Giornale a piu voci / Note per una pianificazione democratica • Chi non guardi solo alle enunciazioni teoriche -o alle affermazioni di principio, ma consideri la « realtà effettuale» delle istituzioni non può non convenire su un fondamentale postulato, che cioè il crisma della democraticità è conferito ad un regime non tanto o, quanto meno, non solo dalle enunciazioni di principio contenute nella Carta costituzionale, quanto dalla misura in cui i principi democratici risultino effettivamente accolti nella organizzazione socio-politica dello Stato. È necessario cioè che un Paese, perché possa effettivamente chiamarsi democratico, ispiri veramente a questi principi le sue leggi e le sue istituzioni. Ed è appunto partendo da tale fondamentale premessa che occorre esaminare il problema della pianificazione territoriale. Che cosa vuol dire pianificazione territoriale democratica? Quaroni afferma che « alla pianificazione autocratica che cerca di imporre un piano rigido, bloccato, chiuso nel tempo e nello spazio... la democrazia contrappone un piano aperto senza rigidi limiti di tempo e di spazio... Più che di piani, quindi, si dovrà parlare di attività pianificatrice, di attività continua e continuamente rinnovantesi, come azione corale della società». Queste parole indicano l'essenza e le peculiari caratteristiche della pianificazione territoriale democratica, di una pianificazione, cioè, che è opera della comunità ed ha sempre, nelle sue determinazioni, l'uomo come misura: in cui l'uomo cioè non è più un oggetto, ma un soggetto attivo e propulsore. Da ciò_immediatamente consegue che il piano non potrà essere autoritariamente imposto dall'alto, ma dovrà essere forn1ato ed adottato dagli stessi organi rappresentativi della comunità interessata al piano. La legge urbanistica del 1942 sembra tener scarsamente conto di questa fondamentale esigenza. Mentre per i piani regolatori generali e ·per quelli intercomunali è prevista, infatti, l'adozione da parte degli organi elettivi degli Enti locali interessati e si ammettono, in un momento successivo, le associazioni sindacali e gli Enti pubblici a proporre osservazioni contro le determinazioni contenute nei piani stessi, per quel che concerne i piani territoriali di coordinamento la stessa legge prevede l'approvazione per decreto del Presidente della Repubblica, al di fuori da ogni intervento degli Enti locali. In verità, ciò appare la diretta conseguenza non tanto, o non solo, della scarsa fiducia del legislatore fascista per gli organi rappresentativi degli Enti locali - del resto allora non elettivi - quanto del fatto che la pianificazione territoriale, come nota l'onorevole Ripamonti nella sua relazione al bilancio del Ministero dei lavori pubblici per il 1963-64, fu dal legislatore dell'epoca co11cepita « come un'azione di coordinamento delle iniziative degli Enti locali e degli interventi dello Stato, senza una preventiva previsione di un programma di sviluppo economico-sociale, impostato da. una autorità ... amministrativa democratica, responsabile dell'attuazione del piano » • .,.. Ma il successivo dibattito sulla funzione e sugli scopi della pianifica67 Bibliotecaginobianco
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