguenza del rilancio dell'apertura a sinistra abbandoneranno il PSI, ritenendo di non poter più convivere insieme alla maggioranza auto·nomista, rappresentano quella frazione della sinistra. che certamente è sempre disponibile per· un.a battaglia di opposizione contro le destre, ma non è ancora in grado di recare un suo responsabile e positivo contributo alla formulazione ed elaborazione di una alternativa alle destre, alla creazione della sola alternativa di sinistra che sia oggi realizzabile in Italia. Per il primitivismo ideologico e l'infantilismo politico di cui hanno dato ripetute prove, gli oppositori socialisti all'apertura a sinistra sono gli ultimi eredi dei protagonisti di quel « dramma delle occasioni mancate» di cui ha parlato Nenni al Congresso dell'EUR. Al momento in cui scriviamo non sappiamo ancora se la minaccia di scissione sarà seguita da una effettiva scissione; né sappiamo se, a dare un seguito alla minaccia formulata all'indomani dell'accordo fra i quattro partiti del centro-sinistra, saranno molti o pochi, tutta la. sinistra del PSI o, come sembra più probabile, soltanto una parte di essa, gli « irrecuperabili». Noi ci auguriamo naturalmente che siano pochi, pochissimi, a mettersi fitori del partito; in modo che non si possa nemmeno parlare di scissione, ma solo di sfrangiamento: di uno sfrangiamento che dopotutto potrebbe essere anche auspicabile nella misura in cui serva ad eliminare tossine ed elementi di disturbo che non sono altrimenti eliminabili e che minano la vita stessa dell'organismo del PSI in questa difficile e importante fase di evoluzione, consolidamento, espansione della democrazia italiana. Ma ci auguriamo anche che gli autonomisti, i quali nutrono itn forte e ammirevole sentimento di « patriottismo di partito », non siano disposti a pagare un prezzo troppo alto per trattenere nel partito coloro che oggi minacciano di uscirne: un prezzo tanto alto da rendere debole, o precaria, o condizionata la partecipazione attiva del PSI alla coalizione di centro-sinistra. Di assai minore rilievo politico sono le minacce formulate da Gonella e da Bettiol, nei confronti della DC, e da Pacciardi, nei confronti del PRI, di non attenersi alla disciplina di partito in Parlamento: ~i tratta di uomini che sono oramai soli con se stessi; e, se essi si met- • 3 Bibliotecaginobianco
Editoriale teranno fitori dai rispettivi partiti, non ne deriverà altra conseguenza se non quella, positiva, di un chiarimento di situazioni equivoche. Di grande rilievo politico ci sembra invece ciò che è avvenuto nel corso dei negoziati sul rilancio dell'apertura a sinistra per quanto riguarda la Federconsorzi. La battaglia ingaggiata dalla pubblicistica democratica per mettere sotto accusa la gestione bonomiana della Federconsorzi (una battaglia il cui più significativo e illuminante documento resta il rapporto di Manlio Rossi Doria alla Commissione parlamentare d'inchiesta sui monopoli) sembrava ad alcuni una battaglia che non poteva essere vinta da chi l'aveva ingaggiata, sia perché i democristiani erano condizionati dalla forza elettorale e parlamentare di Bonomi, sia perché i comunisti avevano cercato di « strumentalizzarne » i temi ai fini di una campagna agitatoria di carattere scandalistico. Ma, in conseguenza di quella battaglia, la situazione si è mossa all'interno della Federconsorzi. C'è stata una insurrezione dei consorzi provinciali, i quali oggi chiedono: il riesame delle convenzioni stipulate dalla Confederazione con le ditte fornitrici per decidere fino a che punto tali convenzioni siano veramente utili e convenienti, e soprattutto se esse devono essere confermate, modificate o addirittura annullate; la revisione della situazione per cui vi sono centinaia di società « collegate » che risultano, a giudizio di molti, poco ittili e poco efficienti, onde si deve decidere se eliminarle o quanto meno rif armarle, con particolare riguardo alla conduzione tecnica ed amministrativa; la presentazione dei « conti » relativi alla gestione degli ammassi, « per stabilire ciò che ha indebitamente incassato la Federconsorzi e di quanto sono stati derubati i Consorzi agrari» (vedi «L'Espresso» del 1° Dicembre, pag. 11 ). E quando lo stesso presidente della Federconsorzi afferma che l'organismo da lui presiedu.to è « malato » e non ha bisogno di « ricostituenti » ma di « vere e proprie operazioni chirurgiche », allora possiamo dire non di aver vinto una battaglia (che continua) ma che ci sono tutte le premes~e per vincerla, questa battaglia; e le premesse per vincerla ci sono perché in democrazia le battaglie si combattono, e si possono vincere, studiando e discutendo e scrivendo e parlando, anche se i qualunquisti credono che tutto questo sia inutile ed equivalga a « fare chiacchiere », senza che nulla possa cambiare. Le cose cambiano, invece, e anche un nodo di potere come quello rappresentato da Bonomi può essere sciolto o reciso adoperando, saggiamente e risolutamente, le armi di cui dispone una democrazia efficiente e sempre più radicata nel costume politico del paese. Ora spetta al governo di centro-sinistra il compito di risolvere questo problema che la pubblicistica democratica ha coraggiosamente inz4 Bibliotecaginobianco
Editoriale postato, riuscendo poi tenacemente a far maturare le condizioni politiche per una soluzione ragionevole. E lo stesso discorso potrebbe farsi per la speculazione sulle aree fabbricabili e la 11-ecessità di approvare la legge urbanistica. Riforma della Federconsorzi e legge urbanistica: la campagna e la città: questi ci sembrano i due punti che veramente caratterizzano e qualificano il programma di rilancio dell'apertura a sinistra, le due « cose concrete » che devono essere fatte presto e bene, e che, anche da sole, potrebbero dare un'impronta, un significato di grande evento democratico, alla formazione del governo Moro e alla IV Legislatura della Repubblica. Siamo dunque all'accordo di legislatura che Nenni aveva a suo tempo auspicato? Non possiamo che augurarcelo. Ma perché l'accordo siglato dai quattro partiti della maggioranza - all'indomani di eventi che ci hanno costretto a confrontare le nostre « piccole cose » alla misura dei grandi problen1i del nostro tempo - possa tradursi in un fatto politico operante in estensione e in profondità, è necessario che lo spirito di coalizione prevalga sullo spirito di partito. Guai se si ricadesse, da parte socialista e da parte democristiana, o anche da partè socialdemocratica e repubblicana, nell'errore che fu commesso da socialisti e democristiani nel gennaio del 1963 e che fu pagato in aprile con i risultati delle elezioni e in giugno con la notte di San Gregorio: nell'errore continuato, cioè, che Luigi Salvatorelli aveva denunziato fin dal febbraio quando aveva scritto che i partiti della maggioranza dimostravano di avere una « scarsa comprensione delle buone norme di un governo di coalizione». In questo senso le notizie e indiscrezioni che ~orrono circa le manovre in corso per la successione di Nenni alla segreteria del PSI e per la si-tccessione di Moro alla segreteria della DC ci sembrano piuttosto preoccupanti; così come ci sembrano francamente da deplorare, in quanto non persuasive, le ragioni addotte da Lombardi e Fanfani per giustificare il rifiuto di entrare nel Governo da essi opposto all'invito di Moro e alle sollecitazioni dei loro amici di partito, e di corrente, quando è evidente che una loro presenza in certi Ministeri avrebbe rafforzato il governo, e di conseguenza i rispettivi partiti, mentre la loro ~< defezione » potrebbe essere motivo di debolezza per il governo senza per questo riuscire di giovamento ai partiti. Esemplare, invece, per coerenza politica, e come dimostrazione di una - piena « comprensione delle buone norme di un governo di coalizione », l'atteggiamento dei repubblicani per tutta. la durata dei laboriosi negoziati che hanno preceduto la composizione del gabinetto. 5 Bibliotecaginobianco
I problemi europei e la politica economica i:nternazionale di Sergio Ristuccia I Da circa un anno la politica economica i11ternazionale è entrata in uno dei più densi periodi di discussione e di negoziato. Ai primi di ottobre del 1962 il Congresso Americano ha approvato il Trade Expansion Act. Con la nuova legislazione commerciale il Presidente degli Stati Uniti è stato autorizzato ad intrapre11dere dei negoziati tariffari internazionali per l'abbassamento dei dazi doganali fino ad un lin1ite del 50%, ed eventualmente per la loro completa abolizione nel caso di prodotti la cui esportazione mondiale provenga per 1'80% · dagli Stati ·uniti e dai Paesi della CEE. Tale riduzione a zero è prevista anche per i dazi sui prodotti tropicali, sempreché la CEE faccia altrettanto. Queste disposizioni hanno un rilevante contenuto innovatore: il protezionismo tradizionale di un'econoIJ?.ia pressoché autosufficiente, com'è l'americana, per la prima volta non funge più da principio ispiratore della politica di commercio con l'estero degli Stati Uniti. In realtà, la politica commerciale americana era ormai matura per un profondo ridimensionamento. Dalla fine degli anni 50 in poi gli Stati Uniti hanno registrato un mutamento della situazio11e della bilancia dei pagamenti che da attiva è finita per essere pericolosamente passiva. Un fenomeno, questo, che, denotando pro-blemi strutturali di ampia portata - problemì, ben s'intende, di un'economia matura - non poteva non essere confrontato con un processo inverso, piuttosto vistoso, quello dell'espansione economica europea. Così, la progressiva creazione di un ampio mercato continentale in Europa, con alta potenzialità di crescita cumulativa, ha posto la questione dei rapporti euroamericani in termini globali. Ragioni di struttura interna (alti salari, investimenti non diretti alla diminuzione dei costi, ecc.) hanno determinato la diminuzione della com.petitività internazionale dell'economia U.S.A., ma è pur vero che a pesare permanentemente sulla bilancia dei pagamenti americana sono gli aiuti e gli investimenti privati all'estero. I qu~li ultimi sono stati sollecitati in buona parte anche dall'alta 6 Bibliotecaginobianco
I problemi europei e la politica economica internazionale redditività della partecipazione diretta all'espansione dei mercati europei. Politica economica e politica estera sono venute dunque direttamente a confronto. Il ridimensionamento della tradizionale politica protezionista non poteva avvenire, peraltro, che per opera di una posizione di principio altrettanto tradizionale, almeno nel campo del pensiero economico e nel mondo anglosassone: il principio del libero scambio. Ma questo, a sua volta, ben si è incontrato con lo spirito della « nuova frontiera » dell'amministrazione Kennedy; ne è conseguito che il governo americano ha proposto di saggiare proprio sul terreno commerciale il « grande disegno » kennediano della comunità atlantica, o per meglio dire del partnership euro-americano. Con ciò non solo giovando alla economia americana, diranno i governanti americani, ma offrendo a tutti i paesi i grandi benefici di un grande mercato internazionale unificato. Tuttavia, se si va a considerare quale sia la portata reale del rovesciamento della linea protezionista americana, qualche cautela è certamente legittima. Gran parte del Trade Expansion Act è, infatti, dedicata alle misure di salvaguardia per i settori economici che fossero eventualmente danneggiati dalla riduzione della tariffa doganale, misure che possono andare dall'intervento statale per il risanamento delle industrie danneggiate dall'incremento delle importazioni (assistenza tecnica, finanziaria e fiscale) e dal pagamento di ·particolari sussidi ai lavoratori disoccupati alla revisione in aumento dei dazi stipulati in base al T.E.A. Ciò senza contare la prevista lista negativa o di riserva (preliminare al negoziato) comprendente i prodotti sui quali gli Stati Uniti non intendono negoziare, e l'esclusione a priori dal negoziato dei prodotti la cui importazione possa pregiudicare la « sicurezza nazionale », sotto forma, principalmente di indebolimento degli incentivi alla ricerca tecnologica ed allo sviluppo della capacità produttiva. È quasi superfluo notare quale peso mantengano qui le preoccupazioni protezioniste e quale pressione abbiano quindi esercitato gli interessi costituiti, ottenendo in sostanza la possibilità di rimettere in questione gran parte degli eventuali risultati di un negoziato. A criteri tutt'affatto politici si ispira infine la concessione al Presidente del potere di negare il trattamento tariffario generale alle merci importante dai paesi ad influenza comunista. S'intende poi come nella strategia del « grande disegno» americano la· prima tappa dovesse consistere nell'~ntrata dell'Inghilterra . nella Comunità Economica Europea. Ciò, tra l'altro, avrebbe reso operante per un buon numero di prodotti la clausola del T.E.A. che consente la riduzione a zero dei dazi quando la loro esportazione dagli U .S.A. 7 Bibliotecaginobianco
/ Sergio Ristuccia e dalla CEE rappresenti 1'80% degli scambi mondiali. Senza tener conto del commercio con l'estero della Gran Bretagna solo per pochissimi prodotti sarebbe stata raggiunta tale condizione. La posizione inglese di fronte al mercato comune europeo è certo da considerare fondata su valutazioni politiche, ma è pur vero che l'europeismo· del Governo· britannico è sempre stato sostanzialmente moderato e frequentemente sopraffatto da considerazioni di mera. convenienza economica (fin dove queste sono possibili, sostenendosi da molti autori, certo non smentiti dalla recente ripresa inglese al di fuori dell'integrazione nel MEC, che i principali argomenti pro-adesione fossero solo quelli, di tipo eminentemente psicologico, riassumibili nella formula dell' « effetto d'urto » del processo integrativo). Ne segue che non poteva mancare l'appoggio inglese al diseg110 americano, non solo per ragioni politiche, ma anche perché sul piano strettamente economico la situazione della Gran Bretagna presenta qualche analogia (sulla quale peraltro sarebbe semplicistico insistere troppo) con quella americana. Il che è rilevabile soprattutto nelle continue tensioni cui è sottoposta la bilancia dei pagamenti inglese e nei problemi di difesa della sterlina, che è la seconda moneta forte del sistema monetario mo-ndiale dopo il dollaro. Di qui, ancora, la comune aspirazione verso un forte incremento della esportazione nell'area continentale europea . .Se dunque le ragioni del generale De Gaulle per rompere drammaticamente le trattative fra la CEE ·e la Gran Bretagna sono eminentemente politiche, e quindi nient'affatto convincenti le motivazioni meramente economiche della rottura (certi interessi in conflitto avrebbero potuto trovare - a parere di tutte le altre delegazioni - soddisfacenti regolamentazioni tecniche) è pur vero che solo con l'approvazione del T.E.A. l'adesione della Gran Bretagna alla CEE è venuta ad assumere un significato diverso inquadrandosi nel più vasto quadro del disegno commerciale americano. La discussione diplomatica all'interno della CEE forse non è sta~a franca su questo punto. Dall'altro lato, la Francia opponendosi all'adesione della Gran Bretagna come introduzione alla Comunità atlantica per le note ragioni politiche non poteva non con-- durre il discorso in termini di nazionalismo europeo. Nazionalismo europeo che sul piano economico significa neo-mercantilismo. - La conclusione è che l'esame da parte europea delle convenienze e delle condizioni per un nuovo ampliamento dei mercati a livello mondiale è rimasto poco approfondito e immerso negli equivoci. La proposta americana - ci si è chiesto - è dunque da considerare inaccettabile o quanto· meno immatura? Gli ameij.cani, proponendo il campo doganale come banco di prova di una grande proposta politica 8 Bibliotecaginobianco
I problemi europei e la politica economica internazionale come il partnership euro-americano, hanno ritenuto· di dover seguire ancora una volta la strada secondo cui dai primi successi ottenuti in campo economico è facile passare a più ampi e cogenti accordi politici. In verità, si tratta di una strada che la esperienza dimostra non meno difficile di altre e tale, anzi, da poter creare ostacoli talora maggiori di quanti se ne troverebbero aggredendo direttamente la problematica politica. Nel caso specifico, i problemi economici, se proposti al di fuori di ogni enfatica aspettativa politica, non avrebbero perso per questo la loro cruda urgenza, né il loro obiettivo peso politico, ma non sarebbero stati caricati di valenze politiche esorbitanti. D'altra parte, non è parsa valida, a questo riguardo, nemmeno la prudenza di quegli europeisti che hanno insistito sulla necessità, per l'Europa, di non bruciare le tappe, di non mettere subito in discussione la tariffa esterna comune, che è da considerare un fattore obiettivo di integrazione. Non sempre, infatti, i problemi possono essere affrontati uno alla volta; talora è necessario invece affrontarli tutti insieme, o comunque in parallelo. Le proposte americane hanno posto all'attenzione dell'Europa almeno due problemi di portata mondiale: da una parte, le difficoltà della bilancia dei pagamenti USA, e conseguentemente le difficoltà dell'equilibrio del sistema monetario internazionale; dall'altra, le esigenze di una ulteriore liberalizzazione del commercio mondiale, finalizzata allo- sviluppo dei paesi arretrati. Si tratta di problemi non di domani, ma già di oggi, a pieno diritto. E certo, studiarne l'~deguata soluzione significa, da parte europea, stt1diare anche come ciò possa conciliarsi con le esigenze del processo di integrazione economica dell'Europa. L'avvio ad un approfondimento della questione è stato dato, per la verità, dalla çommissione della CEE con il « programma d'azione » per la « seconda tappa», pubblicato alla fine dell'ottobre 1962. Il documento- affronta con ampie visuali (le ampie visuali che possono essere concesse alla Commissione senza cl1e esorbiti dalle sue funzioni) i problemi dello sviluppo della Comunità Europea e pone chiaramente il tema della programmazione economica a livello· inter-statuale. È proprio questo, in realtà, l'argomento che dev'essere dedotto in discussione nell'affrontare il pro,blema della smobilitazione doganale. Né è paradossale che un'attuazio·ne libero-scambista comporti maggiore impegno sul piano del coordinamento delle politiche economiche a livello comunitario. Infatti, l'eventuale realizzazione_ di un ampio disegno. liberoscambista, sotto l'ingente pressione del progressivo incremento· del con1mercio internazio-nale, può portare al sostanziale e radicale svuotamento della politica doganale quale strumento di governo dell'economia. 9 Bibliotecaginobianco
Sergio Ristuccia Del resto, la crescita dimensionale dei mercati, di cui l'abbattimento delle barriere doganali rappresenta solo un aspetto, impone anche nuo.ve forme del coordinamento a breve, medio e lungo termìne delle politiche economiche per aree geografiche e per settori merceologici. Ciò vale a maggior ragione quando, come è il caso della CEE, l'esigenza del coordinamento già deriva autonomamente, in una q.ualche misura, dal . carattere istituzionalistico della integrazione economica che si propone quanto meno tendenzialmente dei fini politici. Si è obiettato che legando strettamente il problema dell'abbassamento delle barriere doganali a quello della programmazione si favorisce un rimando a lontane scadenze dell'inizio delle trattative tariffarie. Ciò è abbastanza vero se si tiene conto delle grandi resistenze che incontra la programmazione, sia pure meramente previsionale, da parte, per esempio, del governo tedesco. E tuttavia si dovrà riconoscere che è altrettanto seria la difficoltà di adottare ragionati atteggiamenti di fronte alle prospettive di una smobilitazione doganale di ampia portata quando non si disponga di un comune ed organico piano di riferimenti quale potrebbe essere offerto da una programmazione economica. Al di fuori delle ragioni politiche dei Sei presi singolarmente, nonché, se così possiamo dire, della « ragion di stato » di una comunità in fieri qual'è la CEE, non sembra che attualmente si disponga di criteri orien.tativi che non siano quelli tradizionali, cioè a dire la difesa di dati settori economici assunti, anche e soprattutto dietro le pressioni degli interessi costituiti, come fondamentali e dunque in ogni caso da difendere. E ciò senza che si sia giunti a definire concordemente quale debba essere, almeno in via di massima, il ruolo ottimale di ciascuno nel processo economico per un certo periodo di anni e quindi come debbano essere giudicate, da un punto di vista conforme all'interesse generale, le previste influenze che lo abbassamento o l'eliminazione dei dazi potrebbero avere nell'uno e nell'altro settore economico. In ogni caso, si rimarrà poi ancorati a valutazioni fondate sulle risultanze delle bilance commerciali e dei pagamenti, valutazioni che, da sole, sono precarie, perché molto dipendenti dalla congiuntura e comunque perché inidonee a cogliere l'esatta portata dei processi reali in corso. Se ne deve concludere che trattative doganali di ampia portata quali sono quelle proposte dagli Stati Uniti, sia pure iniziate con un atto di « buona volontà », potrebbero risultare ugualmente lunghe e laboriose anche senza alcun legame con la programmazione. Infatti, esse tenderebbero ad essere completamente riassorbite nella logica antica della trattativa atomistica, prodotto per prodotto, sia pure sotto forma di discussione sulle « eccezioni » alle 10 Bibliotecaginobianco
I problemi europei e la politica economica internazionale procedure automatiche di riduzione doganale eventualmente accettate all'inizio. II Nel « programma d'azione » redatto dalla Commissione della CEE, il capitolo relativo alla politica economica ge11erale consta di due parti, una dedicata alla « politica di sviluppo » e l'altra alla « politica delle strutture ». Una ulteriore distinzione viene fatta nella politica di sviluppo a seconda che essa abbia obiettivi a breve o a lungo termine: la prima costituendo la politica « congiunturale », la seconda, invece, là « politica di programmazione ». La politica delle strutture è vista dalla Commissione come cosa lontana che per ora deve essere limitata negli ambiti dell'agricoltura e della politica regionale; per il resto proponendo « studi per settore ». Il programma ha quindi il fine fondamentale di mantenere l'espansione dell'economia europea attraverso « la più completa utilizzazione delle risorse produttive della Comunità, senza tensioni inflazionistiche ». È stato obiettato che difficilmente lo sviluppo dell'economia europea potrà essere realmente assicurato senza mai affrontare direttamente, « nel programma », il problema dell'orientamento o riorientamento delle strutture. In buona sostanza, la Commissione propone un programma che serva prevalentemente a rendere noti, reciprocamente, i provvedimenti presi dai governi dei paesi membri e .dalla Comunità, al fine di costituire un quadro di riferimento entro cui sia poi possibile, con una sorta di processo circolare, iscrivere a loro volta gli sviluppi ulteriori della azione comunitaria e dei governi. Insomma, la Con1missione propone un'a1npia razionalizzazione degli strumenti di conoscenza di cui dispongono le autorità politiche europee, attraverso la costituzione di un centro comune di studio e di prospezione. In altri termini, si fa molto affidamento sull'importanza che il « conoscere » ha per il « deliberare »: messe a comune le fonti di conoscenza - questa è la sostanza del discorso - le probabilità che le deliberazioni siano uniformi sono abbastanza alte. Si noterà che così, tuttavia, la problematica delle scelte del programma scompare del tutto: esse, in tale quadro, rimangono quelle, assunte come dati, delle singole politiche nazionali. Malgrado i limiti, peraltro inevitabili, della proposta della Commissione, l'opposizione da parte tedesca ha avuto modo di manifestarsi subito con un discorso di Erhard nel «colloqt1io» fra il Parlamento europeo e il Consiglio dei Ministri della CEE, tenutosi nel novembre del 1962. L'allora Vice Cancelliere ha mostrato u11 atteggiamento decisamente 11 Bibliotecaginobianco
Sergio Ristuccia contrario ad ogni sia pur moderato proposito di programmazio·ne eco• nomica. In ciò egli si è rifatto a posizioni cl1iaramente. meta-economiche, insistendo a più riprese sull'impossibilità di prevedere in termini « quantitativi » i comportamenti 11mani. Co11la conclusione che solo le decisioni prese in un sistema di competizione libera, senza neppure il labile vincolo costituito dai centri previsionali pubblici, possano corrispondere a tale· sostanziale « imprevedibilità » della vita economica. Come poi faccia ad ispirarsi a tale visione dei fatti economici un'economia, come quella tedesca, con così alto grado di concentrazione industriale, con un sistema creditizio molto omogeneo ed accentrato, con ampi ed efficaci strumenti di governo predisposti ai fini della dislocazione territoriale dell'attività industriale (tanto per citare alcuni aspetti che ne attestano la « spontaneità » ed il pluralismo decisionale!), è una questione che Erhard sembra ignorare, ma che non per tanto è meno fondata. In realtà, andando a grattare, sotto le metafisicherie erhardiane, c'è il disegno di un'egemonia industriale tedesca inco-ntrastata che si teme possa venir messa in causa da una programmazione paritetica di scala continentale. La Commissio-ne della CEE ha tuttavia mantenuto la sua proposta, precisandola come suggerimento per la mera razionalizzazione degli strumenti di coordinamento delle politiche economiche nazionali. Confortata dal parere (maggio 1963) del Comitato economico e sociale della CEE, nel quale siedono anche i rappresentanti delle categorie economiche ed imprenditoriali, ]a Commissione ha form11lato, a fine luglio, una raccomandazione al Consiglio dei ministri sul problema della « politica economica a medio termine ». Notevole, addirittura eccessivo, è il tentativo di rimuovere, anche nei termini, ogni asperità polemica in tema di programmazione. Confermato come principio fondamentale del MEC il libero gioco del mercato, la raccomandazione rileva che, avendo i poteri pubblici un ruolo determinante nella vita economica, è necessario affrontare il problema della razionalità degli interventi pubblici riconosciuti necessari. .Esiste, infatti, « il grave pericolo che le decisioni degli organi nazionali e delle istituzioni comuni vengano adottate senza prendere in sufficiente considerazione gli effetti generali che esse possono avere a lungo termine sull'economia della Comunità» (qui si riconosce implicitamente, per esempio, la necessità di un parallelismo fra programmazione ed abbattimento della tariffa doganale), « e che le politiche elaborate dalle autorità nazionali e comunitarie si sviluppino in modo non organico o siano incompatibili tra loro ». Perciò, si propone di mettere in atto una procedura di coordinamento mirante alla formulazione di un programma economico europeo. Un gruppo di esperti indipendenti, altamente qualificati, dovrebbe avere il compito di preparare 12 Bibliotecaginobianco
I problemi europei e la politica economica internazionale tutta una serie di previsioni economiche fino al 1970, sulla base delle politiche economiche e finanziarie in vigore attualmente. Si tratterebbe, in altri termini, di prevedere lo sviluppo della domanda, dell'offerta, della capacità produttiva ecc., globalmente, procedendo poi per ogni settore a controlli di coerenza, e di compiere tutti i necessari studi • connessi. Sulla base delle previsioni degli esperti indipendenti, un « Comitato di politica economica a medio termine », ad alto livello, dovrebbe preparare il progetto di programma nel quale sarebbero esposte le grandi linee delle politiche economicl1e, tra loro coordinate, che gli Stati membri e le Istituzioni europee inte11dono seguire 11el periodo preso in considerazione. Sulla base dei lavori del detto Comitato, la Commissione, previa consultazione del Parlamento Europeo e del Comitato economico e sociale, proporrebbe al Consiglio ed agli Stati membri l'adozione del programma. Fin qui le proposte della Commissione. La parola definitiva spetta ora alla volontà dei governi dei Sei. In tema di programmazione europea, non è privo di interesse, infine, notare che i progetti per una prima pianificazione internazionale fra i paesi comunisti del COMECON prevedono, per quel che se ne sa, un periodo di esperimento (fino al 1970) eguale a quello proposto dalla Commissione della CEE, nonché degli organi anch'essi similari a quelli previsti in sede comunitaria. Sarà perciò ricco di suggestioni un confronto fra i due esperimenti, tenendo conto peraltro che certe difficoltà, a livello inter-statuali, sono comuni: il conflitto degli interessi nazionali, le resistenze della logica della « sovranità » ecc. III Per poter valutare quali influenze possa avere sull'industria europea un abbassamento molto ampio delle barriere doganali occorrerebbe innanzitutto disporre dei dati sulla sua attuale configurazione, almeno nelle linee essenziali. Oggi non è però possibile andare al di là di accertamenti insufficienti, da integrare, alla fin fine, con il colpo d'occhio del buon osservatore. Infatti, secondo quanto riferisce F. Grotius, direttore del servizio « statistiche dell'industria » dell'Istituto Statistico delle Comunità Europee, i dati che finora sono stati messi insieme sull'industria europea, attraverso l'armonizzazione ed il coordinamento delle fonti statistiche esistenti « non sono ancora sufficienti per le esigenze comunitarie» (cfr. « Informazioni Statistiche» dell'ISCE, 1962 - p. 393). Tant'è che, approfittando dell'inchiesta industriale raccomandata dal13 Bibliotecaginobianco
Sergio Ristuccia • · l'ONU (che dovrebbe essere completata in diversi paesi del mondo entro il 1964), è stato varato da parte degli Stati membri della CEE un programma comune di rilevazioni statistiche sull'industria che attualmente è in corso di svolgimento. Per aver chiara l'insufficienza attuale dei dati, vale riferire che, secondo lo stesso autore, non 1nancano soltanto i dati « strutturali » (natura dell'attività delle imprese, loro dimensione, forma giuridica) comparabili, cioè rilevati con metodi analoghi nei singoli Stati membri, ma anche i flow dates (investimenti, consumi, cifre d'affari, produzione) o meglio i dati primari da cui trarre correttamente i flow dates in modo che si possa, in ogni mo1nento, conoscere qual'è la situazione industriale nella Comunità. Peraltro, considerando lo stato attuale delle singole statistiche nazionali dei paesi membri, si scoprono delle cose interessanti come, per esempio, che la Francia non ha ancora svolto in questo secolo un'inchiesta del genere di quella promossa ora dalla Comunità (mentre « le statistiche annuali sono ben lontane dal fornire indicazioni sufficienti, contrariamente all'idea piuttosto diffusa di una perfetta razionalizzazione delle statistiche francesi ») e che la R.F. tedesca svolge regolar1nente inchieste nel campo industriale, ed in particolare nel settore edilizio, ma limitatamente a questi elementi: cifre d'affari, salari, stipendi ed addetti. Sono delle insufficienze statistiche di cui forse non sarebbe privo d'interesse studiare le. cause. Stando così le cose, è evidentemente inceppata fin dall'inizio• una seria considerazione delle ripercussioni che la costituzione di un mercato euro-americano doganalmente unificato potrebbe avere sull'industria europea. Né sarà possibile u11 giudizio ben fondato .sulle trasformazioni conseguenti agli investimenti americani in Europa. Cosifatte considerazioni si trovano perciò ricondotte, da una parte, alle semplificazioni che la teoria è costretta ad operare nei confronti della realtà, soprattutto quando questa non sia stata preventivamente sondata in modo soddisfacente e, dall'altra, ad alcune ipotesi sulle possibili reazioni dell'industria europea che h~nno le proprie premesse logiche in alcuni dati generali da considerare « certi », in quanto suffragati da una certa unanimità di riconoscimenti, ed in altri dati ugualmente generali, ma « meno certi » in quanto colti soltanto dalla ricognizione di alcuni . osservatori di cose politiche, sociali ed economiche. Per essere più chiari, il giudizio·: « l'industria europea ha ancora ampio margine per raggiungere le din1ensioni adeguate al consumo di massa» può far parte dei dati « certi ». Può invece appartenere ai dati di secondo tipo il giudizio: « in alcuni paesi europei, come la Francia e più ancora l'Italia, la classe degli industriali tende al corporativismo », intendendo con questo termine non le prevalenti professioni ideologiche degli indu14 Bibliotecaginobianco
I problemi europei e la politica economica internazionale striali, ma il tipo di comportamento che essi tengono fra loro e verso gli altri in quanto· distinto e contrapposto e al comportamento di concorrenza e a quello di oligopolio, cioè a dire un tipo di comportamento nel quale hanno peso prevalente valori come la solidarietà di categoria, i rapporti di buon vicinato fra i membri della medesima classe, l'organizzarsi non a fini specifici di governo del mercato ma per una generica rappresentanza di corpo e di interessi, ecc. Accettando o dovendo accettare per ora una metodologia di ricerca di questo tipo approssimativo, sembra utile riprendere e verificare alcuni ragionamenti sui probabili effetti dell'integrazione economica europea che furo·no fatti al momento di avvio del processo integrativo. Per esempio, possono scegliersi certe stimolanti valutazioni di Tibor Scitovsky sui probabili effetti dell'integrazione sull'industria europea. (Economie Theory and Western European lntegration, London 1958; Trad. it. Milano, 1961). Le due ipotesi di partenza, dalle quali, prese le mosse l'autore citato, sono le seguenti: 1) la conco-rrenza in Europa è abitualmente molto diversa e molto meno decisa di quanto non sia d'uso in America (e di quanto non sarebbe da attendersi in base alla teoria tradizionale della concorrenza, aggiunge lo Scitovsky, ma ciò evidentemente è del tutto scontato); 2) finora gli industriali europei non hanno apprezzabilmente sfruttato le economie di scala che si realizzano, a lungo andare, con la produzione di massa di pochi modelli standardizzati di ciascun prodotto. Sono due ipotesi strettamente correlate che si spiegano a vicenda. Vale la pena di seguire l'illustrazione che ne dà lo Scitovsky. Come _giustificazione della seconda ipotesi egli ricorda innanzitutto che per alcuni paesi europei il mercato nazionale mai ha potuto offrire lo sbocco adeguato alla produzione di un sia pur unico stabilimento di dimensioni ottimali. Ma a questa prima ragione ben altre vanno aggiunte, a parere dello Scitovsky: « gran parte dell'industria europea fu. fondata, sotto forma di piccole imprese, in un'epoca in cui i vantaggi della produzione su vasta scala non erano ancora conosciuti ». Di qui gli interessi costituiti e la tradizione che impediscono il passaggio alla produzione su larga scala in un minor numero di stabilimenti. I piccoli produttori inefficienti riescono a sopravvivere, talvolta per la politica di protezione governativa (come avviene sopratutto in Francia), talvolta semplicemente perché le imprese familiari possono durare a lungo òltre il periodo di redditività. « Queste ditte vogliono restare sul mercato e sono gelose della loro indipendenza .. Inoltre, date le dimensio,ni più modeste delle industrie nazionali e dei mercati, tra i concorrenti europei i rapporti per15 Bibliotecaginobianco
Sergio Ristuccia sanali sono più stretti e il se11so di solidarietà più vivo. Di conseguenza ciascuno è riluttante ad espandersi a danno degl~ altri. Da qui la prevalenza dei cartelli nell'Europa Occidentale: accordi sui prezzi, organizzazioni comuni di vendita e i11tese fra imprenditori sono frequenti anche nei rami industriali non cartellizzati ». Ma, oltre a ciò, due fattori sembravano allo Scitovsky come i prin~ cipali responsabili della mancanza di una produzione di massa: l'inadeguatezza del credito al consumo e la tendenza a cercare alti margini di profitto. Illustrando più a fondo questo secondo fattore, il nostro autore ricorda, andando, alla ricerca dei motivi « razionali » di questo stato di cose, che la produzione su scala ristretta e un giro di affari più limitato, ma con alti margini di profitto, sono meno faticosi per l'imprenditore; che un piccolo mercato con sbocchi di vendita al minuto scarsi ma esclusivi e controllabili, è probabilmente più stabile nei confronti del ciclo economico e più facile da salvaguardare; che la produzio11e di massa va spesso a detrimento della qualità (e gli industriali europei ritengono di dover buona parte dei lo-ro sbocchi alla produzione di qualità e no·n vogliono rinunciare a tale mercato addizionale); . che infine la elasticità della domanda non è valutata correttamente e ciò perché, essendo interpretate le differenze di tipi e livelli dei consumi come differenze di classe, queste a loro volta sembrano difficilmente modificabili agli occhi della media e alta borghesia industriale. Sono chiari i limiti di questa diagnosi. Tranne che per alcuni aspetti - sui quali non è il caso di soffermarsi - l'autore si limita ad una ricognizione fondata sulla sua personale capacità di osservazione nonché alla sintesi di alcuni giudizi recepiti. Ma questi limiti, più che allo Scitovsky, vanno addebitati allo· stato delle fonti di conoscenza. Il fatto è che tuttora tali fonti sono lacunose ed è perciò arduo valutare in qual modo la situazione si è evoluta. Occorrerà rimanere a qualche considerazione provvisoria e per sintomi (come, del resto, in questo mo•mento ed in questa sede, saremmo in ogni caso costretti). Lo Scitovsky, come molti altri osservatori, preconizzava nel 1957 una dimin11zione dei prezzi nell'area europea via via che pro·gredisce l'integrazione. Se è vero che « le successive ondate di aumenti di salari e di prezzi che sempre risultano da lunghi periodi di pieno impiego ci hanno costretto a scegliere tra inflazione secolare quale prezzo del pieno impiego e un certo livello di disoccupazione quale prezzo della stabilità dei prezzi », egli tuttavia riteneva che la spirale prezzi-salari non sarebbe stata accentuata nella fase di integrazione per il fatto che « i dirigenti industriali sono meno disposti a elevare i prezzi e meno propensi ad accedere alle richieste salariali del sindacato che li fro,n16 Bibliotecaginobianco
I problemi europei e la politica economica internazionale teggia, quanto più essi sono esposti alla concorrenza di società la cui n1ano d'opera è organizzata da altri sindacati e garantita da differenti contratti salariali ». In verità l'eventualità di un simile freno appare, e non semplicemente col senno di poi, assai fragile per fronteggiare certa dinamica che stava venendo in atto, in alcuni paesi europei, e che tendeva inevitabilmente ad accelerare il moto dei prezzi verso l'alto. Caso tipico quello italiano dell'avvio verso il pieno impiego. Tuttavia, il fatto che l'instabilità dei prezzi si sia registrata in mist1ra maggiore proprio in Italia ed in Fra11cia, cioè a dire nei due paesi ai quali meglio si attagliano le osservazioni diagnostiche dello Scitovsky sopra riferite, ci fa chiedere se no11 sia dovuta proprio alle ragioni strutturali da questo indicate certa vistosità del fenomeno nei due paesi. Il che, se fosse vero, sig11ificl1erebbe che l'industria è rimasta lontana dalle dimensioni ottimali della produzione di massa. Quanto al credito al consumo si è probabilmente realizzato, i11vece, un apprezzabile sviluppo sia pure in forma disorganica; il che porterebbe a confermare che l'insufficienza è nella struttura industriale. A questo proposito, si direbbe tuttavia cosa poco significativa se si rim.anesse fermi ad affermazioni generiche relativamente alla domanda crescente e all'offerta incapace a fronteggiarla. Ben più valgono a spiegare il fenomeno le osservazioni specifiche di comportamento, in precedenza brevemente riassunte. Si pensi in particolare ai problemi del sistema di distribuzione: « il dettagliante l1a l'iniziativa nello stabilire (e nel mutare) le caratteristiche e il tipo del prodotto», dice Scitovsky. Ed è per questo che « i fabbricanti sono restii ad appianare le fluttuazioni stagionali mediante la pro-duzione per le scorte durante la stagione morta ». Il che, per esempio, è uno degli elementi che spiegano come in certi momenti la loro offerta fatichi molto a far fronte con sollecitudine alla domanda. Il tipo di ragionamento dello Scitovsky è certo « americanizzante», e può quindi essere so~toposto a tutte quelle riserve critiche attinenti soprattutto ai costi che potremmo dire meta-economici, ma anche alle vere e pr~prie disfunzioni economiche del sistema della produzione di massa. Si dovrebbe preliminarmente tentare di rispondere al seguente quesito: se sia possibile raggiungere il massimo di economie di scala attraverso la produzione di massa, pur controllando, o addirittura eliminando, quelle disfunzioni finora conosciute come storicamente connesse a tale sistema produttivo nel momento del suo maggior dispiegamento quale è possibile osservare negli Stati Uniti. Il tema, molto generale, e che richiede approfondimenti teqrici notevoli, tocca per 17 Bibliotecaginobianco
Sergio Ristuccia molti aspetti i problemi sollevati recentemente da Claudio Napoleoni nella « Rivista Trimestrale » a proposito del ruolo· subordinato che ha finora avuto il consumo nei confronti della produzione, sia nel pensiero che nella prassi economica. È una questione che qui si deve lasciare • 1n sospeso. Nella ipotesi provvisoria, che la produzione di massa sia auspicabile in Europa, ma sia da attuarsi mirando ad una ~vveduta revisione critica dei suoi meccanismi, si può tuttavia cercare una prima risposta ai quesiti della convenienza, per l'Europa, di una politica di ampia liberalizzazione commerciale sul piano atlantico. Il pro,blema si potrebbe formulare così: quanto ampia deve essere la liberalizzazione? .Si deve liberalizzare contemporaneamente lo scambio dei beni o servizi e il movimento dei capitali (favorendo perciò gli investimenti americani in Europa) o si può legittimamente pensare ad una gradualità nel tempo che contempli, in una prima fase, una reale alternatività fra i due tipi di liberalizzazione? Può valere innanzitutto u11a considerazione: gli scambi fra l'Europa e gli Stati Uniti presentano un deficit a carico dei paesi europei. In questi ultimi anni le vendite degli Stati Uniti ai Sei non hanno· cessato di aumentare, passando da 319 a 371 milioni di dollari al mese tra il 1960 ed il 1962 ed a 415 milioni di dollari mensili durante i primLcinque mesi di quest'anno: si tratta di un progresso del 30% in tre anni. Gli acquisti americani in Europa sono aumentati molto meno rapidamente: 187 milioni di dollari per mese nel 1960, 204 l'anno scorso, 203 nei primi mesi di quest'anno: meno del 6%. Così il disavanzo commerciale dei Sei nei confronti degli Stati Uniti è passato da 132 milioni di dollari al mese nel 1960 a 212 milioni di dollari al mese nel 1963, con un aumento del 60%. I tre maggiori paesi della CEE hanno visto il loro deficit aggravarsi considerevolmente: 85 milioni di dollari al mese contro 44 per la Germania; 47 contro 24 per l'Italia; 40 contro 29 per la Francia. --- . In base a tutto questo si è detto· che, in definitiva, un abbassamento delle tariffe doganali è nell'interesse anche e, in alcuni settori, soprattutto degli europei, se vo·gliono riequilibrare, attraverso maggiori vendite, i loro scambi con gli USA. A tal riguardo occorrerebbe fare minutamente la storia dei recenti tentativi europei di entrare massicciamente sul mercato americano, tentativi che in qualche momento parvero, per la verità, sortire buon esito. Senza anticipare frettolosamente delle co·nclusioni,. si può dire, comunque che l'esportazione europea in America ha tentato negli ultimi anni di insinuarsi su quel mercato coprendo le deficienze di offerta della produzione americana, ma identi18 Bibliotecaginobianco
I problemi europei e la politica econon1ica internazionale ficando tali deficienze soprattutto come mancanza di prodotti di qualità. L'ince-rto successo di questa operazione fa ritenere che i margini per essa disponibili sono modesti e che, una volta evidenziati degli spazi vuoti in un mercato a regime di produzione di massa, questi possono essere utilizzati solo con una produzione che abbia raggiunto quel medesimo livello. Questa può essere, ad esempio, la lezione del successo· che sul mercato americano l1a arriso alle utilitarie Volkswagen. Se non si approfondissero queste recenti vicende, se cioè da una riduzio·ne delle tariffe americane ci si limitasse ad aspettare maggiori sbocchi per i prodotti di qualità al fine di utilizzare i margini di capacità produttiva oggi esistenti, ma non a quello di dare a questa produzione delle dimensioni ottimali, considerando realisticamente i prodotti di qualità non come prodotti prin1ari, ma come sottoprodotti di una produzione di massa, il disegno sarebbe, in realtà, di breve periodo. Con il rischio, anzi, di incentivare certe caratteristiche tradizionali dell'industria europea che non sembrano da mantenere. Si potrebbe dunque provvisoriamente concludere che è nell'interesse europeo, inteso genericamente, una trattativa doganale ampia, volta a rompere gli ostacoli daziari americani più altamente protettivi (concedendo per questo· tutte le necessarie contropartite); ed è nell'interesse europeo in senso più rigoroso, cioè come interesse di un'Europa tendenzialmente unita, ben gover11ata e non introversa, che il negoziato tariffario, così come è stato inizialmente proposto dagli americani, sia condotto con procedure auto·matiche, essendo questo un modo per forzare l'attuale struttura dell'industria europea e nello stesso tempo per ridimensionare profondamente lo strumento doganale che, se usato al- livello dei raggruppamenti continentali, è potenziato soprattutto nelle sue caratteristiche di mezzo di offesa. Ma non sembra interesse europeo - in senso ampio come in senso stretto - che dal ne~oziato derivi una riduzione drastica delle tariffe doganali, che allo stato delle cose ed ancora per qualche tempo giocherebbe soprattutto a favore dell'America. E ciò sia detto senza cadere in quei timori irriflessivi di• cui spesso .sono vittima gli ambienti economici, pronti ad immaginare che solo i loro concorrenti di altri paesi potranno beneficiare dei vantaggi della libertà degli scambi. Nota giustamente Pi.erre Uri: « Les Européens craignent la productivité américaine liée à la puissance de l'équipement, à la longueur des séries. Les Américains s'effraient de la différence des salaires. Ces craintes réciproques devraient s'annuler » (Dialoque des Continents, Parigi 1963, p. 37}. In ogni caso, per misu·rare con qualche attendibilità le convenienze e gli interessi europei in 19 Bibliotecaginobianco
Sergio Ristuccia giuoco, si ripropone qui la necessità, come già si è detto•, della programmazione comunitaria. Cosa dire, a questo punto,· riguardo al problema degli investimenti americani in Europa? Com'è noto, poco dopo la rottura delle trattative per l'adesione della Gran Bretagna alla CEE, questo problema è stato l'oggetto .di una vivace polemica iniziata da parte francese. I~ verità, a partire dalla creazione della CEE, vi è stato un notevole afflusso di investimenti americani in Europa. Per fare qualche esempio, nel solo 1962, secondo dati riportati dalla stampa francese, l'industria automobilistica tedesca avrebbe usufruito di investimenti americani dell'ammontare di ben 432 milioni di dollari, pari al 70 per cento degli investimenti diretti americani nel MEC; e l'industria chimica, specialmente olandese, avrebbe fruito di 62 milioni di dollari, cifra che si prevede salirà a 87 milio,ni nel 1963 .Alcuni avvenimenti vistosi, come l'acquisto da parte della Chrysler del pacchetto azionario· di controllo della SIMCA, l'installazione in Francia di circa 100 imprese americane· nel corso di pochi mesi, il progetto della Società Libby di impiantare nel Gard o nell'Hérault una grande industria di conserve alimentari, hanno messo in allarme non solo il governo gaullista, ma anche gli ambienti di si11istra. Sarebbe, in v.erità, difficile cogliere differenze sensibili nel contenuto di siffatte preoccupazioni se si astraesse dai quadri di riferimento ideologico-politici rispettivamente del gaµllismo e degli ambienti di si-· nistra, come, per esempio, il gruppo di France Observateur. Un problema sollevato da sinistra è la presumibile contradditorietà fra la libertà concessa agli investitori americani e le esigenze di una programmazione europea. È probabile, si dice, che i grandi oligopoli am·ericani pianifichino lo sviluppo in Europa di taluni importanti settori industriali prima ancora che gli europei riescano ad avviare qualche efficace forma di programmazione; con il risultato che la stessa possibilità di una programmazione europea ne potrebbe venire pregiudicata. L'argomento appare degno di riflessione. Quanto all'entità del fenomeno i dati forniti dalla Commissione della CEE nel marzo scorso, in risposta ad un'interrogazione del parlamentare europeo René Pleven, pur limitati al periodo 1956-1961, sembravano ridimensionare il problema. È vero, infatti, che, dal momento dell'entrata in vigore del Trattato di Roma (inizio 1958) alla fine del 1961, il valore degli investimenti diretti effettuati dalle imprese americane nella CEE è aumentato dell'81 %; ma è pur vero che a questa data tale valore non ragiungeva ancora il 10% del totale degli investimenti diretti americani all'estero. Non solo: sempre alla 20 Bibliotecaginobianco
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