Nord e Sud - anno X - n. 46 - ottobre 1963

Sopraluogo nella Sicilia della mafia Paoli e ai Reali di Francia, resta il fatto che l'onorata società sorse realmente come società « onorabile » e che per lunghi anni essa contrappose positivamente delle giuste leggi non scritte a delle ingiuste leggi scritte. Però, col tempo, ne derivò una tale confusione in senso obbiettivo che la mentalità dominante fi11ìper ammirare il sorpruso ed accettarne le conseguenze purché fosse commesso con un certo stile e sotto una certa etichetta. Calogero Vizzini, per lunghi anni capo di tutta la mafia, fu imputato quale ma11dante di omicidio ed auto,re di rapina, strage, abigeato, associazione a delinquere, corruzione di pubblici funzionari, bancarotta semplice e fraudolenta, estorsione e truffa aggravata: tutto questo gli permise di accumulare un patrimonio di circa due miliardi di lire. Eppure sulla sua tomba è scritto: « Comm. Calogero Vizzini - precorse ed attuò la riforma agraria - sollevò le sorti degli oscuri operai della miniera - grande e generoso di animo - nemico di tutte le ingiustizie - fu difensore del diritto dei deboli - raggiungendo altezze mai toccate ». L'epigrafe è stata composta da gente pie11amente convinta di ciò che scriveva, perché « zu' Calò » fu legislatore ed esecutore esemplare di una società - la 1nafia - che, organizzata com'era sulla base di una serie di elementi giuridici tali da soddisfare anche il più pedante dei costituzionalisti, poteva anche apparire come dotata di un'autorità per certi aspetti paragonabile e sostituibile a quella, peraltro spesso carente, dello Stato. Egli ft1 il migliore dei mafiosi pos-sibili. E tale lo considera il custode del camposanto di Villalba che mi guida tra i cipressi e si scappella in segno di rispetto solo d~avanti alla tomba di quell'unico « siciliano d'onore » sepolto tra tanti comuni italiani. Il carattere precipuo della n1afia, insomma, non era tanto nell'apparato esteriore della società, o nella frequenza dei delitti, o nelle forme si1nboliche con cui ve11ivano co1nn1essi, quanto piuttosto nella condizione di liceità che i consociati attribuivano alla loro. comunità e nel crisma etico e perciò cogente che ne derivava alle sentenze dei suoi occulti tribunali. Nessun membro della mafia ha mai sospettato che la sua attività fosse moralmente riprovevole e che lo Stato avesse il diritto di discuterne i limiti e confr.ontarne il contenuto con gli articoli del Codice penale. Il mafioso era pienamente tale proprio quando risultava ben convinto che le norme della mafia erano una lecita alternativa alle leggi dello Stato: nell'a1nbito di quelle norme egli poteva gustare tutta la tranquillità della propria coscienza e sentirsi un galantuomo anche con trenta on1icidi a carico. Questa mentalità ha avuto tale incontrastato dominio da estendersi qualche volta anche a generi criminosi come il banditismo: si pensi al caso delle 19 Bibliotecaginobianco

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