Recensioni della sua formazione gli sbarrarono la via per giungere ad una più moderna concezione della storiografia e lo condussero invece verso una sorta di relativismo storico che caratterizzò i suoi anni più maturi; e ciò è dovuto come ha notato Raffaello Franchini recensendo di recente questo libro di Becker (Ai limiti della storia, Il Mondo, n. 29, 1963), al fatto che allo studioso americano « mancò quella capacità di annodare le fila della grande tradizione storicistica ottocentesca con la rinascita della storiografia in senso antipositivistico, che a noi, per merito del Croce, è divenuta tanto familiare e che ci rende difficile, (cioè facile), la comprensione dell'imbarazzo in cui le metodologie relativistiche del Novecento si vengono a trovare allorché affrontano i temi di fondo della ricerca e dell'azione storica ». Questo limite risalta a prima lettura dalle pagine del Becker; e soprattutto dal saggio Che cosa so1w i fatti storici?, nel corso del quale il Becker afferma cl1e « il fatto storico è nella mente di qualcuno, opp'lrre non esiste affatto» (p. 138), è evidente che il Becker no,n riuscì ad intuire l'aspetto· operativo del fatto storico medesimo, riducendo 1 lo, e sfiorando di conseguenza il peggiore idealismo, alla semplice virtù conoscitiva, non tenendo in considerazione che il fatto storico opera sulla realtà indipendentemente dal fatto di rivivere o non nella coscienza dello storico o di qualsiasi altra persona. Questo limite che il Becker sembra non abbia inteso (la lettura della Teoria e storia della storiografia giunse, come scrive il De Caprariis, troppo tardi, quando già « il pragmatismo aveva modellato le sue convinzioni filosofiche ed aveva suggerito quell'identificazione di pensiero e volontà che sta alla base di tutto l'irrazionalismo contemporaneo» - p. 108), questo. limite, dicevamo, risulta dalla mancata intelligenza del rapporto fra teoria e prassi, fra pensiero ed azione che non gli fece intuire la coincidenza e rinteragenza fra l'aspetto conoscitivo e quello operativo della storiografia: e così mentre formulava teorie che avrebbero dovuto essere rivoluzionarie, quasi contemporaneamente esse venivano superate in Italia mercè le convincenti pagine della metodolo,gia storica crociana. Questi scompen$i che l'opera del Becker presenta, pur se ci impediscono di accettarla senza discuterla, non devono p·erò indurci al frettoloso rigetto della sua posizione teorica, la quale si presenta pur sempre come uno stimolo al ripensamento di numerosi problemi di gnoseologia storica e come una serrata e convincente polemica contro ogni metodologia obiettivistica, polemica tutt'altro che inattuale oggi in Italia dove le tendenze obiettivistiche tendono a raffiorare in campo storiografico. La vigorosa battaglia che il Becker sostenne contro le correnti obiettivistiche durante la prima metà del secolo resta pertanto esemplare e bene ha pensato il De Caprariis ad introdurre in questa raccolta la recensione del Becker alla flystory of Historical Writing di H. E. Barnes, dal titolo Che cos'è ia storiografia, cl1e pur se scritta nella fase in cui il Becker aveva defmitivamente e co·nsapevolmente abbracciato il relativismo storico, resta tuttavia un valido test~ da riproporre all'attenzione di quanti ancora credono cl1e la storiografia sia la raccolta obiettiva, e cioè passiva, di documenti storici: « Mi sembra - scriveva il Becker - 97 Bibliotecaginobianco
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