Vittorio de Caprariis quanto frutto teorico e pratico ognuno può agevolmente constatare per proprio co1 nto,. Vorrei aggiu11gere, tuttavia, che· questo ricorso ai modi ideologici e politici sovietici per spiegare i loro corrispettivi del comunismo italiano, ha in sé qualcosa di meccanico, che non persuade interamente. Non carichiamo: troppe responsabilità sulle spalle di Stalin! Se il ceto. dirigente intellettuale e po1 litico del PCI ha mostrato per anni una singolare sordità a certi temi ed una non meno singolare incapacità di cogliere le trasfor1nazioni delle realtà circostanti, una parte, almeno, delle responsabilità è propria di quel ceto, dei suoi stessi schematismi ideologici, della sua riluttanza a po,rre in discussione le verità ricevute, della sua ostinazione ad orientarsi tra i problemi concreti del mondo· co·ntemporaneo in base ad un'ideolo,gia, la quale·, confrontata a questi problemi medesimi, appare piuttosto un antico « portolano 1 » che una moderna carta geografica. Del resto, lo stesso articolo di Ingrao, che si è ricordato all'inizio, mostra, qua e là, il permanere di fo·rmule che non giovano 1 certo all'intelligenza dei feno·meni politici e sociali, che pure si vorre·bbero indagare, e denunciano, il prolungarsi di schen1atismi ideologici a dire poco invecchiati: « il proposito dei gruppi dominanti di sterilizzare e isolare le assemblee elettive »; « la macchina burocratica centralizzata costruita in funzione delle repressioni di classe ». Frasi come queste, messe a fronte delle realtà concrete, risultano prive di significato: le assemblee elettive non appaiono oggi sterili o isolate o depotenziate perché la pervivace ostinazione dei gruppi dominanti le l1a ridotte al punto in cui sono. Si trattasse soltanto di questo,! Basterebbe, dopo tutto, cambiare i « gruppi dominanti »; e invece l'esperienza degli altri paesi democratici dell'Occidente mostra chiaramente che non basta l'avvicendamento dei partiti nella direzione della cosa pubblica a risolvere quel problema che è ben pii1 ampio e impegnativo. E Ingrao sarebbe certamente più coerente con l'o,riginaria ispirazione 111arxista, se dicesse, più semplicemente, che bisogna mutare dal profondo I'assiette sociale, e che quando un simile risultato si fosse raggiunto, allora tutto sarebbe mutato. Ma è fin troppo evidente che, se egli affermasse ciò, non potrebbe scrivere qualche pagina dopo frasi co·me le seguenti: « il movimento operaio deve p·artire dalla consapevolezza che la crisi in atto degli ordinamenti politici non coinvolge solo istituti, apparati, segnati- da un'impronta reazionaria, ma chiama in cat1sa anche istituti e conquiste democratiche concrete, in cui si esprime - sia pure in modo parziale - il principio della sovranità popolare ». Qui io distinguo e le attenuazioni non valgono a cambiare il fondo della questione, e si pone rovesciato il problen1a che fu posto ai comunisti sette anni or sono a proposito 8 Bibliotecaginobianco
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