.... ,... Gior1zalea piu voci ' Si creano veri e propri miti (ingresso della Gran Bretagna, fusione degli Esecutivi, elezioni europee dirette, università europea, ecc.) che prendono il posto della riflessione e della normale dialettica politica fatta di ideologia e di sano pragmatismo. Come può essere eguale l'opposizione a De Gaulle dei liberali, o della destra in genere, rispetto a quella dei socialisti e degli altri ambienti di sinistra? Se un sincero democratico non vuole l'Europa delle patrie, intesa come un rinnovato e più ampliato nazionalismo, non vuole neppure l'Euro•pa puramente liberista, l'Europa dei grandi gruppi industriali, dei persistenti squilibri sociali, dell'economia d'abord, a danno di un coerente progresso sociale e culturale. È qui appunto che l'orizzonte si allarga e deve approfondirsi il discorso. Non basta essere antigollisti per essere europeisti; è necessario esserlo nel senso giusto, essere per una Comunità nella quale l'elemento economico deve venir considerato parte di un tutto più vasto nel quale il settore sociale sia in primo piano e non rappresenti invece un posterius, nel quale infine la tecnica e l'economia siano regolate dalla politica. In questo insieme di cui si parla, un posto di grande importanza deve essere riservato allo sviluppo culturale dei Sei paesi. È ormai venuto il momento di considerare la evoluzione spirituale dei popoli come un fattore imprescindibile di ogni costruzione politica. Studi recenti promossi dall'OECS hanno messo in luce la necessità dello sviluppo dell'insegnamento, come fattore determinante dello sviluppo economico che ad un certo momento finisce col diventare funzione del primo. Per la Comunità dei Sei si tratta di formulare una politica di cooperazione culturale di ampio respiro, che venga soprattutto incontro a delle insufficienze nella formazione professionale a tutti i livelli (e noi italiani ne sappiamo qualcosa) e rinnovi le strutture esistenti per metterle al passo con le nuove dimensioni della realtà moderna in genere e di quella dei Sei in particolare. In un simile contesto va, a nostro avviso, inserito il problema dell'Università Europea, abbandonando le formule cristallizzatesi, ormai, ·al riguardo. l,'Univer~ità Europea deve essere (e doveva esserlo anche secondo i suoi ideatori e sostenitori accaniti; cfr. gli interventi del Signor Hirscl1, ex-Presidente dell'Esecutivo dell' Euratom, al Colloquio di Bruxelles del marzo 1962) una parte, sia pure di grande rilievo, del più vasto tema dello sviluppo culturale dei Sei. Ad essa dovrà accompagnarsi la formulazione di una organica politica dell'insegnamento a tutti i livelli, che risolva gli spinosi problemi posti dalle differenze esistenti negli indirizzi di studi e nei titoli finali (cfr. in proposito lo studio promosso dall'Alta Autorità della CECA: La struttura e l'organizzazione dell'insegnamento generale e tecnico nei paesi della Comitnità - Lussemburgo, aprile 1960). · Certamente, gli strumenti offerti dal Trattato non sono n;iolti, ma questo non è l'ostacolo maggiore. Si pensi alla situazione veramente assurda che si è venuta a creare in seguito alle resistenze, soprattutto francesi. 63 Bibli.otecaginobianco
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