Nord e Sud - anno X - n. 45 - settembre 1963

Giornale a più voci dere la gioia, d'intensificare la compassione ... Quanti riuscirono a persuadere - e ancora persuadono - innumeri persone su innumeri argomenti, con l'inventare un discorso ingannevole!... la parola, che persuade la mente, costringe la mente ·che essa riesce a persuader.e, tanto a lasciarsi sedurre da ciò che viene detto quanto ad approvare ciò che viene fatto. Quindi, chi persuade, in quanto esercita una costrizione, si rende colpevole: la. mente che si lascia persuadere, in quanto costretta dalla parola, a torto gode mala fama ». Questo meraviglioso squarcio, tratto dall'Encomio di Elena di GORGIA (8 sgg.), non sembra sia stato sufficientemente letto e meditato. In esso è posto in rilievo, con estrema incisività, il potere psicagogico del linguaggio. Non si tratta qui della concezione arcaica, che considerava magicamente il linguaggio fino ad attribuire ad esso una fo'fma di potere demiurgico. Si tratta invece di una concezione matura e profonda che scopre nella parola una forza ineguagliabile di persuasione. Ha osservato L. ROBIN: « ne rechi o no il titolo, il sofista è sempre un professore dell'arte di parlare o di scrivere, un maestro di retorica. Quest'arte del persuadere, da lui insegnata, è speciale solo in apparenza. In realtà, ha una portata universale». La retorica sofistica e l' « arte del persuadere » non possono però essere intese, se non considerando « i bisogni di un'epoca e di un p-aese dove ogni cittadino può partecipare all'amministrazione o alla direzione degli affari della città e va debitore della preponderanza della sua azione personale alla parola». Da quel che si è detto, risulta essere stato preminente nei Sofisti l'interesse retorico ispirato ad una finalità pratico-didattica o praticopoli~ica. Bisognava dir questo, per mostrare che fin dall'epoca antica era stata sentita e valorizzata la forza psicagogica della parola ed era stata messa in rilievo la sua utilità pratica a fini demagogici e politici. Ancora oggi bisogna riconoscere che la parola resta un'arma di manovra insostituibile nelle mani dell'uomo politico: tanto più che oggi (e ne è stato un esempio la rubrica televisiva intitolata: « Tribuna politica») il messaggio politico può essere carpito simultaneamente da un numero sterminato di persone. La domanda, quindi, che porremo è la seguente: quale uso fa della parola il politico? la volubilità metaforica in che misura carat- .terizza il linguaggio politico? La parola serve al politico, non solo e non sempre come portatrice di un messaggio, e perciò con finalità comunicativa e conoscitiva, ma a volte come suscitatrice di tensioni: con la sua carica di vibrante suggestione e con la sua forza evocativa, vale a creare nella platea, per grande che essa sia, una risposta emotiva e uno stato di particolare lievitazione e di tensione. Parleremo, in tal caso, di uso psicagogico ed emotivo del linguaggio, che quindi risponde più alla condizioné dèl linguaggio letterario, che non a quella del linguaggio logico. Non a caso peraltro nel brano dianzi citato di GIORGIA si legge: « In coloro che la (la poesia) ascoltano s'insinuano un brivido pieno di terrore, una pietà grondante di lacrime e un rimpianto che accarezza il dolore». Il discorso 53 Bibliotecaginobianco

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