Girolamo Cotroneo che varrebbe veramente la p·en~ di considerare la st~riografia, più semplicemente e risolutamente, come un aspetto della storia della cultura, di mettere completamente da parte il problema del contributo degli storici alla scienza di oggi e concentrarsi interamente sul loro ruolo nello schema culturale del loro proprio tempo » (p. 160), per cui, « considerata a questo modo la storiografia diventerebbe una storia della stor~a piutto 1sto- che una storia degli storici; una storia del modo soggettivo di intendere la storia piuttosto che lo studio dell'emergere graduale della verità storica obiettivamente intesa» (p. 161). È certo che nonostante i limiti nei quali il pensiero del Beck:er resta imprigionato, tuttavia si seppe elevare con felice volo al di sopra della metodologia obiettivistica: il punto critico della sua dottrina resta però il passaggio dalla fase negativa della semplice confutazione di teorie già esistenti, alla fase positiva dell'elaborazione di uno schema originale: il primo saggio di questa raccolta, Distacco e storiografia, rivela chiaramente le difficoltà fra le quali il Becker si dibatté dopo il rigetto• della metodologia obiettivistica. Dopo aver dimostrato che il distacco dello storico dalle vicende che studia è semplicemente un mito, dal momento che è lo storico stesso che fissa i fatti da esaminare, il Becker trova un ostacolo che si rivelerà invalicabile nel momento in cui si chiede se e come esiste un criterio obiettivo di scelta: qui le ìnfluenze pragmatistiche prendono il sopravvento e gli fanno credere che la scelta storica non ab,bia grandi virtù operative in quanto è sempre dettata dal clima d'opinio·ne culturale in cui lo storico si muove dal momento che quest'ultimo fa parte pur sempre del processo storico: « Se lo storico potesse separare se stesso dal processo che analizza, se fosse fuori della storia come il chimico è fuo1 ri della chimica, potrebbe segnare i suoi maggiori successi nell'analisi di quei periodi storici che sono i più diversi da quello in cui egli stesso vive » (p. 126). Si vede qui il punto critico della dottrina beckeriana e cioè la mancata comprensione del nesso fra la virtù co•noscitiva e quella operativa della storiografia; è certo che il Becker avvertì questo limite ·e cercò di superarlo introducendo una confusa teoria sulla somiglianza storica: « L'analisi - scriveva - riesce più acuta per quelle epoche storiche in cui gli abiti di pensiero e di azione rassomigliano di più a quelli propri dell'epoca in cui lo studioso vive » (p. 126). Qui il Becker commise un errore facilmente rilevabile a chi abb-ia dimestichezza con la dottrina crociana della contemporaneità, l'errore cioè di credere che la somiglianza sia un dato esterno e non una scoperta dovuta alla sensibilità dello storico che « sente» come somiglianti (contemporanei) i periodi storici che affronta, qualora beninteso li affronti non sul piano dello sterile accademismo, ma mosso da un'esigenza presente, attuale. La dottrina crociana è quella che ci permette di rilevare i limiti più vistosi delle teorie del Becker, cui resta pur sempre il merito di avere ingaggiato una dura battaglia contro, le tendenze metodologiche di origine positivistica, anticipando di qualche anno quella che dorveva essere, sullo stesso tema, la battaglia culturale europea; battaglia che, superando le limitazioni e gli equivoci positivisti, finiva col superare anche i tentativi 98 Bibliotecaginobianco '
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